È da oggi nelle sale italiane l’esordio alla regia dell’attore Channing Tatum, qui aiutato da Reid Caroline. Come vedremo nella nostra recensione di Io e Lulù, il film sorprende per la carica emotiva che l’attore apporta a questo progetto. La pellicola ha come protagonista Jackson Briggs, soldato in congedo dopo aver subito una grave lesione cerebrale durante la sua ultima missione. Desideroso di tornare al lavoro, è pronto ad accettare qualsiasi incarico per dimostrare al suo capitano di essere pronto a rimettersi in gioco. Ecco che gli viene affidata una missione anomala, ben diversa da ciò che è solito fare: dovrà accompagnare Lulù, pastore belga di un compagno deceduto, al suo funerale.
Secondo lo stesso Tatum, il personaggio di Lulu è totalmente ispirato al suo fedele cane, un pitbull che l’attore aveva salvato da un rifugio e che è morto qualche anno fa, lasciando un grande vuoto nel suo cuore, che ha voluto colmare rendendo omaggio al suo fedele compagno in questo film. Ma non solo: Lulù è un cane da guerra, con molte missioni alle spalle, specializzato nell’individuazione di sostanze. È un personaggio – a tutti gli effetti – emotivamente sofferente, “condannato” alla sedentarietà del viaggio in macchina, proprio come il suo padrone, dopo una gloriosa formazione e servizio.
Io e Lulù
Genere: Commedia
Durata: 101 minuti
Uscita: 12 maggio 2022 (Cinema)
Cast: Channing Tatum, Jane Adams, Kevin Nash
Io e Lulù dice molto più su Channing Tatum che Magic Mike
Lulù e Jackson condividono l’animo tormentato: il primo, ha riportato diverse ferite durante le sue missioni, ma sono quelle invisibili ad averlo segnato maggiormente. Faticando a reintegrarsi nella società, sembra vivere in isolamento con l’unico interesse di ricongiungersi ai suoi compagni di squadra: tutto ciò che lo circonda sembra generare in lui solo apatia e preoccupazioni. Soffre di un disturbo da stress post-traumatico, che combatte come meglio può autonomamente, senza mai ricevere aiuto dall’esercito.
Una situazione che lo lega a Lulù, cane con un “curriculum” impressionante alle spalle e fedele compagna del sergente Rodríguez, ahimé deceduto. Dopo la morte del suo fedele padrone, Lulù ha iniziato a soffrire di ansia, disturbo di cui nessuno sembra volersi accorgerne, come se una simile sintomatologia dovesse necessariamente riguardare solo l’uomo. Diventa sempre più irritabile e difficile da trattare, finché l’apparentemente rozzo Jackson non la porta via dall’atmosfera viziata della caserma, avviando per entrambi un percorso di guarigione a lungo termine.
È proprio tra conversazioni e scontri tra i due, e con il resto del mondo, che emerge la realtà sofferta da questi ex soldati, abbandonati al loro destino, senza un adeguato sostegno psicologico, compagnia, soldi e risorse. Dovranno capire come incontrarsi e darsi la zampa, per poter proseguire sulla stessa carreggiata, quella dell’affetto e del sostegno reciproco: un messaggio di natura semplice, ma che si avvale di accezione sociale e politica in questo momento storico così delicato. In questo senso, Io e Lulù trova la propria forza nell’impianto da opera prima ben diretta e realizzata con un amore percepibile al di là del grande schermo e che non ha lasciato indifferente il pubblico, premiando il film con più di 60 milioni di dollari al botteghino, a fronte dei 15 di budget.
L’esercito della vita
L’inizio di questo viaggio, tanto fisico quanto metaforico, è brusco e tortuoso. Briggs vede Lulù solo come un mezzo per raggiungere un fine e fondamentalmente una seccatura con cui deve avere a che fare per qualche giorno. Durante la loro prima sosta, la lascia chiusa nel suo furgone mentre va in cerca di divertimento a Portland, impresa infruttuosa, modellata secondo gli standard comici, ma che finisce per evidenziare l’angosciante inquietudine che permea ogni tentativo da parte del protagonista di conformarsi alla routine di un’esistenza ordinaria.
Tatum e Reid hanno consapevolmente voluto infondere umorismo intelligente e leggerezza a un argomento piuttosto pesante, ma la vera vittoria personale e registica dell’attore è che Briggs non è il solito personaggio di Tatum. Non è Magic Mike o Jimmy Logan, entrambi fondamentalmente dei bravi ragazzi mascherati dalla vanità intrinseca alla figura del macho: è egoista, ha un caratteraccio e un figlio piccolo (con una compagna allontanata, interpretata da Q’orianka Kilcher) che non lo riconosce nemmeno quando si presenta alla porta con un unicorno di peluche della stazione di servizio. Non sa nemmeno lui quanto sia internamente distrutto.
Certamente, la premessa e lo schema narrativo del film non brillano per originalità, ma è la chimica tra Tatum e la sua co-protagonista a quattro zampe a fare davvero la differenza, rendendo quanto mai centrata la decisione di non “computerizzare” il migliore amico dell’uomo, o palesare il suo intelletto tramite una voce fuori campo, bensì favorire il legame naturale tra un animale selvatico, rozzo, per nulla domestico o addomesticato alla quotidianità routinaria, e il suo padrone che ne è lo specchio.
Con il suo tono innocente, Io e Lulù riesce ad arrivare contemporaneamente al cuore di grandi e piccini, e si dimostra il progetto più sentito e umano di Channing Tatum, che si mette a nudo molto più di Magic Mike e come mai prima d’ora, affidando alla magia del grande schermo le sue frustrazioni e angosce, per poter fare pace col passato.
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Conclusioni
Come abbiamo visto nella nostra recensione di Io e Lulù, il film è chiaramente il progetto che meglio racchiude la passione e l'emotività di Channing Tatum, facendo leva sul legame salvifico tra uomo e animale, nel road trip della vita.
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Voto ScreenWorld