Niente palcoscenico. Solo il salotto di casa. Niente folla adorante. Solo il silenzio di una camera da letto. Prendete Elvis di Baz Luhrmann e immaginate la sua copia carbone. L’altro lato, l’altra parte. Quello meno mondano e luccicante. Quello silenzioso e dolente. Quello che interessa a una regista come Sofia Coppola, che ha preferito dedicarsi alla prospettiva di Priscilla Presley, la donna all’ombra della star. Un punto di vista affine alla sensibilità di un cinema declinato al femminile come quello di Coppola. Tutto nasce dal libro autobiografico Elvis and Me, scritto dalla stessa Presley nel 1985. La lunga confessione di una donna celebre, in cui Coppola ha trovato una storia universale. Perché non serve essere la compagna del re del rock’n roll per vivere una relazione squilibrata e malsana.
Apriamo la nostra recensione di Priscilla, in concorso alla 80esima Mostra del Cinema di Venezia, raccontandovi subito un retroscena molto significativo: i detentori dei diritti delle canzoni di Presley non hanno dato a Coppola i permessi per utilizzarle nel film. Un divieto che, forse, ha spinto ancora di più Coppola a lasciare Elvis in disparte. Per una lontano dai riflettori. Come se la sua eco si fosse spenta fuori dalla stanza in cui (si) è rinchiusa Priscilla. Un’operazione di rimozione che, purtroppo, non ha fatto bene a questo film. Perché per raccontare l’ombra serve vedere anche la luce.
Durata: 110 minuti
Uscita: 4 settembre 2023 (Festival di Venezia)
Cast: Cailee Spaeny, Jacob Elordi, Emily Mitchell
Come with me, baby

1957. Germania. In una base americana una ragazzina dal viso dolce viene avvicinata da un militare. L’uomo la invita a una festa dove sarà presente anche Elvis Presley. L’idolo delle folle viene rapito dalla dolcezza della piccola Priscilla, che nella star vede anche il fascino della fuga, di una vita diversa da quella che i genitori hanno già scelto per lei. Da quel reciproco colpo di fulmine ha inizio una tortuosa e travagliata storia d’amore, fatta di lontananza, tradimenti, sopportazione e compromessi. Una storia lunga quindici anni in cui Priscilla è stata plasmata a immagine e somiglianza dei desideri di Elvis. Una trasformazione forzata in cui Coppola vorrebbe farsi domande che purtroppo non arriveranno mai: chi è Priscilla? Cosa vuole davvero? Dove finisce Elvis e dove inizia lei? Dilemmi che il film suggerisce e abbozza senza mai dare forma a dei contrasti davvero evidenti. Come se tutto fosse mosso da una lunga inerzia. Come se Sofia Coppola avesse indicato il lato oscuro della luna fermandosi poco oltre il suo dito.
Somewhere in Graceland
Se Luhrmann aveva raccontato Elvis come una specie di supereroe (il talento come superpotere, la folla adorante, il mantello da paladino), anche Coppola racconta l’iconografia di Priscilla, immergendola in mondo fatto di patina, trucchi, abiti e lusso. Una ragazza diventata presto donna per assecondare i desideri del suo uomo (o forse anche i suoi?). Come dentro una specie di origin story ambientata quasi tutta all’interno dell’esilio dorato di Graceland (la magione di Presley), Priscilla si sofferma sulla confezione di una donna plasmata e condizionata, senza mai farci entrare sottopelle. Mai in empatia con questa donna chiusa dentro una gabba dorata. Priscilla non fa sentire davvero quanto è stretto il cappio attorno al suo collo, perché nel film non si avverte mai davvero rabbia e non si percepisce mai la frustrazione. Non vi è traccia di un disagio autentico. Se non fosse per qualche litigio urlato (e scritto piuttosto male) e qualche sedia lanciata, Priscilla assomiglierebbe a un piano inclinato dal destino in cui le cose accadono solo perché devono accadere.
Senza contraltare
A Sofia Coppola piace un cinema sfumato, delicato, che preferisce suggerire invece che evidenziare. Uno stile che questa volta rema contro il suo ultimo film, che avrebbe meritato più polso (e magari anche uno script meno didascalico). La scelta di annullare Elvis, banalizzandolo e riducendolo a uomo debole, lunatico e a tratti infantile non fa altro che depotenziare Priscilla stessa. Perché senza un vero braccio di ferro non esistono né forza né debolezza. A pagare il conto ci sono anche Cailee Spaeny e Jacob Elordi, entrambi acerbi per dare davvero spessore e forza a questo dramma domestico. Non aiutati da una sceneggiatura troppo didascalica e da una regia canonica (senza guizzi), i loro Priscilla ed Elvis si aggirano per il film come stereotipi senza anima. Da una parte la star capricciosa, dall’altra la donna marionetta, manipolata a oltranza. Una condizione di passività talmente insistente e insistita da rendere Priscilla un film indolente, che si trascina senza trascinare davvero. Manca la vita, manca il sudore, manca il pathos. Come una canzone senza ritornello. Resta un biopic classico, che dà tante (troppe) cose per scontate, tutto dedicato a una donna i cui veri desideri restano un mistero. Per informazioni sul dramma autentico del vivere all’ombra dei giganti, “citofonare Pablo Larraín”. Jackie e Spencer avranno qualcosa di vero da raccontarvi.
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La recensione in breve
Priscilla è un biopic classico e indolente, che si sofferma sulla figura della moglie di Elvis Presley senza farci sentire davvero il dramma di una donna plasmata dalle aspettative altrui.
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Voto ScreenWorld