Un’innocenza artificiale nel corpo di donna esce dalla vita costruita per lei e va alla ricerca della conoscenza che la conduce alla liberazione. Non stiamo parlando di Barbie, ma di Povere Creature!
La riscrittura come strategia narrativa trova grande risonanza nel postmodernismo: dà voce a chi è oppresso/a e consente decostruzioni e ricostruzioni.
Madre e figlia
Riscrivendo Frankenstein, Gray prima e Lanthimos e MacNamara poi, presentano un mostro femminile di rara bellezza, Bella Baxter, riportata in vita da “God” (Godwin, lui sì dai tratti mostruosi), che recupera – senza alcun tipo di consenso – il corpo di una donna incinta morta suicida, impiantando in esso il cervello del feto. Quindi Bella è madre e figlia di se stessa e, nello specifico, la figlia che salva la madre. Le azioni di Bella rispecchiano quelle di una bambina, che rimane estasiata dal piacere sessuale e da ciò di cui il suo corpo è capace. Arriva così la sete di conoscenza e di esplorazione, ostacolata da God che la pretende chiusa in casa. Ecco spiegata la prima parte del film in bianco e nero con angolazioni claustrofobiche e lenti fisheye. Ma Bella incontra presto l’avvocato Duncan Wedderburn, che le promette la libertà.
Il viaggio ha inizio
Con Povere creature!, il regista Yorgos Lanthimos crea una narrazione che ricorda il viaggio di un eroe mitico, raccontando la storia di una donna appena creata dalla scienza folle che si imbarca in una ricerca per scoprire se stessa. La sua esistenza è completamente sotto il controllo di Godwin e i suoi movimenti sono meticolosamente documentati dall’assistente dell’uomo, che si infatua rapidamente di lei. Allo stesso tempo, Bella inizia a scoprire la propria sessualità, trovando piacere nel piacere e, confusa dai vincoli sociali, matura una forte spinta all’avventura e all’esplorazione del mondo. Un’opportunità per la sua fuga si presenta grazie a Wedderburn, un avvocato edonista che si offre di portarla via. La coppia successivamente intraprende un tour pieno di sesso nel Mediterraneo, dove Bella scopre dentro di sé un profondo desiderio di contribuire a migliorare il mondo.
Sesso, autodeterminazione e manipolazione
Il film è fortemente interessato all’interazione tra sesso e autodeterminazione. Tuttavia, più Bella cerca la libertà, più gli uomini intorno a lei vogliono incatenarla. Duncan può essere affascinante, ma nel momento in cui vede Bella autodeterminarsi, perde la calma e cerca di appropriarsene; tuttavia, Bella è famelica e raggiunge qualsiasi cosa desideri con una passione spietata che non ha riguardo per la correttezza o per le pretese di proprietà degli uomini che via via incontra. Alla fine del film, Bella riesce a trovare un equilibrio, liberandosi dagli uomini che tentano di ingabbiarla e rivendicando la sua sessualità come propria. Abbraccia ancora una volta il proprio piacere, anche se, a differenza dell’inizio, ora è lei ad avere il pieno controllo del suo destino, e il piacere stesso non viene più usato per manipolarla. Tutti i personaggi maschili del film tentano di tenere sotto controllo Bella – Godwin attraverso la sperimentazione scientifica, Duncan attraverso l’edonismo e la manipolazione – e alla fine tutti falliscono nei loro obiettivi. Povere creature! si può leggere come una favola sulla liberazione di Bella Baxter e sul suo rifiuto di scendere a compromessi con una società vittoriana dominata dagli uomini.
Femminista a metà
Il film ci chiede di immaginare una sessualità femminile che non sia stata plasmata dalla società e dal suo arsenale di regole esplicite, aspettative inespresse, vergogna, violenza palese e controllo più o meno esplicito. Dal momento in cui Bella scopre la masturbazione a tavola, per poi consigliarla a una cameriera irritabile, la performance selvaggia di Emma Stone è pura libido junghiana (desiderio, volontà, interesse, passione). Bella è più simile a un fuoco che a un mostro: distruttiva, incurante e purificatrice. Eppure, mentre in superficie Povere creature! può passare come una storia di liberazione femminile e femminista, ci sono due fattori intrecciati che non la rendono propriamente tale: Bella Baxter è una donna bellissima, e se così non fosse stato non avremmo avuto nessun tipo di viaggio e nessun tipo di liberazione. Tutto ciò che le accade, tutte le svolte narrative e tutte le relazioni che via via stringe nel corso nella narrazione, sono subordinate al suo essere bella. La bellezza prima della ribellione muove il suo arco trasformativo. Inoltre, in buona parte del film, lo sguardo maschile (male gaze) oggettivante regna indisturbato.
Male Gaze
La teorica e regista Laura Mulvey, nel saggio Piacere visivo e cinema narrativo (1973), utilizza la psicoanalisi freudiana e lacaniana per analizzare lo sguardo nel cinema classico hollywoodiano. Secondo la sua interpretazione, la fantomatica magia di Hollywood si basa sulla manipolazione del piacere visivo. Considerando che le produzioni cinematografiche erano (e sono) gestite principalmente da uomini, la prospettiva che si tende ad utilizzare è sempre quella maschile. La storia spesso è raccontata dal punto di vista di personaggi maschili, per procurare piacere, empatia e identificazione allo spettatore maschio. Secondo Mulvey, nel cinema si è quindi venuta a creare una dicotomia fortissima: uomo/attivo, donna/passiva. Infatti la donna funge molto spesso da oggetto, messo in mostra per soddisfare le fantasie maschili.
Cos’altro è Bella Baxter, nella prima metà del film, se non l’incarnazione perfetta del desiderio maschile? Una donna bellissima, disinibita, ingenua e in attesa di farsi spiegare come funziona il mondo dal primo maschio di turno. Mulvey suggerisce poi che il cinema non ha solo contribuito all’oggettivazione del genere femminile, ma ha anche stabilito il modo in cui una donna va guardata, sostenendo che i film tradizionali di Hollywood rispondono pulsioni voyeuristiche (sadiche) o scopofile (feticistiche): in ogni caso, il piacere sessuale implicito nel guardare. Il male gaze, secondo la teorica femminista, si attua attraverso tre prospettive: quella della macchina da presa, che include, esclude e segmenta corpi; quella dei personaggi maschili; quella del pubblico, che empatizza con le prime due. Insomma, non è raro che la macchina da presa imiti la prospettiva dei personaggi maschili condizionando il pubblico e quasi forzandolo a vedere attraverso i loro occhi. Ricordiamoci sempre che al cinema lo sguardo è potere.
Female Gaze
Ciò che ci auspichiamo, in un’ottica femminista, è di assistere sempre più a film in cui viga il Female Gaze, un vero e proprio modo di vedere e sentire contrapposto a quello patriarcale. Potrebbe essere pensato come una sorta di macchina da presa soggettiva che entra all’interno di personaggi femminili permettendo loro di costruire uno sguardo che si riappropria del proprio corpo, con l’intenzione di comunicare e di mostrare come ci si sente a essere state oggetto dello sguardo maschile per millenni. Ovviamente il female gaze è molto più che una semplice inversione di ruolo in cui le donne oggettificano gli uomini oppure diventano “protagoniste forti”; esso invita chi guarda a sentirsi come la donna rappresentata sullo schermo. Quindi per prima cosa comunica come ci si sente ad essere oggettivate, per poi pretendere, gridando a gran voce, di diventare soggetto. Barbie di Greta Gerwig in questo ha fatto scuola, Povere creature! non ci è riuscito, nonostante gli elementi virtuosi messi in campo e in scena.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!