“Qual è il tuo film preferito di Hayao Miyazaki?”. Una domanda a cui è difficile che qualcuno risponda: “Ponyo sulla scogliera”.
Un film piccolo, amatissimo eppure spesso dimenticato. Come se fosse dato per scontato. Come se la bellezza delle piccole cose fosse destinata a rimanere sott’acqua, discreta, quasi nascosta.
Secondo un sondaggio di qualche anno fa il (per ora) penultimo film firmato Miyazaki è fuori dal podio dei film più popolari dello Studio Ghibli, superato dai più celebri e celebrati La città incantata, Principessa Mononoke e Il castello Errante di Howl.
Un quarto posto che non svuota il mare di Ponyo di tutte le sue meraviglie. Perché dopo quindici anni il valore universale di questa fiaba acquatica resta intatto, come fanno le storie sempre eterne e sincere. Sincero come il rapporto tra la piccola creatura Ponyo e il protettivo Sōsuke, tra cui nasce un affetto così tenero e spontaneo da commuovere ogni volta che ti tuffi dalle loro parti. Succederà ancora dal 6 al 12 luglio, quando Ponyo sulla scogliera tornerà in sala in occasione della seconda edizione di “Un mondo di sogni animati”, rassegna estiva tutta dedicata ai grandi film dello Studio Ghibli.
Una bella occasione per riscoprire il grande valore di un film in cui l’amore ha davvero la forma dell’acqua.
Gli occhi del bambino
Hayao Miyazaki è un perfezionista maniacale. Per questo la genesi dei suoi film non è mai qualcosa di gioioso e indolore, anzi. La sua ricerca ossessiva della perfezione ha travolto anche Ponyo, un film nel quale il sensei si era incagliato. Sulla carta il film è ispirato sia a La Sirenetta di Andersen che al racconto giapponese Iya Iya En di Rieko Nakagawa, ma dare vita a quelle storie è stata una sfida faticosa.
Leggenda racconta di un Miyazaki partito dalla figurina di un pesciolino con la faccia da bambina. Una sola immagine come fonte di un intero film. Una figurina da cui però Miyazaki non riusciva a elaborare nulla. Era fermo, bloccato, in crisi creativa. Il regista appendeva questa immagine ovunque pur di sbloccarsi, ma sono passati mesi prima di riuscire ad andare avanti. Perché? Possiamo solo provare a immaginarlo. Pensiamoci: Ponyo sulla scogliera arriva dopo i tre film più popolari e amati di Miyazaki: Principessa Mononoke, La città incantata e Il castello errante di Howl. Tre film diversi, è vero, ma accomunati dall’essere ambiziosi, complessi e stratificati. Tante chiavi di lettura per opere visivamente strabilianti, dense, stracolme di metafore più o meno visibili.
Ponyo, invece, è tutto il contrario. Ponyo è semplice, diretto, schietto come un bambino. A 70 anni Miyazaki ha fatto uno sforzo immane nel recuperare la cosa più importante per creare un film del genere: gli occhi del bambino. Quell’innocenza che ti fa guardare le cose con purezza senza sovrastrutture. Un tatto raro, che Miyazaki aveva già trovato esattamente vent’anni prima con Il mio vicino Totoro, senza dubbio il film più simile a Ponyo nel suo essere a misura di bambini. È come se con Ponyo un anziano signore si fosse inginocchiato per tornare a guardare le cose da un altezza nuova, anzi vecchia, quasi dimenticata. Un film che, col senno di poi, sembra quasi essere un ultimo sguardo puro verso il mondo. L’esatto opposto di Si alza il vento, un film in cui Miyazaki si sporca le mani con la guerra e il senso di colpa. Un film in cui specchia nei dilemmi della vita adulta e nelle sue ossessioni creativa. Con il blocco creativo di Miyazaki, Ponyo ci ricorda ancora una volta che le cose semplici non sono cose facili, ma richiedono una sensibilità e un tocco assai rari.
La forma dell’acqua
Sono serviti 170mila disegni per dare vita a Ponyo. Molti di questi realizzati a mano dallo stesso Miyazaki, che ci ha tenuto a occuparsi personalmente delle onde e del mare. Ed è proprio qui, nell’elemento marino, che il film svela la sua essenza più pura e viscerale. Se il successivo Si alza il vento è un film dedicato all’aria, Ponyo trova nell’acqua molto più di un habitat. In Ponyo l’acqua è un modo di concepire la vita e le relazioni. Come fanno i due protagonisti, due anime pure che si tuffano l’uno nell’altro senza remore, senza esitazioni. Due creature fluide, che non conoscono argini. Ponyo e Sosuke sono diversi, ma non se ne accorgono, perché rompono subito le loro bolle per riversarsi addosso affetto, protezione, cura.
Con Ponyo, Miyazaki ci ricorda che l’amore più puro ha davvero la forma dell’acqua. Ti travolge come un’onda, ti immerge nell’altra persona e soprattutto ti fa tuffare senza paura di annegare. Nella semplicità dell’amore giovane tra Ponyo e Sosuke ritroviamo davvero una purezza quasi commovente. Lo stesso amore che il creatore ha riversato nella sua creatura, impreziosita da sfondi meravigliosi e da un’animazione che muove ogni singolo capello o spuma di mare. Un film fluido, che scorre delicato come una carezza. Un film che ti fa stare bene ogni volta che lo rivedi. Perché risveglia la meraviglia del fanciullino addormentato dentro di noi. Magari con una bella secchiata d’acqua.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!