Dopo il meritato Gran Prix della Giuria assegnato all’ultimo Festival di Cannes, arriva finalmente nelle sale italiane Close, secondo lungometraggio scritto e diretto da Lukas Dhont e distribuito da Lucky Red a partire da mercoledì 4 gennaio. Al suo secondo tentativo dietro la macchina da presa, il cineasta belga (che ha soltanto 31 anni e già uno straordinario talento da vendere) riparte dalle solidissime fondamenta del suo precedente Girl del 2018 per dipingere con tocchi teneri e allo stesso tempo violenti un racconto di formazione adolescenziale da antologia.
Nella nostra recensione di Close, ci soffermeremo su quanto la seconda pellicola di Lukas Dhont riesca a narrare gioie e drammi di un passaggio di età delicato e fortemente formativo per i suoi due giovani (e straordinari) protagonisti grazie ad un linguaggio e una sensibilità cinematografica rare per il cinema europeo contemporaneo. Il risultato, è un coming of age poetico e cristallino, dove lacrime e sorrisi si mescolano per dar vita ad un’esperienza cinematografica commovente.
Close
Genere: Drammatico
Durata: 105 minuti
Uscita: 04 gennaio 2023 (Cinema)
Cast: Eden Dambrine, Léa Drucker, Emilie Dequenne, Kevin Janssens, Igor Van Dessel
La trama: un’amicizia speciale
I dodicenni Leo (Eden Dambrine) e Remi (Gustave De Waele) sono da sempre amici inseparabili; tra i due, Remi è quello più estroverso e vivace, Leo invece è sempre stato quello più sensibile, che quando intraprende il nuovo ciclo delle scuole medie fa difficoltà ad inserirsi nelle dinamiche sociali tipiche della sua età. Una fase di sviluppo, quella del passaggio dall’infanzia alla temuta adolescenza, che i due amici per la pelle vivranno in maniera del tutto conflittuale e complessa; non soltanto i nuovi compagni di classe li prendono costantemente in giro per il loro rapporto speciale facilmente fraintendibile, ma con il tempo Leo inizia a distaccarsi dalla costante vivacità caratteriale di Remi.
Se quest’ultimo non si pone problemi visto che la cosa più importante è il suo rapporto di amicizia con Leo, il primo decide progressivamente di tagliare i ponti con il suo prediletto, tanto che una mattina, prima di recarsi a scuola, non aspetta Remi per fare il tratto di strada assieme. Un gesto di rottura che porterà a delle conseguenze inaspettate e tragiche e che coinvolgerà non soltanto il rapporto esclusivo tra i due dodicenni ma anche le rispettive famiglie. Un incipit di grande potenza quello di Close, seconda opera per il grande schermo diretta dal trentunenne Lukas Dhont e co-scritta assieme ad Angelo Tijssens, già tra le voci più originali ed interessanti del nuovo cinema LGBTQ internazionale.
In attesa di diventare grandi
Come per il suo precedente Girl, anche in questo secondo, riuscitissimo tentativo dietro la macchina da presa Dhont si cimenta con il racconto per immagini di un passaggio di età fondamentale per la crescita e l’auto-consapevolezza dei suoi giovani protagonisti. Il poetico coming of age di Leo e Remi si tramuta nelle mani del cineasta belga in un affresco cinematografico di bellezza mozzafiato, dove il rapporto che si instaura tra i due dodicenni e la Natura che li circonda si concretizza nelle frequenti corse a perdifiato tra le campagne al calar del sole di Leo e Remi; una visione panteistica e totalizzante tra uomo e ambiente naturale che sottolinea non soltanto la completa simbiosi tra i due ragazzi con la realtà circostante ma anche il loro ambiguo rapporto di esclusività.
Amici per la pelle il cui destino imprevedibile viene raccontato dal talentuoso regista con la grazia visuale dell’ultimo Terrence Malick, senza dimenticare i debiti artistici che ne hanno formato la sensibilità e i gusti, e che qui tornano deliziosamente prepotenti: da echi del primissimo cinema dei fratelli Dardenne ai migliori lungometraggi che hanno reso celebre François Truffaut, Close ha quindi l’assetto di un racconto di formazione che raccoglie a piene mani dalla tradizione del cinema francofono di ieri e di oggi per mettere in scena dolori e lacrime dell’adolescenza, di quella umana necessità di dover diventare, finalmente, grandi.
Un film ad altezza di adolescente
Se nel precedente Girl il regista aveva il coraggio di raccontare il percorso doloroso e illuminante di una ballerina quindicenne intrappolata in un corpo maschile nel quale faceva fatica ed identificarsi, qui Dhont sposta l’oggetto della sua attenzione cinematografica dal corpo adolescenziale in costante trasformazione agli sguardi silenziosi ma carichi di spessore emotivo dei suoi due protagonisti. Rimanendo ancora una volta ancorato ad un’idea di cinema ad altezza di adolescente, Dhont sfrutta al massimo tutta la sua poetica capacità di narrare per immagini indugiando frequentemente sui primi e i primissimi piani dei volti di Leo e Remi.
Una scelta linguistica che fa da ideale contrappunto alla natura enigmatica del rapporto tra i due piccoli protagonisti di Close; nella loro relazione paiono alla fine dei conti mostrare più importanza comunicativa i silenzi assordanti del non detto, degli impliciti sentimenti reciproci anziché della sfacciata concretizzazione “alla luce del sole” di un percorso di auto-consapevolezza sessuale che porterà però Leo e Remi a conseguenze tragiche ed inaspettate nel loro rapporto.
Elegia dell’innocenza perduta
Forse è nella struttura narrativa del “prima” e del “dopo” il fatidico incidente tra i due che il Close del cineasta europeo cade a più riprese nella facile trappola del sentimentalismo grossolano. Alla costante ricerca della lacrima facile da cavare allo spettatore meno smaliziato, il film vincitore a Cannes però non può esimersi dal guadagnarsi i nostri favori quando lo si analizza nella sua compatta interezza più che negli intenti rivolti al suo atto finale. Per tale motivo Close è quanto di più vicino possa esserci nel panorama cinematografico attuale ad una tenera elegia dell’innocenza perduta nel traumatico passaggio dall’infanzia all’adolescenza.
Un affresco giovanile che forse cerca più consensi democratici rispetto al precedente Girl di quattro anni prima, ma che Lukas Dhont affronta con un linguaggio filmico poetico e trasognante capace di conquistare una platea di spettatori più larga e trasversale possibile. Che tutto sommato, nel cinema LGBTQ+ contemporaneo, non è assolutamente un demerito.
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La recensione in breve
Close, il film di Lukas Dhont premiato a Cannes con il Gran Premio della Giuria, è uno dei coming of age cinematografici più potenti degli ultimi anni. Dopo aver diretto l'ottimo Girl, il regista belga si conferma voce più poetica ed originale del cinema LGBTQ+ contemporaneo, confezionando un lungometraggio ad altezza di adolescente e ricco di emozione genuina.
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Voto ScreenWorld