Il 2023 si è decisamente aperto nel segno dell’horror, un po’ per tutti i gusti, ma soprattutto con uno sguardo rivolto al grande pubblico con qualche lieve intuizione più originale e diversa da solito. Parlando della recensione di The Offering, pellicola firmata dal regista Oliver Park in sala dal 23 Febbraio con Vertice360, abbiamo la chiara dimostrazione di quanto stiamo dicendo.
Oliver Park affonda le mani nell’horror religioso, però attingendo da un folklore decisamente differente dalla solita storia di possessioni a sfondo cattolico. Un po’ come Keith Thomas aveva fatto nel 2019 con The Vigil, qui la matrice di tutto è il folklore ebraico, l’elemento più interessante all’interno del film. Ed ancora una volta, si cerca di indagare sul male insito all’interno dell’essere umano. Un male che prende forma, in questo caso, dal trauma, dal lutto, dall’incapacità di affrontare il dolore e di ricorrere a tutto il possibile, mettendo in discussione perfino l’ordine naturale delle cose, pur di “tornare indietro nel tempo”. Un’elaborazione mancata che porta ad osare troppo, spingersi oltre i limiti umani, andando a scomodare forze che non vorremmo mai trovare sul nostro cammino. Ed è proprio così che inizia questa storia, con la disperazione di un uomo che prega il “dio” sbagliato per riportare in vita l’amore che ha perso, arrivando a sporcarsi le mani fino all’impossibile, fino a quando il tributo da pagare non sarà troppo alto.
Un po’ come fa Stephen King in Pet Sematary, anche Oliver Park nel suo The Offering racconta di morte e di lutto, ma anche di vita; soprattutto, ci racconta che ogni azione corrisponde ad una conseguenza che spesso può riversarsi anche sulle persone più impensabili. Un effetto domino drammatico e feroce che, quasi banalmente, potrebbe essere tradotto in “chi è causa del suo male, pianga se stesso”; ma la realtà è che qui c’è molto di più, sebbene gli input interessanti della pellicola, le intuizioni e la conoscenza del genere del regista, non permettono fino in fondo a The Offering di fare il salto, restando sempre incastrato nello stereotipo di genere, in questa percezione che qualcosa possa davvero accadere da un momento all’altro, ma non accade nulla. Si ha questa costante sensazione che il film possa fare il salto in più, ma lì dove si pone in punta di piedi sulla cima della scogliera, fa dieci passi indietro, senza mai spiccare davvero il volo.
The Offering
Genere: Horror
Durata: 93 minuti
Uscita: 23 Febbraio 2023 (Cinema)
Cast: Nick Blood, Emm Wiseman, Allan Corduner, Paul Kaye
Trama: non svegliare il demone che dorme
Come dicevamo prima, la trama di The Offering ruota attorno a due uomini: un vedovo ed un figlio. No, non hanno nessun grado di parentela, eppure sono destinati ad incrociarsi. Gli sbagli di uno andranno ad alimentare il dolore dell’altro, e il dolore dell’uno andrà a distruggere la vita dell’altro.
Arthur (Nick Blood) ha deciso che è arrivato il momento di riconciliarsi con il padre, soprattutto in occasione della futura nascita della figlia tanto attesa con sua moglie Claire (Emily Wiseman). I due, tempo prima, si sono divisi a causa della scelta di Arthur non solo di non portare avanti le pompe funebri di famiglia, ma anche di distaccarsi dalla religione, senza seguire le tradizioni. A distanza di anni, tanto Arthur quanto Saul (Allan Corduner) vogliono mettere da parte i dissapori e recuperare il tempo perduto, anche se “il figlio al prodigo” nasconde qualcosa…
I felici piani di famiglia, però, vengono messi in discussione dall’arrivo di un cadavere che sembrerebbe contenere all’interno di sé qualcosa di molto antico e molto malvagio. Qualcosa che per Saul sa di nefasto presagio, a cui cerca di non pensare troppo per non cadere vittima delle credenze popolari. Eppure, troppe cose cominciano a farsi sospette poco dopo l’arrivo di quel corpo morto in casa, cominciando a mettere in pericolo la stabilità mentale e l’incolumità di tutti i presenti sotto quel tetto.
Dal folklore alla realtà
Andando avanti in questa recensione di The Offering, il film di Oliver Park si offre a diverse chiavi di lettura che attingono tanto dal folklore quanto dalla realtà, cercando di ricreare costantemente nel film questa atmosfera un po’ onirica, in bilico tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Non è tanto la presenza della creatura ad incutere timore, anche perché la realizzazione scenica lascia molto a desiderare, quanto più la percezione che possa trovarsi lì, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, in qualsiasi forma.
Sono diverse le tematiche che vengono utilizzate per poter elaborare la storia in questione, ma sicuramente quelle principali, da cui si ramifica tutto il resto, sono la vita e la morte. Da una parte la prospettiva per la nascita di qualcuno di nuovo che ha tutta l’esistenza davanti a sé e quel senso di completezza che può portare l’arrivo di un figlio nella vita di un genitore che l’ha tanto ricercato, così come quell’entusiasmo a volte contagioso nel vedersi compiere il miracolo della vita; dall’altro abbiamo il senso di vuoto, aridità, dolore e solitudine che solo la morte può, invece, dare. Il problema della morte non è quasi mai di chi va, per quanto possa essere dolorosa la consapevolezza di dover abbandonare le nostre spoglie mortali, quanto di chi resta. Affrontare un lutto non è mai facile, per nessuno; in alcuni casi, però, l’elaborazione sembra essere un obiettivo difficilmente raggiungibile.
Ed a quel punto, cosa si è disposti a fare per riportare indietro qualcuno? Disfare l’impossibile e l’irreparabile? Le risposte, nel caso di The Offering, sono state ricercate nella cultura chassidica, demonologia ebraica e Cabala. I due sceneggiatori, Jonathan Yunger e Hank Hoffman, partono dall’idea di raccontare un horror che mostri la comunità ebraica, la spiritualità ed il forte senso di amore, famiglia, del fin dove ci si può spingere per il loro bene, per la loro protezione, creando però un demone – che attinge da diverse mitologie – capace di illudere, confondere, modificare la realtà con il solo scopo di nutrirsi proprio dell’innocenza di questi sentimenti.
L’essenza stessa di Abyzou è fatta da quelli che sono i sentimenti più oscuri dell’animo umano, spesso e volentieri generati proprio da traumi, fratture, dolore. È un male interiore che cresce e cambia ferocemente la vita di chi ne è affetto. L’horror che viene utilizzato come chiave di lettura e metafora dell’essere umano. Sebbene il mostro sia materiale, quello di cui più dovremmo avere paura è il “demone” che prende forma dentro di noi dettato dalla rabbia, dalla disperazione, dalla sofferenza e di cosa “quel demone” potrebbe spingerci a fare pur di trovare uno spiraglio di luce, un’ancora di salvezza, l’illusione di un’uscita dall’inferno.
In questo senso, The Offering riesce a riportare il dramma al centro del film horror. La tragedia umana che va ben oltre la raffigurazione del mostro, raccogliendo proprio la lezione kinghiana. Lo fa servendosi, in modo interessante, di una spiritualità molto meno conosciuta e portando ad immergere lo spettatore in un mondo che non è il suo. È davvero interessante conoscere, in un modo completamente atipico, credenze diverse da chi le sta guardando, le quali vengono utilizzate per modificare i canoni del genere spirituale. Certo, la pratica non è del tutto nuova, pensiamo a casi come il già citato The Vigil oppure Midsommar, eppure non ancora così comune.
Oliver Park ha il merito di sapere creare la giusta atmosfera, farci immergere nel perturbante e, soprattutto, creare empatia e senso di protezione, soprattutto nei confronti di Claire. Interessante è anche quel senso di impotenza che pervade lo spettatore, un po’ come quando si è dentro un sogno e siamo consapevoli di star sognando ma non riusciamo a svegliarci. E più ci proviamo, più cadiamo in un nuovo sogno, in quello che pare un loop infinito che toglie il fiato ma che, in realtà, dura una manciata di minuti o al massimo ore.
Vittime del mainstream
Il vero problema di The Offering non è la storia, anzi. Come abbiamo visto, l’input generale, il motore alla base del progetto sa essere abbastanza originale quanto interessante, perfino appassionante. Il ritmo del film è scorrevole, sebbene di tanto in tanto qualche sequenza risulta essere più macchinosa. Non si fa fatica ad arrivare alla fine e, se vogliamo, il finale è anche molto meno prevedibile e buonista di quello che, invece, ci si aspetta da film di questo genere. Perfino il cast, in modo particolare quello principale, è ben preparato ed addentro alla storia, in modo particolare Emily Wiseman su cui si tiene molto il focus. Meno accattivante e che lascia qualche perplessità in più il cast secondario, ma è un qualcosa su cui si sorvola senza grossi problemi. Il vero problema è la struttura.
Una struttura vittima del mainstream e degli stereotipi del genere, dell’horror per l’appassionato della domenica, di quell’horror che vorrebbe osare ma non lo fa, non fa mai il passo in più lasciandoci perennemente con l’amaro in bocca. Quell’horror ancora troppo infarcito di jumpscare ed effetti speciali (scadenti, va detto), che ha la capacità di rompere la sospensione dell’incredulità che, invece, regia e fotografia erano riusciti a creare.
Un horror instabile, gracile e non troppo convinto di potercela fare con la sola forza della storia. La sensazione costante è quella di essere sul punto che qualcosa, finalmente qualcosa, stia per accadere, per poi restarne profondamente delusi. Ogni qual volta la tensione drammatica sta per toccare picchi di esasperazione, scema del tutto, creando solo frustrazione nei confronti di uno spettatore un po’ più navigato che, invece, si era illuso di poter pretendere qualcosa di più del solito horror preconfezionato dove lo spreco di talento sia il vero tema principale. Peccato.
L’idea è buona, davvero buona. La messa in scena anche, sebbene non brillante ha dei momenti suggestivi ed evocativi. È davvero un peccato che gran parte di questo lavoro venga vanificato per muoversi in direzione del comfort, di una struttura pratica, comoda, sicura, dove basta il mostro che sbuca dall’angolo, la musica tensiva o un primo piano improvviso, a compiacere un pubblico un po’ pigro e generalista, alimentando i continui stereotipi nei confronti del cinema horror.
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La recensione in breve
Una storia interessante con degli input diversi dal solito, un'atmosfera coinvolgente ed un cast ben immerso, però troppo vittima degli stereotipi di genere. The Offering intrattiene ma non rivoluzione, prova ad offrire qualcosa di diverso restando, purtroppo, incastrato nei meccanismi dell'horror mainstream. Troppi jumpscare, troppi escamotage banali e una tensione che lì dove sta per esplodere è destinata poco dopo a scemare.
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Voto Screenworld