Dopo il successo di Cena con delitto – Knives Out, era grande l’attesa per il secondo capitolo, che è stato presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival e farà altri passaggi in sala prima di approdare su Netflix, che ha acquistato i diritti per i due sequel del giallo targato Rian Johnson uscito nel 2019. E il contributo della società di streaming, come cercheremo di spiegare in questa recensione di Glass Onion – Knives Out (in sede di marketing, ma non nei credits del film stesso, c’è il sottotitolo A Knives Out Mystery), è al contempo vistoso e paradossale.
Glass Onion – Knives Out
Genere: Giallo
Durata: 139 minuti
Uscita: 23 dicembre (Netflix)
Cast: Daniel Craig, Edward Norton, Janelle Monáe, Kathryn Hahn, Leslie Odom Jr., Jessica Henwick, Madelyn Cline, Kate Hudson, Dave Bautista
La trama: via dalla pandemia
La storia si svolge in piena pandemia, con tutti colpiti dal tedio del telelavoro e del non poter interagire con le persone come si era soliti fare. Benoit Blanc è particolarmente annoiato, perché tra un lockdown e l’altro i casi su cui indagare sono diminuiti considerevolmente. Poi, un giorno, riceve un invito da parte di un eccentrico magnate, Miles Bron, che annualmente riunisce i suoi migliori amici e organizza dei giochi, basati sulla sua passione per i puzzle e gli enigmi. Questa volta l’appuntamento è sulla sua isola privata in Grecia, e il tema del weekend è l’omicidio. Solo che poi il morto ci scappa per davvero, e la presenza di Blanc si rivela ancora più fondamentale del previsto…
Il cast: gli insoliti sospetti
Ovviamente ritorna Daniel Craig nei panni di Blanc, da ascoltare e apprezzare in lingua originale per il suo accento buffo e al contempo ipnotico. Il ricco Miles ha le fattezze di Edward Norton, mentre i suoi eccentrici amici sono Kathryn Hahn, Leslie Odom Jr., Dave Bautista, Janelle Monae, Kate Hudson, Jessica Henwick e Madelyn Cline, uno più strepitoso dell’altro.
Noah Segan, collaboratore ricorrente di Rian Johnson e già presente in Cena con delitto nel ruolo di un poliziotto, ritorna interpretando un personaggio nuovo, e l’altro attore-feticcio del regista, Joseph Gordon-Levitt, che nel primo film aveva un cameo vocale, fa la stessa cosa qui, con risultati esilaranti. Appaiono brevemente anche Ethan Hawke, l’attrice teatrale Jackie Hoffman e il musicista Stephen Sondheim, quest’ultimo scomparso lo scorso anno poco dopo la fine delle riprese.
Furbamente stupido
Durante la presentazione del film a Toronto, rispondendo a una domanda del pubblico, Rian Johnson ha precisato che l’intento di questi lungometraggi non è essere più intelligenti dello spettatore, perché nel momento in cui si parte da quel presupposto la pellicola ne soffre. Da quel punto di vista, la scelta di rendere la vittima nel primo capitolo un autore di gialli era un modo per mettere le mani avanti: è solo l’ennesima variazione sul tema, nulla di trascendentale. Un esercizio di genere che vuole principalmente divertire.
Ed è con tale filosofia che Johnson si è avvicinato al secondo episodio, che per certi versi – e il film lo dice esplicitamente, a partire dall’escamotage che consente ai personaggi di andare in giro senza mascherina – è più stupido del prototipo, e proprio per questo altrettanto riuscito. Il regista non cerca di costruire un mistero più solido o intrigante rispetto al 2019, il che paradossalmente rende ancora più interessante la riflessione sulla struttura narrativa, esemplificata già dal titolo: la cipolla di vetro – un vero oggetto all’interno della pellicola, il cui nome deriva da una canzone dei Beatles – è una cosa che in apparenza ha vari strati, ma in realtà è trasparente e tutto ciò che contiene è davanti ai nostri occhi.
Opulenza satirica
Il principale lascito del primo film, a parte il ritorno di Craig che gigioneggia amabilmente, è l’analisi satirica dell’americano privilegiato che nel 2019 metteva spudoratamente alla berlina una certa ipocrisia fintamente liberale all’interno di una famiglia che in realtà era neanche tanto velatamente trumpiana. Qui, supportato dal contributo finanziario di Netflix, Johnson pigia più genericamente – ma con elementi specifici quali il Covid, la monetizzazione su YouTube e la paranoia da cancel culture – sul tasto del capitalismo, mettendo in scena un gruppo di amici benestanti che sostengono di essere dalla parte del popolo ma sotto sotto lo disprezzano (il fatto che l’opulenta dimora di Miles si trovi in Grecia, paese che da un decennio è praticamente sinonimo di crisi economica, la dice lunga). Non cerca di riscrivere le regole, anzi: si attiene a quelle originali, che tre anni fa erano incarnate dalla mitica tazza di caffè (“My House, My Rules, My Coffee”), aggiornandole il giusto per continuare a divertire con criterio e ferocia. Senza la pretesa di migliorare il mondo, con un’onestà di cui quasi tutti i suoi personaggi sono magnificamente privi.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
La recensione in breve
Rian Johnson non cerca di fare meglio del primo Knives Out, e proprio per questo se ne esce con un sequel altrettanto brillante, ancora più divertito e divertente nella sua analisi della struttura narrativa del giallo classico.
-
Voto ScreenWorld