Avete presente il finale di Inception, no? Cobb si risveglia in un aereo, guarda in faccia Cillian Murphy un po’ spaesato e poi, appena tornato a casa, fa subito girare la sua trottola sul tavolo. Ecco, lo immaginiamo così il risveglio di Christopher Nolan, mentre controlla che sia tutto vero dopo aver vinto il tanto agognato Oscar che rincorreva da oltre 20 anni. Sì, perché la prima nomination arrivò nel lontano 2002 per la sceneggiatura dello splendido Memento. E poi ancora per la sceneggiatura e il film con Inception nel 2011, per la più sofisticata regia di Dunkirk nel 2018, fino ad arrivare al doppio Oscar sacrosanto di ieri notte. Miglior Regia e Miglior Flm per Oppenheimer. I due oscar più importanti. Nessuna sorpresa, in fondo. Tutto molto prevedibile ma anche giusto. Però quali sono i veri motivi che hanno portato Oppenheimer a dominare la notte degli Oscar con 7 statuette? E come mai è stato scelto come miglior film? Solo per i suoi lampanti meriti o anche per quello che rappresenta? Proviamo a capirlo insieme.
I miglior film?
Partiamo dal dato più ovvio. A livello puramente artistico Oppenheimer è un film quasi ineccepibile. Tecnicamente rappresenta lo stato dell’arte per messa in scena, fotografia elegante, colonna sonora evocativa e casting ispirato. Con tutto il cast sintonizzato su una recitazione implosa, misurata, mai sopra le righe. L’incredibile Cillian Murphy è un mistero umano dall’inizio alla fine. Il suo sguardo glaciale e ipnotico è una tempesta di pensieri che noi spettatori possiamo solo sfiorare e intuire, ma la sensazione è quella di un uomo sempre altrove, quasi infestato da pensieri di morte. Eccezionale anche il lavoro fatto con e su Robert Downey Jr. Nolan ha preso l’attore più pop degli ultimi 15 anni, che nell’immaginario collettivo era associato a un eroe sopra le righe e lo ha svuotato di tutto, trasformandolo in un irriconoscibile villain mellifluo e subdolo.
A questo aggiungiamo un altro dato importante. Nolan, forse, non è mai così bravo a essere complesso senza diventare complicato. Il tutto senza mai essere accomodante nei confronti del pubblico, perché Oppenheimer sa anche essere sofisticato e persino lirico in alcune scene visionarie insolite nel cinema di Nolan. Ultimo merito che viene in mente? Il fatto che Oppenheimer sfugga ai generi. Perché questo è un biopic storico, ma anche un thriller psicologico molto intimo e allo stesso tempo un legal drama con tanto di intrighi politici. Nasce così un film di una ricchezza e una densità davvero rara. Che non poteva che essere premiata.
O il film giusto?
Ora però arriviamo all’altro vero, grande motivo per cui l’Academy ha premiato Oppenheimer. Come sappiamo l’Oscar non è un premio che prende sempre in considerazione solo i meriti oggettivi di un film. Perché l’Oscar è quasi un bigliettino da visita che l’industria americana sceglie di presentarsi, il vestito che sceglie per mostrarsi al resto del mondo. Quasi come fosse un ambasciatore di quello che Hollywood vuole rappresentare. Dopo tanti anni in cui sono stati scelti piccoli film d’autore come Nomadland, Coda o lo stesso Everything, Everywhere All At Once, Oppenheimer è l’emblema perfetto del cinema che funziona oggi. Quello capace di conciliare l’autore e il popolare. Quello in cui si avverte la firma di un regista e che allo stesso incassa tanti soldi. Un compromesso difficilissimo da trovare, che (però) è sempre stato il marchio di fabbrica di Christopher Nolan, sempre interessato a metterci del suo anche in un franchise commerciale come la trilogia di Batman. Altri esempi? Inception e Interstellar sono due blockbuster, certo, ma sono entrambi film in cui il tocco nolaniano di avverte sempre. Ecco, in un periodo in cui il cinema pop fatica con la crisi dei supereroi e dei vecchi franchise, Oppenheimer è il film giusto. Il film che incarna l’essenza di un cinema di qualità e allo stesso capace di riempire le sale con un pubblico trasversale. Dai 15enni ai cinefili di una certa età, tutti al cinema perché “un film di Nolan si vede sulla fiducia”.
Oppenheimer, però, ha scatenato anche un passaparola clamoroso, riuscendo nella rara impresa di mettere quasi tutti d’accordo in un’epoca in cui ci si divide e ci si scanna su tutto. Anche sui film. Qualcuno ha pensato fosse solo merito del fenomeno social e della moda del Barbenheimer, ma il caso italiano smentisce questa teoria, perché da noi oppenheimer è uscito un mese dopo Barbie e ha incassato 28 milioni di euro. Ovvero il doppio (ripeto il doppio) di un film sulla carta molto più pop e appetibile come Il cavaliere oscuro – il ritorno che nel 2012 si fermò a 14 milioni qui in Itala. E a proposito di incassi, Oppenheimer ha incassato quasi 1 miliardo di dollari in tutto il mondo. Per ritrovare un incasso notevole come questo tra le pellicole premiate come Miglior film agli oscar dobbiamo fare un salto indietro di 20 anni esatto, quando nel 2004 trionfò un certo il ritorno del re firmato Peter Jackson. E allora ecco perché Oppenheimer era film giusto per gli Oscar del 2024. Perché è la fotografia di un cinema tornato vivo grazie alla qualità. Senza bisogno di brand o franchise. Lo conferma un 2024 in cui film come Povere Creature, Il ragazzo e l’airone, La zona d’interesse e lo stesso Dune Parte 2 hanno incassato. Film di ogni genere, con approcci, stili e sguardi diversi, ma simili nel distruggere quel vecchio pregiudizio che mette sempre l’autoriale contro il popolare. Come se fossero inconciliabili. E invece possono convivere eccome. Ecco perché stanotte è stato premiamo l’emblema di questo splendido compromesso. Merito di un regista amato e odiato come pochi, che con questo film ha finalmente trovato la sua consacrazione. Merito di un regista che ha sempre lottato per il cinema al cinema. Anche quando vivevamo “in un mondo crepuscolare”.
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