L’horror è il genere cinematografico che, forse più di ogni altro, dà vita alle critiche più puntuali e profonde sulla società in cui viviamo. Tra gli esempi più efficaci dell’utilizzo dei topoi del cinema dell’orrore per parlare dei problemi del mondo ci sono le prime due opere di Jordan Peele, autore che sembra essersi specializzato proprio in questo tipo di narrazioni. Se Scappa – Get Out metteva in luce il feroce razzismo tutt’ora presente negli Stati Uniti, anche tra chi si considera colto e “liberale”, la sua seconda opera, Noi, amplifica il discorso e ci parla di diseguaglianza sociale e di lotta di classe.
Trattandosi di un prodotto a tratti complesso e che offre diverse chiavi di lettura, abbiamo deciso di approfondire il film di Jordan Peele, soffermandoci sulle diverse tematiche a cui l’autore dà spazio: nella nostra spiegazione del finale di Noi, cercheremo prima di tutto di tirare le fila di quanto accade nell’adrenalinico terzo atto del film, per poi sviscerarne il significato e mettere in luce quello che Peele vuole comunicarci con la sua opera.
Il finale di Noi
Al centro di Noi troviamo una famiglia borghese, i Wilson, che durante una vacanza a Santa Cruz vivono un vero e proprio incubo: una famiglia identica alla loro, una versione deformata, imbestialita e brutale di loro stessi, si introduce nella loro casa e sembra avere come unico scopo quello di ucciderli uno a uno. A dare ordini troviamo Red, il doppelgänger della capofamiglia Adelaide (Lupita Nyong’o), unica tra di loro ad essere in grado di articolare discorsi coerenti con le parole, gli altri, infatti, sembrano solo capaci di insensati mugolii. Sfuggiti per miracolo alla prima incursione di quelli che verranno poi definiti gli “Incatenati”, Adelaide e gli altri si renderanno presto conto che non sono gli unici ad essere stati aggrediti dai nefasti e crudeli sosia: gli Stati Uniti sembrano essere soggetti ad un attacco su larga scala, ogni cittadino deve scontrarsi con il proprio doppio, cercando di uscirne vivo. A cadere vittima degli Incatenati ci sono anche i Tyler, amici dei Wilson, che vengono massacrati nella loro casa di villeggiatura.
I quattro protagonisti – Adelaide, il marito Gabriel (Winston Duke) e i figli Zora (Shahadi Wright Joseph) e Jason (Evan Alex) – riescono a sopravvivere alla varie aggressioni dei loro doppelgänger, uccidendoli uno a uno. In vita rimane solo Red, che, rapendo il piccolo Jason, conduce Adelaide in un enorme reticolo di tunnel sotterranei abbandonati. L’ingresso per questo mondo nascosto è una casa degli specchi in cui da bambine Adelaide e Red si erano già incontrate: mentre girovagava da sola per il lungo mare di Santa Cruz, Adelaide era entrata nella struttura buia e, invece che imbattersi solo nel suo riflesso, aveva trovato Red ad aspettarla. Per il trauma subito dopo l’incontro Adelaide non aveva parlato per un lunghissimo periodo, causando grande preoccupazione nei suoi genitori.
Una volta arrivati nei tunnel sotterranei, in cui vagano solitari centinaia di conigli, scopriamo che si tratta del luogo in cui gli Incatenati avevano vissuto fino a quel momento, creati come copie delle loro controparti in superficie nel tentativo da parte di misteriosi scienziati di poter controllare il genere umano. Due corpi identici ma una sola anima, e gli Incatenati non possono far altro che mimare all’infinito i movimenti dell'”originale”. Red racconta ad Adelaide di essere stata lei, dopo aver trovato la fede e aver capito di essere speciale, ad organizzare una rivolta per portarli tutti in superficie.
Arriviamo così allo scontro finale tra le due e, faticosamente, Adelaide riesce ad avere la meglio e a uccidere Red. Dopo aver portato in salvo Jason e essersi ricongiunta alla sua famiglia, insieme si allontanano dalla città alla guida di un’ambulanza abbandonata. Nei momenti finali del film, però, attraverso lo sguardo di Jason che osserva stranito sua madre, ci viene fatta un’incredibile rivelazione: la notte in cui Red e Adelaide si sono incontrate le due si sono scambiate, Adelaide è sempre stata una degli Incatenati, e ha preso il posto del suo “originale” dopo averla tramortita e legata. Noi si chiude con un inquadratura aerea del veicolo che si allontana, mentre scorgiamo un’infinita catena umana di Incatenati che si dispiega lungo gli Stati Uniti.
Alcuni indizi
Dopo aver scoperto che Red è sempre stata la vera Adelaide, ci rendiamo conto che alcuni indizi distribuiti nel corso del film puntavano in questa direzione fin dall’inizio. Sappiamo infatti che dopo il trauma dell’incontro con il suo doppio, Adelaide aveva smesso di parlare. In realtà, capiamo poi, non aveva mai imparato: gli Incatenati infatti hanno un loro linguaggio fatto di mugolii, e non hanno mai sviluppato parole e sintassi.
In spiaggia, mentre parla con Kitty Tyler (Elisabeth Moss), Adelaide rivela inoltre che per lei spesso è difficile parlare: questa affermazione potrebbe essere più letterale di quel che immaginiamo, perché Adelaide (essendo, appunto, un’Incatenata), ha imparato tardi a parlare e ha ancora qualche difficoltà.
Red, invece, è l’unica tra tutti i doppelgänger ad essere capace di parlare, perché sapeva farlo quando è stata scambiata da piccola. Per questo la voce di Red risulta così roca, non è infatti più abituata ad usarla. Inoltre, il suo doppio prima di tramortirla aveva cercato di strangolarla, e potrebbe così averle causato qualche danno permanente alla gola o alle corde vocali.
Siamo tutti uguali
Ma qual è il messaggio principale che un film come Noi vuole trasmetterci? Quando ci rendiamo conto che quella che credevamo la protagonista in realtà è sempre stata la “villain” della storia, ciò che Jordan Peele vuole dirci con la sua opera è subito più chiaro. Adelaide, pur essendo nata e cresciuta per parte della sua infanzia come un'”Incatenata”, un essere – come viene definito nel film – barbaro e senz’anima, da adulta non ha nulla di diverso dalle “persone” normali che la circondano. Potrebbe allora essere che le differenze che ci dividono – i personaggi del film dagli Incatenati, noi dagli “altri” – siano semplicemente il risultato dell’ambiente in cui siamo cresciuti, della famiglia in cui siamo nati? Parlando di diseguaglianza sociale Peele ci dice chiaramente che in realtà siamo tutti uguali, e che la diversità – che può essere razziale, economica, religiosa… – è solo circostanziale.
I protagonisti di questa storia sono i quattro membri della famiglia di Adelaide e, almeno per come il film si svolge, siamo tenuti a fare il tifo per loro fin dall’inizio e a sperare che, alla fine, si salvino. Jordan Peele una volta terminata la visione ci porta però, come pubblico, a porci una domanda: ma se facciamo il tifo per i Wilson, vuole dire che stiamo dalla parte di una classe di privilegiati che opprime i meno fortunati? Pur essendo un discorso che può essere ampliato a una realtà globale, è chiaro come l’autore voglia puntare il dito contro la società in cui vive, quella americana. L’atto d’accusa nei confronti degli Stati Uniti è evidente anche dal doppio significato del titolo originale, “US”, noi, ma anche U.S., United States/Stati Uniti.
Moltissime persone – negli USA, ma più in generale in tutto il mondo – portano avanti un’esistenza priva di privilegi, ben più disagevole di quella in cui noi, come i protagonisti del film, ci troviamo. Questa condizione è rappresentata in Noi come il luogo in cui gli Incatenati nascono e vivono, i tunnel sotterranei che si estendono sotto tutti gli Stati Uniti. Pur essendo barbari, brutali, incapaci di parlare, i doppelgänger non sono poi così diversi da noi: l’altra domanda che Peele ci spinge a porci, quindi, è fino a che punto siamo responsabili – come classe privilegiata – della loro condizione? Se siamo tutti uguali e l’essere diversi dipende solo da dove siamo nati (chi in “superficie”, chi nei tunnel sotterranei), qual è la colpa di chi è più fortunato? Non fare nulla per aiutare chi invece non lo è.
La colpa dei protagonisti è infatti quella di essere andati avanti con le loro vite nell’indifferenza senza far nulla per aiutare chi è – letteralmente – esattamente come loro, una vera e propria copia. Ciò di cui Peele accusa la famiglia di Adelaide – e così facendo tutte le persone privilegiate, che vivono un’esistenza agiata – è anche la loro mancanza di consapevolezza: da una parte abbiamo per esempio il padre Gabriel, che con superficialità prova a risolvere la situazione offrendo ai doppelgänger dei soldi, dall’altra invece Adelaide, che sapeva fin da bambina dell’esistenza degli Incatenati (perché era una di loro!) e non ha mai fatto nulla per aiutarli. Adelaide ha rubato la vita di un’altra persona e si è goduta la sua nuova situazione. Non ha fatto nulla per chi ha “lasciato indietro”, perpetuando così la loro condizione di disagio. Da qui il forte senso di colpa che prova: se suo marito Gabriel non ha idea dell’esistenza degli Incatenati e vive nell’ignoranza, lei, pur avendo ottenuto (con la forza) un’inaspettata mobilità sociale, non ha poi fatto altro per “liberare” chi è stato sfortunato quanto lei.
Buoni e cattivi
Chi “vince” alla fine del film? Non possiamo dire che siano stati i buoni, anche se Adelaide sopravvive, perché non sappiamo più chi siano i buoni e i cattivi. Questa ambiguità nel finale è uno degli elementi che rende il film di Jordan Peele così interessante. Il villain è in realtà la vittima di questa storia, e la protagonista ha rubato a qualcuno la sua vita e poi l’ha uccisa.
Detto questo, però, chi dice che la vera Adelaide (quella che noi conosciamo come Red) avesse il diritto di vivere una vita privilegiata, o che comunque ne avesse più diritto della sua copia, che le ha rubato quel privilegio? In fin dei conti Adelaide ha fatto tutto quello che era in suo potere per poter affrancarsi dalla vita miserabile che stava vivendo, e poi – quando ha brutalmente ucciso Red e gli altri – per salvare la sua famiglia. Possiamo biasimarla per questo? L’ambiguità di fondo del film è molto più sottile di quello che potremmo inizialmente immaginare.
Geremia 11:11
Perciò, così parla il SIGNORE: “Ecco, io faccio venir su di loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò.”
Soffermiamoci ora su una delle immagini più suggestive del film: l’uomo in spiaggia con il cartello con su scritto Geremia 11:11, numero che il suo doppio ha invece inciso sulla fronte. Il verso – oltre all’ovvio rimando alla perenne duplicità insita in questa storia – sembra voler semplicemente presagire quello che sta accendo, ossia l’arrivo degli Incatenati e la loro giusta “vendetta” sui loro doppi della superficie.
Il verso assume però un significato più ampio se leggiamo anche quello che lo precede: “Sono ritornati alle iniquità dei loro primi padri che avevano rifiutato di ascoltare le mie parole, anch’essi hanno seguito altri dei per servirli. La casa di Israele e la casa di Giuda hanno violato l’alleanza che io avevo concluso con i loro padri.”
I colpevoli nel film di Peele, come dicevamo, sono coloro che portano avanti una società in cui continua ad esistere una forte diseguaglianza: ma come devono comportarsi le nuove generazioni una volta che si rendono conto dei peccati di chi è venuto prima di loro? Pur non avendo colpa di essere nati in una condizione di privilegio, ne hanno se portano avanti gli stessi peccati dei loro genitori. Nel film a simboleggiare queste nuove generazioni che non fanno nulla per cambiare la condizione di vita dei più sfortunati potrebbero essere le due figlie gemelle di Kitty, tra le prime ad essere uccise dai loro doppelgänger.
Gli “altri dei” del versetto biblico potrebbero invece far riferimento al materialismo ed al consumismo della società in cui viviamo, che caratterizzano il mondo dei privilegiati e che, se cerchiamo di eliminare la diseguaglianza, dovremmo cercare di combattere il più possibile.
Gli altri siamo Noi
Il tema del doppio, inutile ribadirlo, è assolutamente centrale nel film di Peele, oltre che nella figura degli Incatenati torna però simbolicamente anche in altri elementi ricorrenti. Le forbici, ad esempio, sono un simbolo di dualità per eccellenza: sono composte da due parti uguali, unite al centro, ma sono anche un’oggetto che divide, che taglia, che crea, appunto, dualità.
L’evento “Hand Across America”, che approfondiremo tra poco, in cui migliaia di persone si tenevano per mano, può essere sì un simbolo di unità, ma anche di divisione, perché crea fisicamente una barriera, una linea di persone che divide in fazioni, che separa “noi” dagli “altri”.
Infine, un altro elemento ricorrente nel film sono i conigli: oltre ad essere presenti nei tunnel sotterranei degli Incatenati – simboleggiando il fatto che venissero utilizzati per fare degli esperimenti – li ritroviamo anche su due t-shirt indossate da Zora, la figlia di Adelaide. Nella prima vediamo proprio la sagoma di un coniglio bianco, nella seconda, invece, la parola “Thỏ”, ossia coniglio in vietnamita.
In un’intervista a The Guardian, Peele ha spiegato come per lui i conigli rappresentino perfettamente la dualità, sono infatti animali allo stesso tempo adorabili e terrificanti. Inoltre, sempre secondo l’autore, le loro orecchie gli ricordano proprio delle forbici.
Hands Across America
Il 25 maggio del 1986 ebbe luogo negli Stati Uniti Hands Across America, un evento per beneficenza in cui più di sei milioni di persone si presero per mano, per circa 15 minuti, creando una lunghissima catena umana (che attraversava 16 stati americani). Il primo riferimento che troviamo in Noi a Hands across America è all’inizio del film, nella parte ambientata nel passato in cui incontriamo per la prima volta Red e Adelaide, la sera che dello scambio. Adelaide stava vedendo uno spot televisivo dedicato all’evento prima di uscire di casa e indossava una maglietta gialla prodotta proprio per promuoverlo, che non le viene tolta dopo il rapimento. È subito chiaro come il ricordo di Hands Across America le rimanga impresso negli anni in cui vive tra gli Incatenati e, nel momento in cui inizia ad elaborare il suo piano di “vendetta” per uscire in superficie, si trasformi nella dichiarazione perfetta da fare al mondo: una catena di migliaia di persone vestite di rosso (la tuta riprende quella indossata da Michael Jackson in Thriller, a cui era dedicata la t-shirt che il padre di Red/Adelaide le regala prima che lei venga rapita), lungo tutti gli Stati Uniti.
Il piano di Red di organizzare una rivoluzione tra gli Incatenati ha bisogno di un tipo di manifestazione simbolica che lasci una grandissima impressione su chi si trovi ad assistervi: se in origine Hands Across America era stato organizzato per portare consapevolezza su temi come la fame e l’indigenza in particolare in Africa ma in generale nel mondo intero, in Noi l’intento è simile. Jordan Peele vuole portare l’attenzione del pubblico su temi che oggi – più di trent’anni dopo l’evento – sono ancora così rivelanti, ma spostandoli su una dimensione decisamente più locale: non più i problemi dell’Africa e la fame nel mondo ma la diseguaglianza sociale che continua ad esistere e a cui gli americani (ma è un messaggio che ha una grandissima risonanza in qualsiasi luogo del mondo) tendono a non prestare la giusta attenzione.
Combattere la diseguaglianza
Tirando le fila di quanto detto fino ad ora, al centro di Noi troviamo il tentativo di portare consapevolezza, da parte del suo autore, su un tema purtroppo ancora così rilevante come la diseguaglianza sociale. Una lettura particolarmente pessimistica del film potrebbe essere che – se non facciamo subito qualcosa, combattendo anche il consumismo e l’eccessivo materialismo – anche noi siamo destinati, prima o poi ad un qualche tipo di risoluzione violenta del problema, come quella a cui assistiamo sullo schermo.
Oltre a questo, però, nel film troviamo anche il bisogno di sottolineare quanto, come individui, siamo unici e speciali a prescindere dei nostri lati più oscuri, che fanno parte della natura umana. È l’ambiente in cui nasciamo e cresciamo, le conoscenze che facciamo lungo la strada, che ci formano e fanno di noi quello che siamo. Purtroppo però è difficilissimo poter scegliere, e la condizione di privilegio in cui arriviamo a trovarci è soprattutto questione di fortuna. Anche poter compiere determinate scelte – la “scalata sociale” che affronta la protagonista del film – è un lusso che la maggior parte delle persone non avrà mai.