Tra i film del maestro Miyazaki distribuiti in sala durante l’estate da Lucky Red non poteva certamente mancare Principessa Mononoke. Un’opera che da una parte racchiude molte delle tematiche care al regista, dall’altra le mette in scena con un livore quasi mai visto nei suoi altri lavori. Uscito nel 1997 il film riscosse in Giappone un successo dirompente, diventando all’epoca il maggior incasso della storia del box office nipponico. Un risultato frutto dell’energia che trasuda il lungometraggio, del ritmo e di una serie di sequenze che lo rendono un film action perfetto.
Ma il lavoro di Miyazaki nella creazione di quest’opera incentrata sulla sfiducia nel genere umano è anche ricco di stratificazioni che affondano le radici nel folklore giapponese e nella fortissima tematica ambientale. E come molte altre opere del maestro anche qua gli ultimi minuti lasceranno un sapore dolce-amaro allo spettatore.
La natura al centro
Come dicevamo e come è noto, il tema ambientale è onnipresente nel cinema di Miyazaki. Una forza che anima, si dipana e viene a sua volta emanata da ogni opera del maestro. In Principessa Mononoke però il tema non è solamente suggerito, non è come in altri casi parte di una cornice narrativa o una chiave di lettura. La natura è centrale, è il fulcro narrativo dell’opera. È a tutti gli effetti il personaggio protagonista del film. Anzi è più personaggi, è l’insieme di tutte le fazioni, è la totalità di quello che vediamo sullo schermo. L’ambiente e la natura in Principessa Mononoke sono l’universo narrativo e chi vi si muove dentro. Gli stessi uomini, colpevoli di seguire il proprio incontrollabile bisogno di sviluppo, espansione e progresso sono membri della natura e dell’ambiente che distruggono. È proprio in questo che risiede lo strapotere del film di Miyazaki: la capacità di inscenare uno scontro crudele e cruento intra-naturale. Non una guerra tra fazioni slegate. Niente Guelfi e Ghibellini, Alleati e Forze dell’Asse. Il problema non è nello scegliere bianco o nero ma nella mancanza di equilibrio.
Possiamo notarlo nella caratterizzazione dei personaggi principali. San, la Principessa Mononoke abbandonata e cresciuta tra i lupi, prova un rancore tale verso gli esseri umani che la acceca. La rende violenta, feroce e, per quanto abbia giuste motivazioni non ci è mostrata come un personaggio totalmente positivo. D’altro canto Lady Eboshi, simbolo dello sconsiderato espansionismo umano, a tratti crudele e pronta a immolarsi contro la natura è comunque un buon capo per il suo popolo, portatrice di una società paritaria e per molti versi ideale. L’unico personaggio realmente positivo è Ashitaka che, nel tentativo di mediare tra le fazioni, è per Miyazaki la rappresentazione positiva dell’equilibrio. Un equilibrio che però non va inteso come una situazione da 50/50, come il regista mostra proprio nel finale.
Il finale: l’equilibrio secondo Miyazaki
Ecco quindi la nostra spiegazione del finale di Principessa Mononoke, che è tutto fuorché un classico happy ending ma nasconde diversi significati. Dopo la decapitazione del Dio Bestia (o Dio Cervo), l’essere divino che racchiude in sé tutte le forme animali tornerà sotto altra forma portando distruzione nel mondo. Sembianze, comportamenti e conseguenze della divinità ricordano in questo frangente molto un kaijū. Non uno qualsiasi ma proprio Godzilla, non a caso divenuto a partire dalle apparizioni anni ’70 una personificazione della natura. Quando tutto sembra portare verso una fine tragica, San e Ashitaka intuiscono la soluzione. Devono cercare di riconsegnare la testa alla divinità. Con molta fatica riescono nell’intento ma la reazione del Dio Bestia è quella di provocare una forte esplosione al termine della quale ci saranno risvolti inaspettati: la natura, infatti, tornerà a dilagare e rifiorire. Gli uomini sopravvissuti sorrideranno e capiranno di dover gestire in altro modo il progresso. Mononoke tornerà a vagare nei boschi mentre Ashitaka le propone di rivedersi e vivere insieme la loro vita, cercando di mediare, rappresentando loro stessi una convivenza sostenibile.
È questa la vera scelta di campo di Miyazaki. L’equilibrio che propone è di fatto e del tutto a trazione ambientalista e naturalista. Una situazione in cui l’uomo deve fare un passo indietro, rallentando la folle e incontrollata espansione. A ulteriore testimonianza di questo vi è l’ultima inquadratura: il ritorno del kodama, simbolo di speranza e di un ritorno della natura.