Quando Freud pubblicò L’interpretazione dei sogni non poteva immaginare che, un secolo dopo, Satoshi Kon avrebbe utilizzato quelle teorie per dare vita a uno dei personaggi più iconici dell’animazione giapponese: Chiba Atsuko, alias Paprika. Una psicoanalista che, mediante la tecnologia del DC mini, riesce a entrare nei sogni delle persone.
Esaminando l’intera filmografia del regista giapponese, è chiaro come i suoi lavori siano caratterizzati dallo studio dei sogni e della psiche umana; da Freud a Jung, passando per la filosofia cinematografica di Deleuze. È stato infatti grazie a questi importanti sconvolgimenti del pensiero filosofico che l’artista del XX secolo ha spostato la propria attenzione dalla realtà determinata (esterna) a una realtà indeterminata (interna).
Ma Kon non è stato solo il promotore di un cinema psicologico e onirico. Il regista giapponese, infatti, ha da sempre legato questi temi all’ambiente digitale del nuovo millennio. La nuova era tecnologica non è solo il frutto della nostra evoluzione, ma anche la chiave di volta per esplorare uno dei più grandi misteri della vita umana: il mondo dei sogni.
Il sogno freudiano e il sé

Ogni volta che Atsuko si immerge nei sogni dei suoi pazienti, compie un viaggio all’interno dell’inconscio (Es), una zona della nostra mente destinata a nascondere desideri repressi e traumi latenti. Si tratta di esperienze o pulsioni così scioccanti che il nostro Io, attraverso un complesso sistema di soppressione, ce ne cela il contenuto, trasformandolo e presentandolo sotto una forma “accettabile”.
Parliamo di una parte irrazionale della mente, dove la realtà si confonde con la fantasia e il tempo perde la sua dimensione consueta. Lo spazio stesso, inoltre, perde la sua concretezza. Prendiamo come esempio la famosa sequenza dell’inseguimento del capitano Toshimi Konakawa: quando il capo di polizia si avvicina troppo all’oggetto del suo desiderio, le pareti della realtà si sciolgono e l’uomo è costretto a svegliarsi.
La protagonista, a sua volta, è sdoppiata secondo la struttura dell’Io freudiano, che prevede anche un Io (la parte razionale) e un Super-Io (il censore). Paprika corrisponde al Super-Io, un’entità forte e vivace, incaricata di proteggere la parte razionale rappresentata da Atsuko. Il suo inconscio (Es) è rappresentato invece da quella bambina interiore che trova liberazione solo nella sequenza finale, quando Atsuko affronta paure e desideri repressi.
La deriva di Jung e l’inconscio collettivo.

Jung è stato il più brillante degli studenti di Freud e, allo stesso tempo, colui che si è maggiormente allontanato dalla via principale. Se per Freud il sogno è puramente personale, per Jung diventa un ponte di comunicazione con il Sé e, soprattutto, con gli altri. Jung definisce questo ponte come Inconscio Collettivo. Questo inconscio non ha nulla a che vedere con l’esperienza personale del singolo individuo, ma è composto da segni, simboli e archetipi comuni a tutta l’umanità (dal guerriero al saggio). Questo concetto viene ripreso da Kon nella marcia/virus in grado di invadere i sogni altrui, fondendoli in un unico e spaventoso incubo.
Il concetto viene inoltre attualizzato: i simboli della viralità sono infatti legati a doppio filo alla tecnologia (elettrodomestici, cellulari, ecc.) e alle immagini della nostra cultura (simboli religiosi o folkloristici). Questa possibilità di connessione non è solo il sogno utopico dell’immaturo Dottor Tokita, ma anche uno strumento di controllo che può essere utilizzato per alimentare l’ego corrotto del Presidente. Una lama a doppio taglio, quindi, su cui è impossibile non riflettere più a fondo.
Il cinema come schermo del pensiero.

Il passaggio dal cinema classico a quello moderno ha segnato la trasformazione da un cinema del reale a un cinema del pensiero. Gilles Deleuze, autore di Immagine-movimento e Immagine-tempo (i due saggi che analizzano tale passaggio), definirà il cinema come “realtà senza materia”. In altre parole, l’unica vera differenza tra cinema e realtà è una differenza di grado, non di aspetto.
Quando pensiamo, immaginiamo o ricordiamo, la nostra mente compie salti pindarici ben lontani dalla struttura lineare della narrativa classica. Non è un caso che il capitano di polizia riveda il film della sua vita proprio all’interno di una sala cinematografica. Solo il cinema, con l’aiuto del montaggio, può infatti restituire quel flusso di immagini e coscienza a cui siamo sottoposti durante un sogno.
Satoshi Kon è stato tra gli autori più abili a portare avanti il discorso deleuziano secondo cui il cinema è uno strumento del pensiero. Il regista è un filosofo che non crea concetti ma blocchi di spazio-tempo, ed è proprio all’interno di questi blocchi che possiamo guardare per rivedere la parte più profonda di noi stessi.