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    Home » Cinema » Ultime recensioni cinema » Missing, la recensione: indagare gli schermi

    Missing, la recensione: indagare gli schermi

    La recensione di Missing, il nuovo thriller targato Sony dove l'indagine si svolge interamente sui monitor di computer e smartphone.
    Max BorgDi Max Borg9 Marzo 20234 min lettura
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    Correva l’anno 2018, e ai festival e nelle sale circolava Searching, thriller diretto da Aneesh Chaganty e prodotto da Timur Bekmambetov, il quale perorava la causa del cosiddetto screenlife film, un lungometraggio la cui storia è veicolata interamente tramite gli schermi di computer, smartphone, tablet e compagnia bella. Un esercizio di tensione molto efficace, che ha ora generato un sequel standalone (nel senso che non serve aver visto il prototipo, e al di là di un breve rimando non ci sono elementi narrativi o personaggi in comune), che segna l’esordio alla regia dei montatori di fiducia di Chaganty, Will Merrick e Nick Johnson. Un esordio che porta avanti il discorso del thriller “da remoto”, e di cui parliamo nella nostra recensione di Missing.

    Missing

    Genere: Thriller
    Durata: 111 minuti
    Uscita: 9 marzo 2023 (Cinema)

    Regia: Will Merrick, Nick Johnson
    Cast: Storm Reid, Joaquim de Almeida, Ken Leung, Amy Landecker, Tim Griffin, Daniel Henney, Nia Long

    La trama: mamma, torna a casa!

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    June Allen si è trasferita a Los Angeles con la madre Grace dopo la morte del padre, stroncato anni addietro da un tumore. La genitrice parte in vacanza in Colombia con il nuovo compagno Kevin per una settimana, facendo promettere a June che li verrà a cercare in aeroporto quando tornano. Il giorno del rientro arriva, ma senza alcuna traccia della coppia, e non è possibile rintracciare i loro telefoni. Mentre June cerca di accedere agli account mail e social di Grace e Kevin, comunica anche a distanza con il colombiano Javier, che accetta di indagare sul posto in cambio di un modesto compenso. Passando da uno schermo all’altro, la ragazza cerca di capire cosa sia successo, e la faccenda si complica quando emerge che né la madre né il compagno di lei sarebbero esattamente chi sostenevano di essere…

    Il cast: internauti detective

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    June ha il volto carismatico di Storm Reid, giovane attrice che negli ultimi anni si è fatta notare sul grande e piccolo schermo in titoli come Nelle pieghe del tempo, Euphoria e The Suicide Squad – Missione suicida, e qui alle prese con la sua prima parte da protagonista in età adulta o quasi (aveva diciassette anni durante le riprese). La madre Grace è invece Nia Long, di nuovo in vesti genitoriali dopo la sua recente apparizione nel film Netflix You People, e Kevin è il caratterista Ken Leung, noto per Lost. Altro caratterista, qui in insoliti panni più benevoli rispetto ai suoi classici ruoli da villain sudamericano in varie produzioni hollywoodiane, è il portoghese Joaquim de Almeida, che appare nel ruolo di Javier, mentre Amy Landecker, apprezzata interprete della serie Transparent, è l’amica di famiglia Heather. Elijah Park, diplomatico americano sul suolo colombiano, è l’ennesimo ruolo governativo per Daniel Henney, uno dei protagonisti delle ultime stagioni di Criminal Minds. Infine, Tim Griffin, tendenzialmente presenza minore in vari titoli cinematografici e televisivi, appare nel prologo, sotto forma di vecchio home movie guardato sul computer, nei panni di James, il padre di June.

    A tutto schermo

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    Se in mano a Bekmambetov, che con Profile – basato su eventi reali – aveva messo in evidenza soprattutto il potenziale tecnico del filone screenlife, con Searching era già emerso, oltre a un maggiore campionario di stratagemmi formali, un lato umano non indifferente, con un padre che cercava la figlia tramite i social e altri mezzi. Qui, con i ruoli invertiti e una componente un po’ autoironica (l’ascesa del true crime su Netflix comporta una sequenza in cui una serie fittizia ricostruisce proprio gli eventi del capostipite), il meccanismo è ancora più affascinante, per quanto leggermente prevedibile, e mette in evidenza la saggezza nell’aver affidato il progetto ai due montatori del primo capitolo: con poche settimane di riprese ma diversi mesi di post-produzione per la componente tecnica legata al solo uso di schermi (con gli attori spesso operatori improvvisati per filmarsi da soli), il ruolo di montaggio e musica è fondamentale per dare ritmo ai movimenti di cursori e tastiere, trasformando messaggi come “password errata” in enormi segnali di tensione.

    E se l’efficacia del film è sostanzialmente invariata a prescindere da come lo si vede, rimane una gioia a tratti perversa nel farsi trascinare nel vorticoso mondo di un’indagine a chilometro zero, con l’investigatrice attaccata al computer di casa e alle prese con ostacoli di non poco conto come un captcha ambiguo, con l’esperienza trasposta sullo schermo più grande possibile.

    La recensione in breve

    7.5 Informatico

    Il filone del thriller screenlife torna con un nuovo mistero che si situa interamente sugli schermi, trasformando i monitor casalinghi in grandi ricettacoli di tensione.

    • Voto ScreenWorld 7.5
    • Voto utenti (0 voti) 0
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