Non faremo alcuno spoiler in questa nostra recensione di Resident Evil: Welcome to Raccoon City. Sia chiaro, siamo ben consci di dover evitare di scrivere troppo nel dettaglio, per non rovinare la visione di questo nuovo film, ma se abbiamo deciso di esordire con questa frase è perché questa nuova incarnazione cinematografica della celebre saga videoludica di genere survival horror ha ben poco da spoilerare.
Sicuramente più fedele della precedente saga con protagonista Milla Jovovich, l’opera di Johannes Roberts è il grado zero della narrazione, non riuscendo comunque a trovare una sua propria identità e a generare l’interesse necessario per trasformarsi in un primo capitolo di una serie, nonostante ci voglia provare con tutte le sue forze. Non bastano alcune scenografie identiche al materiale originale per costruire un’atmosfera funzionante: ciò che manca in Resident Evil: Welcome to Raccoon City è una vera bussola per la scrittura.
Il che ci porta a chiederci: è così complesso trasporre la storia di Resident Evil dal videogioco al grande schermo?
Resident Evil: Welcome to Racoon City (2021)
Genere: Horror/Azione
Durata: 107 minuti
Uscita: 25 novembre 2021 (Cinema)
Cast: Kaya Scodelario, Hannah John-Kamen, Robbie Amell, Avan Jogia
La città verrà distrutta all’alba
La trama del film si basa in larga parte sul primo e il secondo capitolo del videogioco. Siamo a Raccoon City, una città che la Umbrella Corporation, una potentissima compagnia di farmaci, ha in qualche modo trasformato in un non-luogo. Da tempo evacuata, in città rimangono pochi poliziotti e il ceto di abitanti più povero, che non si è potuto permettere di scappare. È una notte di pioggia quando qualcosa va storto, una fuga di qualche elemento pericoloso che si propaga come un virus, qualcosa che cambia l’atmosfera con la stessa forza della tragedia di Chernobyl. Da quel momento la vita di alcuni poliziotti in servizio, tra cui il novizio Leon e il veterano Chris Redfield, si incrocerà con quella di uno scienziato in fuga, pronto a lasciare la città prima delle sei di mattina, orario in cui la Umbrella Corporation distruggerà tutto. Tutto avviene la stessa notte del ritorno a casa della sorella di Chris, Claire, e di una missione che ha luogo nella villa Spencer, di proprietà di chi la Umbrella l’ha creata, andata a finire male.
Gli abitanti della città cominceranno a manifestare sintomi di rabbia, dando il via a una spirale di sangue e mutazioni genetiche che lascerà poco scampo ai nostri protagonisti. Bisognerà fare di tutto per sopravvivere e per uscire indenni dalla città, prima che arrivi l’alba. Una corsa contro il tempo che il film fa di tutto per evidenziare, ma che in realtà non si percepisce mai. È solo il primo di una lunga serie di difetti che ha un solo colpevole: una scrittura banale e così superficiale da non riuscire a mordere lo spettatore, lasciandolo comunque stordito come uno zombie.
Giocatori vs spettatori
Siamo consapevoli del materiale originale da cui il film è tratto e, se volessimo rimanere sulla superficie delle opere, potremmo dire che sì, Resident Evil: Welcome to Raccoon City è molto fedele al videogioco di culto. Senza voler nascondere l’evidenza è chiaro che il videogioco del 1996 appartiene allo stesso mondo dei B-Movie horror a basso budget: la villa gotica, gli zombie e le creature mutanti, i laboratori segreti posti sottoterra, i personaggi stereotipati…
Va sottolineata, però, una differenza fondamentale: il gioco di Resident Evil aveva bisogno di questa semplicità di scrittura perché era l’esperienza ludica a costruire tutto il successo del titolo. Erano i movimenti meccanici e legnosi della prima versione, l’impossibilità di portare con sé troppi oggetti, la strategia nel dover dosare ogni proiettile e ogni pianta medica a donare quell’ansia e quella tensione perpetua, quella paura di sbagliare e ricominciare da capo. Persino salvare la partita diventava un’impresa. Resident Evil metteva alla prova il giocatore e produceva una vera atmosfera orrorifica di estrema sopravvivenza che, dopo vari remake per le console di nuova generazione, ancora ha mantenuto il suo fascino.
Quando chi osserva lo schermo non ha più un ruolo attivo (le mani sul joypad), ma diventa spettatore passivo questa fedeltà non basta più. Perché al cinema, quando dobbiamo specchiarci nel protagonista e non comandarlo, serve un diverso tipo di scrittura, che sappia catturare l’attenzione e mantenere alto l’interesse, che sappia delineare il corpo dei personaggi tanto da provare simpatia per loro (e preoccuparci per la loro sopravvivenza), che sappia essere racconto. Da sola la fedeltà non basta.
Fuga dalla città
In un film dove persino le esplosioni non hanno abbastanza forza di farsi notare, rimane una piacevole sensazione di riuscita quando assistiamo a delle sequenze prese di peso dalle cut scenes del videogioco, che già erano cinematografiche. Sono i pochi momenti in cui sale la tensione e si riesce a costruisce un clima apocalittico (parecchio presente nella prima parte, con un forte richiamo alle atmosfere di John Carpenter) dove la vita è appesa sul filo del rasoio. Un montaggio che presenta parecchi problemi di continuità non riesce, tuttavia, a far emergere tutta l’urgenza narrativa, nonostante i continui richiami al tempo che passa e al conto alla rovescia.
Molto buono il make-up degli zombie e gli effetti più sanguinolenti, al contrario della presenza di una CGI fuori tempo massimo che mette in mostra il basso budget della produzione. Per uno spettatore del 2021 si tratta di sin troppe ingenuità. Così, non basta la buona prova di Kaya Scodelario, unico personaggio che sembra davvero crederci in un progetto che vuole essere nello stesso momento serio e divertito, terrorizzante e di grana grossa, fedele al materiale d’origine e un po’ traditore, d’azione e d’atmosfera. Si arriva ai titoli di coda (che con una scena a metà aprono le porte all’immancabile sequel) che ci si sente un po’ come i protagonisti della vicenda: persone un po’ svuotate, zombie pronti a dirigersi verso le porte della sala, dove al di fuori c’è un mondo pieno di carne, pieno di gente, lasciandoci l’apocalisse alle spalle.
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Conclusioni
Resident Evil: Welcome to Raccoon City cerca una grande fedeltà verso i videogiochi: personaggi stereotipati, ambientazioni pressoché identiche, alcune sequenze replicate 1:1, ma non avendo un giocatore a disposizione, non riesce a creare una atmosfera veramente appagante, lasciando lo spettatore indifferente. Uno zombie che non morde mai davvero.
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Voto ScreenWorld