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    Being The Ricardos, la recensione: la TV americana degli anni ’50 rivista da Sorkin

    Claudio GarganoDi Claudio Gargano30 Dicembre 2021Nessun commento7 min lettura
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    Tra il clamore per Spiderman No Way Home e le polemiche del film natalizio Netflix Don’t look up, alcuni titoli interessanti sono passati in sordina durante queste feste, come per esempio questo Being the Ricardos (in italiano A proposito dei Ricardos), prodotto da Amazon Studios e approdato su Prime Video il 21 Dicembre. Come vedremo in questa recensione di Being the Ricardos, questo film scritto e diretto dallo sceneggiatore-star, nonché regista, Aaron Sorkin, celebre per i suoi dialoghi fulminanti e serrati (gli esempi più alti sono Codice d’onore e The Social Network, nonché la serie West Wing) e per le sceneggiature zeppe di temi forti e attuali, sputati fuori nel corso di veri e propri duelli a suon di battute.

    Non fa eccezione Being the Ricardos che punta i riflettori su Lucille Ball e Desi Arnaz, due star della televisione americana degli anni Cinquanta che con la prima sitcom della storia, I Love Lucy (in italiano Lucy ed io), andata in onda dal 1951 al 1957, entrarono settimanalmente nelle case di milioni americani che ne fecero i propri beniamini, diventando un vero e proprio fenomeno di costume.

    Being the Ricardos (2021)

    Genere: Drammatico
    Durata: 131 minuti
    Uscita: 21 dicembre 2021 (Amazon Prime Video)

    Regia: Aaron Sorkin
    Cast: Nicole Kidman, Javier Bardem, J.K. Simmons

    Il trattamento Sorkin

    Come già fatto per Steve Jobs (2015), Sorkin evita la struttura classica del biopic e sceglie di mostrare un periodo circoscritto della vita dei due attori e precisamente la settimana cruciale in cui la Ball fu accusata, in epoca di maccartismo e di caccia alle streghe, di essere comunista. Lo stratagemma di mostrare i protagonisti in un momento di forte crisi della loro vita aiuta dunque a far uscire tutto il meglio e il peggio dei loro caratteri, insomma a spremere fuori la verità, come già Sorkin fece per la vicenda di Jobs, le cui ombre vennero esplorate nei momenti clou delle presentazioni dei suoi computer.

    Nella settimana infernale che passeranno tutto il cast e la troupe di I Love Lucy, in cui viene saggiata anche la tenuta del rapporto tra Lucille Ball e il marito di origini cubane, Desi Arnaz, vengono inoltre inseriti e incorporati altri temi e altri eventi, accaduti in realtà in altri momenti della lavorazione dello show (la gravidanza di Lucille e la scoperta delle infedeltà di Desi), nonché alcuni flashback illuminanti sulla genesi della storia d’amore dei due interpreti e sulla natura del loro rapporto.

    Una Kidman strepitosa.

    Sorkin ha affidato i ruoli a due consumate e solide star come Nicole Kidman e Javier Bardem, la prima quasi irriconoscibile per il trucco prostetico usato per renderla più simile alla Ball. È soprattutto lei che offre un’interpretazione strepitosa per l’aderenza non vistosa, ma calzante, alla Ball, con un carattere forte e indipendente, piuttosto che alla Lucy Ricardo che il pubblico americano conosceva tramite lo show televisivo. La Lucille di Sorkin e Kidman non è quella delle gag in cui strabuzza gli occhi durante lo show, bensì quella dalle battute taglienti, dallo sguardo deciso e dalla schiena dritta di chi vuol farsi valere come donna, come attrice e come artista.

    I segreti della drammaturgia

    Infatti il pregio maggiore di questo film sta proprio nel mostrare il modo ossessivo con cui Lucille interviene sulle problematiche drammaturgiche di quella che in fin dei conti è soltanto una sitcom e non certo Shakespeare, come viene giustamente sottolineato in uno dei dialoghi. Eppure anche nella messa in scena di una semplice entrata di un personaggio che deve far ridere può esserci del genio artistico. Fondamentale e simbolico sarà l’intervento, purtroppo poco recepito dagli autori, di Lucille su un’entrata in scena del marito Desi che dovrebbe farle uno scherzo mentre lei, inconsapevole, taglia dei fiori. La lotta di Lucille per rendere più credibile quella scena, così come pure tutta la cena con gli amici e padroni di casa, Ethel e Fred, è uno degli aspetti più appassionanti di Being The Ricardos, più del rischio di soppressione dello show a causa delle accuse di antiamericanismo fatte nei confronti della Ball.

    È nelle riflessioni sull’arte drammaturgica che il film di Sorkin tira le frecce migliori dal suo arco, ovvero facendo respirare allo spettatore le atmosfere del backstage di una sitcom che richiede 5 giorni di preparazione per ogni episodio, tra la lettura del copione, le prove dei movimenti degli attori, quelle dei movimenti di macchina, la prova generale e infine la registrazione dello show davanti ad un pubblico di duecento persone. Il lavoro che c’è dietro la realizzazione di una breve puntata è dunque enorme e l’interazione tra i tre sceneggiatori (tra cui spicca la pungente ma leale Madelyn Pugh) e Lucille è costante, tumultuosa e affascinante. La lotta per una battuta, per una gag più o meno riuscita, la conquista di un movimento o di una postura che in una determinata scena acquistano un significato ben preciso, sono l’appassionante terreno di scontro tra il carattere indomito, ma anche ossessivo, della star Lucille, quello più cerebrale dei tre sceneggiatori e quello più accondiscendente degli attori comprimari, costretti perfino a prove notturne.

    Molta carne al fuoco

    Altro tema fondamentale del racconto, il rapporto tra il mascolino e sanguigno Desi, interpretato da un Bardem canterino in gran forma, e una donna alfa come Lucille che, con la sua carriera, metterà in ombra quella di un marito che si sentirà sminuito. Tale rapporto fa scintille sia in positivo che in negativo e viene arricchito e approfondito da brevi flashback che ne mostrano il primo incontro e lo sviluppo seguente.
    La gravidanza di Lucille, che Desi vorrebbe far accettare ai produttori dello show come parte integrante e naturale della trama, e le accuse di comunismo affibbiate alla Ball sono gli altri poli attrattivi della scoppiettante sceneggiatura di Sorkin che a volte procede appunto per scoppi improvvisi, magari lasciando indietro lo spettatore che, non avendo tutte le informazioni del caso, potrebbe perdersi qualche dettaglio, considerata anche la consueta velocità dei dialoghi, vero e proprio effetto speciale dei copioni di Sorkin.

    La condensazione di così tanti temi in un’unica fittizia settimana di lavorazione della sitcom fa scricchiolare la tenuta del film in alcuni punti, soprattutto quando si vuole necessariamente attribuire a Lucille Ball sia il ruolo di paladina del femminismo che del diritto di opinione nell’America maccartista, nonché di artista a tutto tondo, vera responsabile della riuscita di I Love Lucy. Cosa che certamente è stata, ma l’accumulo di tutto questo non giova alla tenuta di Being The Ricardos. Si avverte dunque la forzatura di Sorkin a infilare nella vicenda i temi politici a lui cari, ovviamente condendo il tutto come sempre con i suoi scintillanti dialoghi. A conclusione della linea narrativa politica giunge infine un deus ex machina, di cui non diremo qui il nome, che come paladino della libertà di espressione, risulta a dir poco imbarazzante. Lo scioglimento invece del rapporto coniugale e d’amore tra Lucille e Desi risulta invece più interessante, perché colorato di quel tono dolceamaro che spesso impregna la vita delle persone e che qui lascia appunto un retrogusto amarognolo ma vivo.

    Il revival delle sitcom


    Rimane il ritratto vivido di un’epoca ormai perduta e di una fase fondamentale della storia della televisione (interessanti gli aspetti tecnici dedicati alle tre telecamere con cui veniva ripreso lo show e che premettevano comunque al pubblico in sala di godere dello spettacolo), reso ancor più vivo e interessante dalle superbe interpretazioni dei due protagonisti e da uno stuolo di comprimari di prim’ordine, a partire dal sempreverde e amato J.K. Simmons, per passare da Nina Arianda, Tony Hale, Alia Shawkat, Clark Gregg (l’agente Coulson dello S.H.I.E.L.D.) e il mitico Ronny Cox, villain dei film di Verhoeven Robocop e Total Recall.

    Nonostante l’accumulo eccessivo e forzato di alcuni temi e una superflua cornice da finto documentario in cui vengono intervistati gli sceneggiatori anziani, il film scorre benissimo e avvince per la scrittura serrata, il montaggio e il fascino della vicenda d’altri tempi, nonché il glamour dei protagonisti. Ma soprattutto, come già detto, desta grande interesse l’esplorazione delle insospettabili problematiche drammaturgiche relative a un prodotto di largo consumo come una sitcom per famiglie. In un 2021 iniziato col revival delle sitcom proposto, in maniera cronologica e geniale, dalla serie Marvel WandaVision, diventa affascinante concluderlo con un film che rispolvera la capostipite delle sitcom americane, facendola brillare ancora una volta, con le sue luci e anche con le sue ombre.

    Conclusioni

    7.0 Glamour

    Una rievocazione affascinante di un periodo importante della storia della televisione, in una confezione sopraffina, con un grande cast, una scrittura scoppiettante e una importante riflessione sulla drammaturgia televisiva. Peccato per l'accumulo forzato di diversi temi, cari all'autore, che rendono il film scricchiolante in alcuni punti.

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