Ci sono film che riescono a trasformare lo schermo cinematografico in uno specchio nei confronti dello spettatore. Meglio ancora se quello spettatore condivide diverse caratteristiche con la protagonista della storia. Non possiamo che iniziare la nostra recensione de La persona peggiore del mondo proprio dall’elemento migliore del quinto lungometraggio, già scelto come rappresentante della Norvegia per l’Oscar, del regista norvegese Joachim Trier: la capacità di creare un fortissimo legame tra il pubblico e Julie, l’assoluta protagonista della vicenda.
Diviso in 12 capitoli, un prologo e un epilogo, La persona peggiore del mondo è una commedia ironica stratificata che parla direttamente alla generazione dei trentenni di oggi, con le loro insicurezze e le loro crisi identitarie, portatori di un’etichetta, quale quella del titolo, che sembra definire sotto una cattiva luce ciò che invece andrebbe valorizzato: l’essere liberi.
LA PERSONA PEGGIORE DEL MONDO (2021)
Genere: Commedia/Drammatico
Durata: 121 min.
Uscita: 18 novembre 2021 (al cinema)
Attori: Renate Reinsve, Anders Danielsen Lie, Herbert Nordrum
Pagine di una storia d’amore
La trama del film si concentra su un periodo della vita di Julie, una trentenne di Oslo che ha sempre faticato, come ci racconta una voce narrante esterna, a trovare la sua strada. Prima appassionata di medicina, poi di scrittura, infine di fotografia, sembra smarrita e, come gran parte delle persone della sua generazione, è alla continua ricerca di qualcosa che possa sentirla pienamente soddisfatta. Sembra aver finalmente trovato l’amore della sua vita, conoscendo un fumettista underground di successo, ben più maturo di lei di nome Aksel. Insieme, nonostante le differenze d’età (lui ha oltre 40 anni), di visione del mondo (più razionale lui, più istintiva lei) e di obiettivi della vita (Aksel desidera fortemente metter su famiglia mentre Julie si sente ancora inadatta a compiere il passo), formano una coppia innamorata e unita. Sotto l’apparenza, però, col passare del tempo Julie torna a sentirsi in qualche modo insoddisfatta. Una sera, imbucandosi a una festa, conosce Eivind, un ragazzo totalmente diverso dal suo compagno, con il quale nasce una simpatia spontanea. Che sia arrivato il tempo per Julie di rimettersi in discussione?
Semplicità e complessità, due opposti che il film di Trier riesce a compensare in maniera pressoché ottimale per gran parte della sua durata, mettendo in scena un romanzo sia di formazione che di educazione sentimentale. Nonostante alcune scorciatoie narrative, soprattutto nella seconda parte del film, più canonica rispetto alla precedente metà, il lungometraggio compie un ottimo lavoro di scrittura, soprattutto nei confronti della protagonista. Perché, anche attraverso una messa in scena chiara e semplice, la storia, a prima vista simile a tante altre, riesce a spiccare ed emergere dando la sensazione di svolgersi quasi senza un copione. Lo schermo cinematografico si trasforma in una finestra su un mondo contemporaneo, senza filtrarlo attraverso la magia del cinema, ma rappresentandolo in tutte le sue sfaccettature, anche complesse per quanto non sempre facilmente ostentate.
Una protagonista straordinaria
Che fossimo alle prese con una prova attoriale da notare l’avevamo intuito dal premio all’interpretazione femminile consegnato a Renate Reinsve all’ultimo Festival di Cannes, dove il film è stato presentato in anteprima. La sua Julie è un personaggio che già sulla carta (o sulle pagine) si dimostra curato e tridimensionale, colmo di quelle insicurezze tipiche di tutta una generazione attuale, ma che grazie all’interpretazione dell’attrice brilla. Con un volto che sembra catalizzare l’attenzione della macchina da presa, Renate Reinsve non può fare a meno che attrarre con la sua bravura lo sguardo dello spettatore, che si sentirà trasportato all’interno della narrazione, forte di un legame empatico compassionevole.
Distante dall’essere davvero come viene descritta nel titolo del film, Julie è uno dei personaggi cinematografici più belli di quest’anno, piena di comportamenti anche ambigui e contraddittori, sintomo di un’identità che passeggia in equilibrio sopra un limbo esistenziale, ma dopotutto umana e vera. Anche quando il film sbanda, tendendo ad accumulare diverse storyline che non trovano una risoluzione davvero forte, Renate Reinsve si pone come un faro per lo spettatore.
Il resto del cast riesce a supportare il lavoro della protagonista, diventando un microcosmo di persone, caratteri e sentimenti che circondano e rendono variegato l’universo di Julie. Anders Danielsen Lie (Aksel) si mette in gioco anche con il corpo e deve sforzarsi un po’ di più a causa degli sviluppi narrativi riservati al suo personaggio, mentre Herbert Nordrum (Eivind) nonostante rimanga un personaggio un po’ troppo bloccato in sé stesso (il che è coerente essendo un altro trentenne che condivide gran parte delle insicurezze di Julie) è complice di alcuni dei momenti più belli del film. Proprio nelle scene di coppia si compie un vero miracolo di naturalezza e di alchimia. Basti pensare a tutta la sequenza del Capitolo 2, in cui Reinsve e Nordrum condividono la scena attraverso un dialogo e un modo di comportarsi che non lascia occasione di staccare gli occhi dallo schermo. D’altronde, in un film molto incentrato sul comprendere l’altro, oltre che sé stessi, sul riuscire a trovare un legame, anche solo emotivo, tra diverse persone per ritrovarsi al loro interno, non meraviglia l’attenzione riposta nei momenti di coppia.
Chi è la persona peggiore del mondo?
Torniamo un’ultima volta su Julie: si tratta davvero della persona peggiore del mondo, o forse la sua è una presa di coscienza che non corrisponde alla visione che gli altri hanno di lei? Tra risate e momenti divertenti, anche assurdi (con lei vivremo l’esperienza dei funghi allucinogeni), sino ad affrontare le difficoltà peggiori della vita, quelle imprevedibili che nessuno sa come vivere nel modo corretto, La persona peggiore del mondo è un film coerente nonostante appaia a tratti squilibrato. Un po’ come la generazione di cui Julie diventa icona. Il suo punto di vista su tutto ciò che riguarda il mondo, dal #MeToo e la lotta al patriarcato, dalle prospettive di vita e di lavoro fino all’ecologia, si rende sguardo contemporaneo, voce dei millennials e della Generazione Y, con tutte le insicurezze, ma anche le ferme convinzioni.
Una lotta intrinseca in ognuno di noi, che forse è destinata a non trovare mai un fermo vincitore. Per questo motivo il film di Trier riesce a parlare a un pubblico ampio tanto da avere le carte in regola per diventare un piccolo cult, una fotografia del presente e un film perfettamente inserito nell’epoca di appartenenza. A dimostrazione che riflessioni anche piuttosto importanti e non scontate si possono trovare anche nell’intrattenimento più leggero. E renderci, fieramente, tutti quanti, le peggiori persone del mondo.
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Conclusioni
Raccontando la vita della trentenne Julie, La persona peggiore del mondo è un ritratto contemporaneo di un'intera generazione, capace di intrattenere a dovere, pur apparendo a tratti un po' squilibrato. Straordinaria la performance di Renate Reinsve nei panni della protagonista: un vero talento, magnetica.
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Voto ScreenWorld