Il giorno successivo all’improvvisa scomparsa di Philip Seymour Hoffman a soli 46 anni, la rete si riempiva di messaggi di cordoglio e affetto nei confronti dell’attore. Le star di Hollywood in massa si riversarono sui social per dedicargli un personale saluto.
Tra i tanti ricordi uno dei più toccanti fu quello di Jim Carrey, che su Twitter scrisse: “Caro Philip, un’anima stupenda. Per i più sensibili tra noi il rumore può essere eccessivo”.
A distanza di otto anni dalla sua morte, le parole di Carrey non hanno perso un grammo d’intensità. Pensando a Philip Seymour Hoffman il rumore della sua assenza è ancora eccessivo.
È il rumore della mancanza di un attore magnifico. È il rumore della sua scomparsa prematura, che ha colpito soprattutto coloro che nelle sue performance riflettevano le proprie fragilità.
Oggi avrebbe compiuto 55 anni. In questo lungo periodo tanto si è scritto e raccontato di Philip Seymour Hoffman. Attraverso i film e i personaggi. Sproloquiando sulle sue dipendenze, asciugando qualsiasi riflessione sulla complessità umana, come capita di frequente in questi casi.
Anche per questo motivo è interessante scremare alcuni virgolettati significativi, che lo raccontano. Per capire meglio quale fosse lo sguardo su Philip Seymour Hoffman. Il suo stesso sguardo sulla propria esistenza e quello di due persone fondamentali che ha avuto accanto e hanno caratterizzato il suo percorso.
Arte riflesso di vita
In una video intervista realizzata per promuovere Synecdoche, New York di Charlie Kaufman, Philip Seymour Hoffman racconta il film e il suo personaggio, il regista teatrale Caden, in questi termini: ”È la vita di un uomo. La sua arte è solo un riflesso di questa vita. E credo che la vita sia proprio questo. Che tu faccia l’idraulico, il camionista, o qualsiasi altra cosa. Questa è la tua arte. Che la gente ritenga sia da pazzi o meno, la vita riflette ciò che fai e viceversa. È questa proiezione che ha, che di fatto crea”.
Come in molte altre interviste facilmente reperibili in rete, Philip Seymour Hoffman gesticola mentre esprime un concetto. Usa il movimento del corpo, come se fosse ancora davanti alla macchina da presa. Come se lo aiutasse a sottolineare i concetti da esprimere.
E se l’arte di Caden è mettere in scena la sua stessa esistenza in una sorta di cortocircuito mentale, l’arte di Philip Seymour Hoffman non sembrava essere così dissimile. Ogni risposta, ogni parola pronunciata davanti all’interlocutore era la sua arte che si rifletteva nei movimenti delle braccia e nelle espressioni degli occhi. Nelle sue mani tozze da ex lottatore, nella sua voce profonda che sembrava provenire dalle fondamenta di una miniera. Nel suo sorriso discreto. L’arte che riflette la vita di un uomo dalle sembianze così ruvide al contempo pregne di eleganza.
Quando risponde alle domande degli intervistatori nei filmati sembra coccolare le parole con le labbra, con l’elegante fermezza di un direttore d’orchestra che ottiene l’attenzione dai suoi musicisti. I suoi movimenti sembrano armonici nella loro irrequietezza.
In quell’intervista Philip Seymour Hoffman ripone il suo sguardo sul suo pubblico e lo invita a valorizzarsi, uscendo dagli schemi di una società giudicante, per riconnettersi con se stessi e riflettere la propria arte nella vita. Ma forse provava a raccontarsi, perché Caden in fondo è anche un po’ Philip Seymour Hoffman. Ad un certo punto ossessionato dall’essere dimenticato, come raccontò l’ex compagna, desideroso di ambire e sperimentare sempre qualcosa in più. Un nuovo sguardo, una nuova storia.
Ci sono al cento per cento
Nel febbraio 2018 Vanity Fair pubblicò un articolo firmato dall’ex compagna di Philip Seymour Hoffman, la costumista Mimi O’Donnell. Il pezzo ripercorre il loro primo incontro fino alla morte dell’attore. Si tratta di un racconto nel quale O’Donnell, con lucidità, sofferenza e profondo amore descrive il loro rapporto e ciò che costruirono insieme.
Il ritratto che emerge di Philip Seymour Hoffman, e quindi lo sguardo della sua compagna di vita, è quello di un uomo totalmente appassionato del proprio habitat, quel teatro che gli ha regalato una platea alla quale potersi dedicare.
Mimi O’Donnell conobbe Philip Seymour Hoffman ad un colloquio di lavoro. Nell’articolo descrive la capacità dell’attore, in quell’occasione, di farla sentire a proprio agio e descrive la chimica istantanea percepita.
I due lavorarono insieme per un paio di anni prima d’iniziare a frequentarsi. La riflessione su Philip Seymour Hoffman assume contorni decisamente più complessi rispetto ai classici articoli su Hoffman, perché O’Donnell crea un contesto concreto e reale, intimo e sfuggevole. Ci presenta una storia e un profilo dell’attore che difficilmente dall’esterno, avremmo mai potuto percepire. Ma forse non tutto ci è precluso.
Da spettatori abbiamo sempre percepito la presenza scenica di Philip Seymour Hoffman e la sua costanza nella proposta di un nuovo personaggio e di una nuova trama. Quella sensazione di esserci sempre, per noi amanti del cinema.
Per noi appassionati era una promessa implicita. Per Mimi O’Donnell un giorno diventò conferma esplicita, quando gli disse: “Non mi basta vederti ogni tanto e frequentare altre persone. Voglio stare con te“. E lui, subito: “Sì, ci sono al cento per cento“.
L’uno per l’altro
Nella carriera cinematografica di Philip Seymour Hoffman probabilmente non esiste una figura più significativa e determinante di Paul Thomas Anderson. Da Sydney a The Master, Anderson e Hoffman hanno condiviso non soltanto il loro evidente talento e un doppio nome ma anche diversi progetti, idee e ispirazioni.
Evidentemente il magnetismo di Philip Seymour Hoffman è sempre stato una peculiarità che riusciva a trasmettere non solo al proprio pubblico attraverso le svariate performance sul grande schermo ma, evidentemente, anche nelle relazioni private e/o professionali, instaurate nel corso della propria vita.
E se con Mimi O’Donnell fu il teatro a creare una connessione, con Paul Thomas Anderson non poteva che essere il cinema: “Quando l’ho visto per la prima volta in Scent of a Woman – Profumo di donna seppi immediatamente cos’era il vero amore. Seppi cos’era l’amore a prima vista. È stata la sensazione più strana, sedersi al cinema e pensare ‘Lui è fatto per me e io per lui’“.
È lo sguardo di Paul Thomas Anderson su Philip Seymour Hoffman ma in fondo anche nel suo, come in quello di Mimi O’Donnell, noi spettatori ritroviamo qualcosa, in minima parte, che ci accomuna all’idea che probabilmente tutti noi abbiamo sempre avuto di Philip Seymour Hoffman. E lo avvicinava alle nostre emozioni, come quell’amico che prova a mostrarci il mondo da un’altra prospettiva. Ponendoci domande, nuove prospettive, diverse angolazioni. Scuotendoci dal torpore per poi avvolgerci in un abbraccio. E ricordarci che lui è qui, al cento per cento.
Ecco perché caro Phil, senza di te il rumore è ancora eccessivo.