Tutte le storie devono trovare un punto al loro corso, devono arrivare alla fine, per quanto il cinema slasher nei decenni ci abbia insegnato che no, il mostro non muore mai. In un modo o nell’altro – spesso i più disparati – riesce a tornare, chiedendo anche un immenso sforzo allo spettatore con la sospensione dell’incredulità.
Il regista David Gordon Green, però, ha sempre pensato che il suo progetto legato al mostro dei mostri, il boogyman per eccellenza, l’ombra più terrificante di sempre, meritasse una trilogia che si concludesse con una fine. Una fine vera. Una che mettesse realmente il punto. Ma sarà stata soddisfacente? Questo è quello che andremo a scoprire, ma senza spoiler!
Questo viaggio è durato quattro anni. Era, infatti, il 2018 quando Halloween di David Gordon Green arrivava nei nostri cinema, riportando il terrore in città dopo quarant’anni. Un progetto importante e ambizioso che ha visto, proprio per la prima volta dopo il 1978, la collaborazione di John Carpenter. Una trilogia benedetta. L’unica canonica. I fatti del 2018 sono, infatti, direttamente collegati a quelli del 1978. E la maggior parte del cast, con i suoi anni sulla schiena, ha fatto il suo ritorno per affrontare, ancora una volta, il più temibile degli incubi.
L’operazione di Green, in fondo, è stata anche sensata o, comunque, ha avuto un suo perché! Tolto il remake di Zombie, dove il regista dà la sua visione di Michael Myers, il resto dei “sequel” che hanno seguito Halloween – La notte delle streghe, non ha mai davvero colpito. La figura di Michael è stata completamente svuotata del suo significato più recondito, la critica di Carpenter spazzata via, e di horror… è rimasto solo il sangue e la furia omicida.
Green, invece, non ha solo cercato di portare in sala un film coerente con i nostri tempi e con il genere horror mainstream, ma ha cercato di dare una coerenza al racconto di Michael e Laurie e, in larga parte, ci è anche riuscito. Ha messo a confronto lo slasher del ’78 con quello degli anni Duemila, e anche il cambio generazionale che, in questi film, è decisamente importante.
Se Halloween dava nuovamente inizio al terrore, mostrandoci che il mostro non muore mai, Halloween Kills – proseguimento di quella stessa notte – riprendeva il dramma sociale che Carpenter aveva sapientemente seminato nel suo iconico manifesto. Michael Myers è un male talmente potente da essere contagioso. Non è semplicemente il corpo, l’involucro di carne e sangue, ma è l’essenza di Michael ad essere intrisa di puro male.
Se confrontato agli altri colleghi come Leatherface o Jason, o a personaggi iconici degli anni ’70 come Papà Giove, Michael non è l’avanzo di una società capitalista. Non è il freak, l’emarginato, il bifolco isolato oltre i confini della città che non deve essere stuzzicato e dove la colpa può essere imputata sono all’ingenuo sciocco che lascia le “pareti sicure” della moralità e del capitalismo, ritrovandosi faccia a faccia con questi esseri. No. Michael è il frutto di quella stessa società che, in realtà, è marcia dalle fondamenta. Corrotta. Ipocrita. Michael è il male perverso di una società perversa dove nessuno si salva, neanche un bambino.
E questo male, proprio attraverso la figura di Michael Myers, non fa altro che espandersi, contagiare, diffondersi proprio come un virus, come una pandemia. In Halloween Kills la cittadina di Haddonfield non è più alla ricerca del mostro, ma si accontenta di UN mostro, diventando a sua volta brutale, feroce, assetata di sangue e vendetta. Del resto, la stessa Laurie si tramuta in quella faccia della stessa medaglia di Michael.
Ed è proprio per questo, come vedremo in questa recensione di Halloween Ends, che il male non muore mai; anche quando Michael è sparito, la paranoia è talmente diffusa che un anno dopo gli eventi di Kills la notte delle streghe continua a bagnarsi di sangue, dando inizio a un lungo viaggio di nuove vittime e carnefici.
Halloween Ends
Genere: Horror
Durata: 111 minuti
Uscita: 13 Ottobre 2022, al cinema
Cast: Jamie Lee Curtis, Andi Matichak, James Jude Courtney, Will Patton, Rohan Campbell, Kyle Richards
Trama: la notte di Halloween
La trama di Halloween Ends si muove, principalmente, quattro anni dopo rispetto gli eventi di Halloween Kills, aprendosi con un piccolo – ma accattivante – prologo ambientato un anno dopo la sparizione di Michael. L’ombra è davvero sparita? Forse, ma la sua presenza è una percezione costante, a tal punto che Haddonfield non è più la stessa. Tutti hanno paura. Tutti sono sospettosi. E perfino l’ingenuo Corey (Rohan Campbell), chiamato a fare il babysitter per una notte, proprio quella più terrificante dell’anno, si ritroverà a dover provare sulla sua stessa pelle gli effetti di quella paranoia. Una paranoia che l’accuserà di omicidio, cambiando per sempre la sua esistenza.
Tre anni più tardi, la pace sembra essere tornata, ma il sospetto è sempre in agguato. Laurie (Jamie Lee Curtis) prova a vivere in maniera pacifica la sua esistenza con sua nipote Allyson (Andi Matichak), confrontandosi di tanto in tanto con i demoni del passato. O meglio, con IL suo demone. Prova a scrivere un’autobiografia e a spiegare cosa sia effettivamente Michael Myers. Quando pensa però di poter abbassare la guardia, l’eredità di Michael sembra tornare ancora una volta a tormentare la città.
Mentre Allyson prova a sfuggire al suo stigma da vittima, alla compassione che trova nello sguardo degli altri e a mettere a tacere quella rabbia, quel male che cova dentro se stesso, Corey deve fare i conti con lo sguardo accusatorio della città, con l’infamia di assassinio e la consapevolezza di dover fare una scelta: cedere a un antico richiamo malvagio o restare una vittima degli eventi.
In tutto questo, il male, proprio come un morbo, serpeggia per le strade di Haddonfield, sussurra nell’orecchio, si nutre di paura e disperazione, rabbia e rancore, pronto a tornare forse per sempre… o forse, per un’ultima volta.
Tra passato e presente: la paranoia e il “passaggio” di testimone
Continuando la nostra recensione di Halloween Ends, uno dei punti più interessanti della pellicola è sicuramente il prologo e l’uso della paranoia. Come dicevamo prima, Green riprende la linea più sociale di Carpenter, già adoperata in Halloween Kills, rendendo il passaggio dal secondo al terzo film perfetto e coerente.
La regia di questo prologo è ampiamente soddisfacente e riprende anche la struttura narrativa, quella incentrata sulla suspense e costruzione del climax, tipica dell’horror fatto bene. Cosa fa più paura: il mostro in sé per sé o la percezione del mostro? Quando possiamo dare un volto al mostro, automaticamente gli diamo un’identità e questo ci permette di affrontarlo. Probabilmente faremo comunque una brutta fine, ma sappiamo con chi o cosa abbiamo a che fare. Non veniamo più colti alla sprovvista, soprattutto dalle sembianze. Ma quando al mostro non possiamo dare identità… lì siamo nei guai.
Michael è l’ombra. È una presenza che si muove ma non si vede. Incombe ma è impossibile prevedere il suo arrivo. Può essere ovunque. In qualsiasi momento, anche se non lo vediamo. David Gordon Green riesce a creare quell’effetto suggestione tipico di situazioni come quando si è soli a casa, per strada o in un parcheggio o garage e abbiamo la sensazione che dal buio possa sbucare qualcosa da un momento all’altro. La cosa meravigliosa è che spesso e volentieri è pura suggestione e basta. Non c’è niente. Non c’è nessuno. Ma cosa quella paura potrebbe portarci a vedere? Cosa quell’ansia, quell’adrenalina, potrebbe portarci a fare? E se diventiamo noi dei mostri per difenderci da un male che, in realtà, non è presente? Questo è lo scopo di Michael. Questo è l’incipit di Halloween Ends, che funziona proprio come un passaggio di testimone, attraverso la paranoia. La paura. La suggestione.
Una costruzione drammatica finissima ed elegantissima ma che, purtroppo, dura molto poco. Il film sembra più seguire, infatti, le vicende di Corey e Allyson. Se inizialmente l’unione di questi due personaggi e, in particolar modo, l’uso di quello di Corey può sembrare davvero interessante, dopo poco il film si ramifica in due direzioni. Due direzioni ferocemente contrapposte che sembrano urlare da tutte le parti: sono indeciso, mi piacciono entrambe le scelte, tengo tutte e due. Il che andrebbe bene se non fosse che l’una annulla l’altra e se la costruzione di queste storyline facesse acqua da tutte – o quasi – le parti.
Corey rappresenta la classica vittima, il bullizzato stanco di essere tale. L’ultimo che vuole diventare primo, a qualsiasi costo. Il buono a cui hanno tolto tutto, ingiustamente, e arrivato alla conclusione che essere buoni non serve a nulla, risponde agli altri con la stessa moneta. Un potenziale passaggio di testimone, per così dire. Il film sembra essere quasi incentrato su di lui. È una colonna portante, attorno alla quale poi girano Allyson, Laurie e lo stesso Michael. Avrebbe potuto funzionare… se solo non fosse stato trattato in modo così banale.
L’idea di base, l’incipit, come dicevamo, c’è. Ed è molto interessante. Molto coraggiosa. Ma si frantuma del tutto andando avanti nella visione, arrivando a un finale che dice l’esatto opposto della premesse di, forse, tutta la trilogia.
Un film più che si concentra sul concetto del male – visto che è il fulcro di questi tre film e Laurie non fa altro che ripeterlo come se fosse un disco rotto – esercitato da Michael senza far vedere Michael, si può fare. Un passaggio reale di testimone, più o meno inverosimile, si può fare. È una scelta rischiosa, coraggiosa, ma se non lo si fa almeno nel cinema di rischiare, dove dovremmo farlo?
Sembra quasi che Michael voglia lasciare o abbia lasciato una discendenza sottolineando il fatto che lui, in fondo, non ha fatto niente. Sono gli stessi cittadini ad aver creato un nuovo mostro, esattamente come era successo in passato con lui. I mostri non nascono per caso. Eppure, al tempo stesso, non è così. E questo è spiazzante, ma in maniera negativa.
Cosa ci sta raccontando davvero David Gordon Green? Chi è Michael Myers? Solo una maschera di Halloween? La personificazione del male? Una vecchia favola per far andare a letto i bambini? O una frottola che ci raccontiamo per giustificare quel male intrinseco dentro di noi? Quante belle domande. Quante poche risposte.
Un racconto “horror” incerto a partire dal cast
Dal punto di vista registico e narrativo, abbiamo una prima parte di film che tiene abbastanza bene il gioco. Sicuramente non ci aspettavamo una grande rivelazione dell’horror. Non lo sono neanche i precedenti due. David Gordon Green non punta tanto a spaventare, quanto per lo più a omaggiare un personaggio e un film davvero importante, dando un proseguimento e una fine a questa storia, puntando più sull’effetto intrattenimento che sull’aspetto riflessivo di Carpenter. Senza lode e senza infamia, sulla stessa scia dei due film precedenti: diverte, intrattiene, si aspetta con impazienza il massacro e, soprattutto, lo scontro finale. Qualcosa nel gioco, però, si rompe.
Il film si appesantisce, la relazione di Corey e Allison diventa il peggiore degli stereotipi: due emo che giurano di bruciare il mondo a cavallo di una moto nella notte autunnale e coronare il loro sogno d’amore… Stessimo parlando di personaggi di 15 anni, potremmo anche comprendere. Ma no, qui l’età adolescenziale dovremmo averla superata già da un po’. Stereotipi ne abbiamo?
La paranoia sembra far effetto più su Laurie, che dopo il meraviglioso arco di sviluppo dove smette di essere vittima, prende in mano la sua vita e va verso una strada di riabilitazione, sembra tornare a essere incerta. Così come incerta è questa storia che, di riflesso, colpisce tutti i personaggi e anche i loro interpreti. Nel caso di Laurie Strode, parliamo di un personaggio con un pesante trauma mai del tutto elaborato, ma al tempo stesso di una donna che negli ultimi film ha messo a ferro e fuoco tutto pur di stanare Michael. L’incertezza e l’incoerenza del personaggio in questo ultimo capitolo, a volte abbandonato a se stesso, fa storcere un po’ il naso.
Il tutto è privo di mordente. Ridondante. Le azioni si susseguono le une con le altre, e il film sembra non voler prendere mai il decollo. La stessa regia di David Gordon Green avanza con il freno a mano. Si tenta di costruire un minimo di tensione, ma il tutto viene costantemente smorzato dalle “tensioni” sentimentali dei due personaggi più giovani. Parlando proprio di cast, le stesse interpretazioni sono altalenanti, partendo proprio da Andi Matichak e Rohan Campbell.
La prima vorrebbe immolarsi a nuova final girl, ma altro non è che uno strascico che facilmente si dimentica nel tempo. Una ragazzina nella sua fase adolescenziale (superata da un po’) che si comporta esattamente nel modo opposto solo per far dispetto alla nonna, facendola passare per la pazza di turno. Così poco sentita la recitazione della Matichak. Così sullo sfondo.
Ancora più altalenante Rohan Campbell, che se all’inizio se la cava non troppo male, mostrando comunque gli effetti dell’incidente su di sé, con la sua vena da “bad guy” rovina tutto il resto. La sua espressione da duro diventa, in realtà, un’unica espressione che porterà avanti per tutto il film. Da protagonista diventa presto un personaggio di funzione che vorremmo toglierci da davanti alle scatole il più velocemente possibile. A tratti risulta al limite del patetico.
Jamie Lee Curtis è Jamie Lee Curtis, questo dovrebbe bastare e avanzare. Ma, come dicevamo prima, anche la sua Laurie – sua seconda pelle praticamente – risente non poco di una sceneggiature che pare andare più a tentativi che avere un piano preciso su dove voler arrivare.
E, purtroppo, questa incertezza l’accusa lo stesso Michael Myers che passa, nel giro di pochi minuti, dall’Übermensch di Carpenter a un vecchio di ottant’anni con una maschera di Halloween, per poi tornare nuovamente ad essere la terribile ombra. Per quanto la sospensione dell’incredulità in questi casi sia necessaria, è anche vero che affidare tutto a questa senza dare un minimo di spiegazione, o quanto meno un contesto che possa risultare almeno in parte credibile, è un bel po’ da ingenui. Ed è un grande dolore assistere a questa bipolarità di fondo del personaggio che, dopo essere risorto ascendendo a totale mostruosità non più legata alle fattezze umane, fa un terribile passo indietro che, inevitabilmente, va completamente a soffocare il finale.
Un finale che lascia con l’amaro in bocca
Arriviamo alla conclusione di questa recensione di Halloween Ends, per dedicarci alla parte più delicata di questo film. La chiusura di una trilogia non è mai facile. Il peso delle responsabilità legate non solo a un film, ma a tre film, si sente. Tutto deve essere molto coerente. Molto preciso. E, soprattutto, si deve trovare la giusta chiusura. Non tanto quella che metterà d’accordo tutti quanti perché no, quello è decisamente impossibile. Quanto più una chiusura che renda sensato il racconto, giustifichi in larga parte le scelte e dia un senso ai personaggi. Questo sia se si è deciso di optare per un finale chiuso, sia per un finale aperto.
Dai paragrafi precedenti si è purtroppo capito che quest’ultimo capitolo non lascia soddisfatti. Né di quella giusta, epica e aspettata chiusura né di Michael e Laurie. Sembra quasi che, proprio sul finale, David Gordon Green si sia così annoiato del progetto, magari ben più eccitato in prospettiva del futuro con la nuova trilogia de L’Esorcista, che l’unico obiettivo sia stato quello di chiudere. Non importa se bene o male. L’importante è chiudere. Ovvio che i nodi vengano immediatamente al pettine.
È indubbio che la pandemia non abbia reso le cose facili per questa trilogia, ma è altrettanto vero che ha fatto guadagnare del tempo in più proprio per sistemare, allineare, limare quelle parti di questo film che, invece, lo avrebbero reso un degno terzo capitolo, un’interessante e divertente chiusura. Cosa resta, invece? L’amaro in bocca e una pellicola ben presto dimenticabile, nonché la più debole dei capitoli precedenti.
Un film che non sa che direzione prendere: le prova un po’ tutte forse con l’illusione di poter stordire o confondere lo spettatore, ma tutto ciò in cui riesce è rendere grottesco, poco credibile e a tratti abbozzati i personaggi di questa storia che, invece, avrebbe meritato una cura maggiore. La stessa cura che, da grande fan quale è, David Gordon Green aveva riposto in Halloween e Halloween Kills.
Halloween Ends è un’occasione sprecata. Una progetto che parte bene ma che chiude in sordina, in modo banale, svogliato e anche piuttosto disinteressato un film decisivo per il boogyman per eccellenza e la madre di tutte le final girl. E no, non basta citare sequenze del cult del ’78 o disseminare la pellicola di easter egg per chiudere, in maniera degna, il film.
Un film che manca di coraggio e di inventiva, ma soprattutto che non vuole prendersi le sue responsabilità, puntare realmente il dito e urlare a gran voce che no, esattamente come scrive Laurie nel suo libro, il male non muore proprio mai perché, in fondo, il male aleggia in ognuno di noi. E invece…
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La recensione in breve
Halloween Ends prosegue la strada più sociale portata avanti in Halloween Kills, facendo serpeggiare la paranoia che sembra conquistare lo stesso spettatore. Uno stato di ansia e angoscia accompagna la prima parte di film, in particolar modo lo splendido prologo. Un peccato che il tutto si perda a causa di una sceneggiatura pasticciata, indecisa e sul finale perfino tombale. Un Michael appesantito che ha perso la sua verve. Una Laurie lasciata un po' persa. Personaggi incoerenti. Una narrazione poco coraggiosa e ispirata che rende questo terzo e ultimo capitolo, sfortunatamente, il meno impattante dei tre.
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Voto ScreenWorld