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    Il bar delle grandi speranze, la recensione: una storia di formazione per George Clooney e Ben Affleck

    Claudio GarganoDi Claudio Gargano11 Gennaio 2022Nessun commento7 min lettura
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    Vogliamo iniziare la nostra recensione di Il Bar delle grandi speranze, ottavo film di George Clooney regista e disponibile su Prime Video, con una frase che la madre e un empatico prete dicono al giovane J. R., aspirante scrittore, protagonista del film: “Quest’anno si portano le autobiografie”.

    Esattamente in un’autobiografia consiste questa pellicola tratta dal best-seller The Tender bar: A Memoir (in italiano Il bar delle grandi speranze) di J. R. Moheringer, giornalista premio Pulitzer che riversò nel suo libro l’infanzia e l’adolescenza segnate da un padre assente, DJ star delle radio dalla voce seducente soprannominato The Voice, e da una figura maschile di riferimento eccentrica e affettuosa rappresentata dallo zio Charlie, fratello della madre. Quest’ultimo è interpretato da un Ben Affleck in gran spolvero, tra l’altro candidato al Golden Globe 2022 come miglior attore non protagonista.

    Il bar delle grandi speranze (2021)

    Genere: Drammatico
    Durata: 106 minuti
    Uscita: 1 gennaio 2022 (Cinema)

    Regia: George Clooney
    Cast: Ben Affleck, Tye Sheridan, Christopher Lloyd

    Padri assenti, zii e nonni

    Un'immagine di The Tender Bar

    Il bar cui si fa riferimento nel titolo è quello gestito appunto da zio Charlie, figura paterna fondamentale per il piccolo J. R., interpretato in tenera età dall’intenso Daniel Ranieri e come adolescente da Tye Sheridan, attore da tenere d’occhio anche per l’ottima prova ne Il collezionista di carte. Non a caso il luogo si chiama The Dickens. Lo zio Charlie non è infatti un barista comune ma possiede una notevole cultura e, con i suoi consigli e stimoli, instraderà il piccolo J.R. verso la scrittura. La madre di J. R., Dorothy (Lily Rabe), non avendo un lavoro sufficientemente stabile, è costretta a tornare a vivere dai genitori dopo essere stata abbandonata dal meschino e violento The Voice.

    La cosa non dispiace al piccolo e fin troppo solitario J. R. che si ritrova d’improvviso attorniato da una numerosa e rumorosa famiglia di zii, cugini e nonni, tra cui spicca l’impagabile Christopher Lloyd, perfetto nel ruolo di un nonno apparentemente burbero e svampito ma che sa mettersi in gioco per il nipotino non appena se ne presenta l’occasione. Senza anticipare nulla diciamo solo che qui le cose si fanno addirittura commoventi, ma sempre col sorriso sulle labbra, e Lloyd ci regala un ulteriore grande ed eccentrica interpretazione da aggiungere alla sua nutrita galleria di personaggi.

    Lo zio Charlie di Ben Affleck

    Se parliamo di interpretazioni, a fare la parte del leone è certamente Ben Affleck, in un ruolo che sembra l’evoluzione del suo Chuckie in Will Hunting. Se lì fungeva da pungolo per il matematico ribelle interpretato da Matt Damon ad emanciparsi e a valorizzare il suo talento, anche qui non sarà da meno, spingendo il giovane J.R. alla lettura dei grandi classici e incoraggiandolo nella scrittura. Senza dimenticare di elargirgli perle di saggezza condensate nella sua cosiddetta Scienza dei maschi, un codice di comportamento inventato dallo stesso Charlie, che condensa in modo delicato, arguto ed efficace quel tipo di comunicazioni che può avvenire solo tra un padre e un figlio. È proprio qui uno dei punti di forza del film di Clooney, ovvero nel rapporto padre-figlio che si crea tra l’estroso, brillante e colto zio Charlie e il piccolo J. R., bisognoso di una figura paterna. Affleck regala al suo personaggio toni scanzonati, ironici ma sempre profondi, facendo del suo generoso e disponibile Charlie il personaggio più riuscito del film.

    Conflitto di classe

    Nel racconto di formazione di J. R. Moheringer possiamo riconoscerci in molti, soprattutto nella seconda parte in cui si affronta l’adolescenza e dunque i primi confronti con la realtà della vita e con la tenuta delle proprie aspirazioni (in questo caso di scrittore). Inoltre J. R. rimarrà impelagato in un amore infelice con una ragazza dell’alta-bassa borghesia (definizione dello stesso Charlie per le classi che si ritengono ricche senza esserlo davvero, perché i veri ricchi si nascondono). Con questa linea narrativa verrà fuori l’altro tema portante della vicenda e cioè le differenze di classe, nonché di opportunità, tra le persone: J. R. si ritrova infatti a studiare a Yale, tra i rampolli dell’alta società americana, grazie ad una borsa di studio e si sentirà perennemente inadeguato rispetto alla bella Sidney (Briana Middleton), figlia di due famosi architetti, redattori di una importante rivista di design, i quali ci tengono a sottolineare di non essere costruttori di semplici case ma bensì di dimore. Su questo Clooney e lo sceneggiatore William Monahan (autore tra l’altro dello script di The Departed) costruiscono la scena più memorabile del film, caratterizzata da un dialogo caustico ed esilarante in cui l’arguto e, per la prima volta indomito, J. R. mette alla berlina i vezzi della upper class in modo magistrale: il film vale la pena di essere visto anche solo per questa scena.

    La regia di Clooney

    Un'immagine dal dietro le quinte di The Tender Bar

    Come ci ha abituati in altre occasioni (per esempio in Good Night and Good Luck, Le idi di Marzo e nel recente The Midnight Sky), la regia di George Clooney è essenziale, calibrata sulla storia. Segue un andamento classico, con pochi incisivi guizzi come il bel long-take iniziale in cui la macchina da presa vola sull’asfalto inseguendo l’auto in cui viaggiano J. R. e la madre verso la casa dei nonni, fino ad arrivare ad un intenso mezzo primo piano del bambino affacciato al finestrino mentre guarda il paesaggio e il futuro che gli si pone dinanzi. L’uso di zoom con improvviso cambio di fuoco in alcune scene (il bowling da piccolo e la lezione universitaria da adolescente) diventano episodi sporadici, vezzi che richiamano, invano diciamolo, la cinematografia della New Hollywood degli anni ’70.

    La fotografia di Martin Ruhe ricalca la tipica palette di colori pastello, tendenti al marrone per gli anni ’70, che ci si aspetta da un film ambientato appunto tra i Settanta e gli Ottanta. La playlist musicale è zeppa di hits dei Seventies, con poche cose degli Ottanta, tra cui spiccano la bellissima 50 Ways to Leave Your Lover di Paul Simon, utilizzata didascalicamente per accompagnare il cuore spezzato di J.R. dalla bella e opportunista Sidney, nonché l’emblematica Do It Again di Donald Fagen, che scorre sui titoli di coda in cui intravediamo ulteriori sprazzi di vita di J.R. con lo zio e i suoi amici.

    Una carezza e uno schiaffo

    Un'immagine di The Tender Bar

    Il bar delle grandi speranze ti accarezza e schiaffeggia proprio come fa la vita, che passa e va e neanche te ne sei accorto che sia passata. Questo non perché sia noioso, tutt’altro. Il film diverte ed emoziona, come fa una buona storia che sa toccarci dentro, senza sfiorare picchi da capolavoro, ma tenendosi su un livello molto gradevole. Ci sono dei punti deboli come per esempio alcune lacune nella definizione dello zio Charlie: perché ha quell’ottima cultura? Come conduce la sua vita privata, oltre la gestione del bar e il prendersi cura di J. R.? Perché continua a vivere dai genitori? Anche l’ambiente del bar, con gli amici di Charlie che sono sempre gentili con J.R. sembra fin troppo edulcorato. Inoltre il compagno di stanza di università risulta troppo saggio per la sua età, nei consigli che elargisce anche lui a J.R. Quest’ultimo risulta invece sufficientemente simpatico senza essere stucchevole, credibile nelle sue fragilità, come pure nei suoi guizzi di ribellione e nel suo sguardo disilluso sul mondo, grazie soprattutto alla convincente interpretazione di Tye Sheridan.

    Si vive infine il film attendendo il momento in cui J. R. prenderà davvero in mano le redini della sua vita ma quando questo sembra che stia finalmente per concretizzarsi, la pellicola si conclude. Ma è giusto così, ovvero lasciare all’immaginazione dello spettatore il seguito, perché evidentemente agli autori interessava soltanto mostrare il modo in cui il protagonista tira fuori le ali per spiccare il volo, non il volo in sé.

    Conclusioni

    7.0 Brillante

    Un racconto di formazione emozionante e divertente con qualche lacuna nella costruzione di alcuni personaggi. La vicenda potrebbe risultare monca ad un analisi superficiale, ma è coerente con le intenzioni degli autori.

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