Quante anime coesistono in un singolo essere umano?
E soprattutto, c’è un limite all’ambizione?
Oppenheimer scompone e ricompone il puzzle della vita del padre dell’atomica in un viaggio intenso attraverso uno dei capitoli più bui della storia contemporanea. Il risultato è un ritratto frammentario e al contempo densissimo di dettagli che colpisce la platea con la stessa potenza di una detonazione.
Pur sospendendo il giudizio nei confronti del suo protagonista, Nolan orchestra numerosi fili e tematiche che culminano in una sequenza conclusiva visivamente potente e sì, anche angosciante che racchiude in sé il senso ultimo del film. Infatti, proprio per questo, vale la pena soffermarsi e riprendere in mano quei fili narrativi per arrivare alla spiegazione del finale di Oppenheimer.
Il finale di Oppenheimer
“Sono diventato morte, il distruttore di mondi”. La celebre frase del Bhagavadgītā riecheggia nella mente e nelle cuore di Robert Oppenheimer come un’inquietante profezia che inizia a prendere forma dopo il successo del Trinity Test.
Non è perciò un caso che, proprio a seguito della sequenza del primo test nucleare, anche il film cominci ad avviarsi verso la sua conclusione, in una discesa ripida quanto impervia. Oppenheimer ha successo nel compito che gli era stato affidato, ma gli scrupoli di coscienza che lo attanaglieranno per tutta la vita cominciano a farsi sempre più presenti. In questo senso la scelta di Nolan di non mostrare lo scoppio delle bombe a Hiroshima e Nagasaki, da alcuni giudicato “poco coraggioso” ha un suo senso; piuttosto che mostrarci una pornografia del dolore che tutti conosciamo, il regista sceglie di soffermarsi sulle “mani sporche di sangue” del protagonista, incarnazione dell’ambivalenza umana e delle contraddizioni insite nel rapporto tra scienza innovazione.
Il baratro morale di Oppenheimer, giudicato piagnone dallo stesso Presidente Truman all’indomani della fine della guerra, coincide anche con la perdita della sua reputazione a seguito del processo voluto da Lewis Strauss che lo accusa di attività anti-americane. Siamo infatti durante il Maccartismo e qualsiasi tipo di associazione con persone e movimenti di sinistra equivaleva a giocarsi credibilità sociale e posto di lavoro; proprio quello che accade a Oppenheimer che, dopo estenuanti interrogatori a porte chiuse durante i quali molti dei suoi ex collaboratori gli voltano la faccia, si vedrà rifiutato il nulla osta di sicurezza che gli garantiva l’accesso a documenti riservati, fondamentali per proseguire la sua ricerca sul nucleare. Qualche anno dopo, durante la presidenza di Lyndon Johnson, la sua figura sarà ufficialmente riabilitata. Ma ottenere il perdono dalla Storia è un’altra cosa.
Questo aspetto è interessante perché mette particolarmente in luce la dualità, o meglio la pluralità, dello spirito di Oppenheimer. Mai iscritto ufficialmente al partito comunista ma vicino a soggetti militanti (in primis il fratello Frank nonché l’ex fidanzata e amante Jean Tatlock), il fisico era notoriamente un progressista. Una visione del reale che, in ogni modo, non gli ha impedito di portare avanti il suo lavoro Los Alamos in una sorta di scollamento tra etica e dovere scientifico, tra moralità e ambizione.
Lewis Strauss vs Oppenheimer
Lewis Strauss è senza dubbio dei personaggi più enigmatici che ruotano attorno a Oppenheimer. Interpretato da Robert Downey Jr., con un modo di fare ambiguamente compassato, Strauss è un self-made man che vuole diventare qualcuno di importante a tutti i costi; probabilmente non senza qualche complesso d’inferiorità nei confronti di tutti i fisici che corteggia e invidia. In primis Oppenheimer, il quale rappresenta tutto quello che Lewis non è ma vorrebbe essere: un sentimento talmente palpabile che alimenterà la già presente antipatia reciproca.
Come Nolan mostra nel film i destini di questi due uomini si sono incrociati costantemente, tanto da influenzare l’uno la vita dell’altro. Nel corso del tempo Oppenheimer non esiterà a mettere Strauss all’angolo opponendosi alle ricerche sulla bomba H e non condividendo la visione di quest’ultimo, fervido conservatore, sulle armi atomiche. Il processo di cui abbiamo parlato rappresenta quindi l’apice dell’intolleranza di Strauss nei confronti di Oppenheimer, una figura perfetta da additare come spia al soldo dei sovietici proprio per quell’ambivalenza e ineffabilità e che l’hanno sempre contraddistinto.
Al termine dell’inchiesta Oppenheimer vediamo Strauss intento a perseguire la carriera politica con le votazioni per la nomina a Segretario del Commercio. Carica che vedrà sfumare anche per via del voto contrario del giovane JFK, all’epoca senatore del Massachusetts. Fino all’ultimo Nolan sceglie di sottolineare l’astio dell’uomo nei confronti di Oppenheimer colpevole, secondo lui, di avergli messo contro la comunità scientifica e, addirittura, Albert Einstein.
Questo, in particolare, fa riferimento a una sequenza della prima metà del film in cui Strauss raggiunge Oppenheimer e Einstein intenti a parlare; vedendo l’anziano fisico allontanarsi con fare torvo Strauss si convince che i due gli parlino alle spalle. Un dettaglio che, pur essendo frutto della sceneggiatura di Nolan, ci aiuta a a identificare meglio il personaggio di Strauss come tipo umano, in relazione al suo tempo e, soprattutto, in rapporto alla sua nemesi Oppenheimer.
Che cosa dice Einstein a Oppenheimer
Costruito con un montaggio complesso che, solo via via rivela la sua ragione d’essere, Oppenheimer si chiude proprio con il dialogo tra Einstein e Oppenheimer a guerra finita. In ultima battuta comprendiamo che i due non stavano parlando di Strauss ma dell’impatto delle armi atomiche sull’umanità.
“Quando sono venuto da te con quei calcoli, abbiamo pensato che avremmo potuto avviare una reazione a catena che avrebbe distrutto il mondo intero”, dice Oppenheimer a Einstein, il quale incalza “E allora?”. La risposta lapidaria del protagonista, “Penso che l’abbiamo fatto”, è l’ultima battuta del film prima che l’immagine di una Terra in fiamme e la musica spettrale di Ludwig Göransson inghiottano occhi e orecchie degli spettatori, mettendo tutti di fronte a una consapevolezza che nessuno ha il coraggio di proferire a voce alta.
Reazioni a catena
In un presente in cui gli sforzi di distensione post Guerra Fredda sembrano sgretolarsi, la paura di reazioni a catena è tornata a far capolino nella mente di chiunque, o forse non se n’è mai andata. Con l’immagine apocalittica di un mondo in fiamme, contraltare ai funghi atomici di Hiroshima e Nagasaki che tutti hanno ben impressi nella mente, il film si chiude con un tono che, a una prima impressione, può apparire tremendamente nichilista.
Crediamo però che a Nolan non interessi dare giudizi morali, condannando o lasciando aperta la porta della speranza, piuttosto preferisce indagare l’ambiguità morale umana, di cui Oppenheimer diventa incarnazione e metafora. Contraddittorio, sul fronte pubblico quanto su quello privato, per tutta la sua vita il fisico procede in bilico ambizione e ideologia, tra dovere e necessità, in un gioco di equilibri morali dal peso incommensurabile.
Proprio come un moderno Prometeo Oppenheimer pecca di hýbris, quella tracotanza nei confronti degli dei e degli uomini, tale da sconvolgere l’ordine delle cose e da cui è impossibile tornare indietro. Per questo il film più che con una risposta definitiva ci lascia con quesiti aperti che non riguardano solo il mondo là fuori e le singole persone, ma noi in quanto esseri umani in relazione al nostro pianeta, al prossimo e ovviamente anche a noi stessi.
Perciò…
È possibile trovare un equilibrio tra le nostre aspirazioni e un generale senso di giustizia?
Che cosa è per ognuno di noi la moralità, e quanto in là siamo disposti a spingerci per realizzare i nostri scopi?
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
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