C’è una frase che ha segnato l’infanzia di milioni di persone. Una frase che recita: “È un vero Walt Disney solo se ha la garanzia di autenticità e qualità dell’ologramma argentato ed il marchio home video presenti sulla confezione”. Una frase categorica, che apriva tutte le mitiche VHS dei film targati Disney, mentre forgiava generazioni allergiche alla pirateria. Almeno queste erano le intenzioni. Una frase a cui ne seguiva un’altra, ancora più perentoria: “Non accettate i falsi”.
Ora siamo diventati grandi, e Mamma Disney a quei grandi classici consumati in VHS sta dando una seconda vita a suon di remake in live action senza anima. Ed è così che la magia è diventata un incantesimo. Uno di quelli maligni, figli della cupidigia più assetata e testarda. Una sete di incassi facili che non vuole proprio placarsi, visto che qualche giorno fa sono stati annunciati lo spin-off Mufasa, l’ennesimo film su Biancaneve, Peter Pan & Wendy e così via. Per questo la domanda impietosa che ci frulla in testa oggi è: i remake live action dei Classici sono un vero Walt Disney o un falso inaccettabile? Cosa c’è che non va in questi richiami nostalgici? Siamo qui per rispondere.
1. Zero idee
Ci sono due modi di vedere le cose. Uno cinico e pragmatico. L’altro più poetico e appassionato. Dal primo punto di vista i live action dei Classici Disney sono quasi sempre grandi operazioni commerciali, successi assicurati dall’enorme fascino nostalgico di personaggi iconici come Simba, Cenerentola, La Bella e La Bestia e La Sirenetta. Però siamo qui per giudicare le opere, non le operazioni. Ed è qui che iniziano i problemi. Anche perché la storia dei Classici da rinnovare per tramandarli agli occhi delle nuove generazioni fa prudere il naso a Pinocchio. Soprattutto in un’epoca in cui tutti i film animati Disney sono a portata di click in streaming, e dove spesso i remake non escono più al cinema.
Però, il vero problema dei remake live action è il piattume creativo in cui sguazzano da oltre dieci anni. Fatta eccezione per Maleficent e Crudelia (che almeno fornivano un nuovo punto di vista su un personaggio cult disneyano) e per Alice in Wonderland (che provava a rileggere il classico in una goffa chiave fantasy), quasi tutte le altre reincarnazioni sono anonimi “copia e incolla” senza idee davvero nuove. Sia a livello di messa in scena che di scrittura non c’è mai un guizzo, mai una trovata significativa. E infatti ecco inquadrature identiche, battute invariate e trame con variazioni talmente inconsistenti da risultare invisibili. Il tutto con personaggi derubati del loro splendido character design cartoonesco, appiattito verso un realismo scialbo. In questo senso l’esempio de Il Re Leone è emblematico. Un film tecnicamente impressionante, certo, ma totalmente privo di anima. Con l’aggravante di personaggi iper realistici (quasi da documentario National Geographic) che parlano e cantano in modo a dir poco straniante.
Insomma, questi remake live action sono usato sicuro. Un usato che vorrebbe “vincere facile” facendo leva sul richiamo nostalgico, ma che in realtà non vince affatto, visto che il pubblico sembra ormai stufo di tutta questa pigrizia e mancanza di coraggio. Anche perché, peggio di un brutto film, c’è soltanto un film inutile. Come la maggior parte di questi cloni 2.0.
2. Registi in gabbia
Rileggere i grandi classici in chiava moderna. È sempre stata la scusa portata avanti dalla Disney per giustificare questa marea di remake. Una scusa che non regge molto, sia perché vere riletture non si sono ancora viste, sia perché questi classici sono perfetti così come sono. Eterni come tutte le grandi fiabe, sempre attuali perché impregnate di morali che non tramontano mai. Solo che per rileggere qualcosa serve uno sguardo maturo, qualcuno che ha qualcosa da dire. Autori veri, insomma, non semplici mestieranti capaci soltanto di fare il loro compitino. E così, per i suoi remake live action, Mamma Disney ha chiamato a raccolta una marea di grandi registi a cui ha dato le chiavi del regno. Tim Burton, Kenneth Branagh, Robert Zemeckis, Guy Ritchie.
Tutta gente con una visione personale e una poetica sviluppata in decenni di stimate carriere. Peccato che lavorare a questi remake disneyani sia come passare sotto una livella che appiattisce tutto e tutti. È come se questi grandi autori fossero ingabbiati. Costretti a muoversi dentro un recinto da cui è impossibile uscire. E allora ecco il paradosso. Ecco che quel tocco personale e quella visione d’autore scompaiono del tutto. Fatta eccezione per qualche lampo di genio, come quando Tim Burton brucia tutto il luna park in Dumbo (quasi rivoltandosi con Disneyland stesso), tutti i grandi registi chiamati a dirigere questi live action non hanno mai lasciato la loro impronta.
3. I film sbagliati
C’è un dubbio che ci viene in mente. Non è che la Disney ha semplicemente sbagliato film da reincarnare? Forse non sarebbe stato meglio lasciar perdere film amatissimi e già riusciti alla perfezione per dare una seconda vita ai figli minori della major? Pensiamoci bene: magari film sfortunati, all’epoca incompresi, in parte poco riusciti oppure meno noti al grande pubblico come quelli del Medioevo Disney (pensiamo a Red & Toby Nemiciamici, Taron e La Pentola Magica o Basil L’investigatopo) avrebbero avuto più motivo d’esistere, meritandosi una seconda chance. Oppure avrebbe avuto ancora più senso rendere in carne e ossa storie dal potenziale più adulto, che si prestavano particolarmente all’abbandono dell’animazione in favore del live action. E allora ripensiamo ancora una volta al fantasy cupo e oscuro di Taron, oppure al devastante dramma de Il Gobbo di Notre Dame, e (perché no) anche all’avventura più trascinante di Atlantis o de Il pianeta del tesoro. Tutti film che, forse, avrebbero aggiunto qualcosa alle loro controparti cartoon. Un dubbio atroce destinato a rimanerci in testa. Proprio come la voce perentoria delle vecchie VHS.
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