Uno spettro si aggira nelle pieghe di questa Awards Season, quello di Niente di nuovo sul fronte occidentale. “Non l’ho visto arrivare”, si ripetono gli appassionati della stagione dei premi, increduli davanti all’avanzata sorprendente del film tedesco.
Ancora adesso non è semplice capire il percorso del titolo bellico. Dopo la presentazione a Toronto e in seguito all’approdo su Netflix, avvenuto il 28 ottobre 2022, di Niente di nuovo sul fronte occidentale si è parlato molto poco. Un silenzio trasversale che ha colpito tanto il pubblico quanto gli addetti ai lavori. Eppure ci troviamo davanti a una produzione in grado di aggiudicarsi 7 BAFTA (record per un film non in lingua inglese) su 14 nominations, tra cui Miglior film e Miglior regista e che si presenterà alla notte degli Oscar con ben 9 candidature. Cerchiamo quindi di comprendere il perché Niente di nuovo sul fronte occidentale sia diventato un protagonista della stagione dei premi, partendo innanzitutto dalle origini del progetto.
Riappropriazione culturale
Nel 1928 viene pubblicato, prima sul giornale tedesco Vossische Zeitung e poco dopo in volume, Im Western nicht Neues (All’Ovest niente di nuovo). Opera in cui l’autore Erich Maria Remarque narrava con piglio autobiografico le vicende di un gruppo di ragazzi che, convinti ad arruolarsi tra le fila dell’esercito tedesco dai loro insegnanti, si trovavano impegnati al fronte durante la Prima Guerra mondiale. Un libro divenuto immediatamente un classico della letteratura antimilitarista, molto duro nei confronti di tutto quel mondo adulto colpevole di aver mandato al massacro un’intera generazione. Dal romanzo venne tratto pressoché immediatamente un adattamento cinematografico, realizzato nel 1930 da Lewis Milestone, capolavoro in grado di aggiudicarsi gli Oscar come Miglior film e Miglior regia lo stesso anno. Un’ulteriore trasposizione si ebbe nel 1979 in un film tv per la CBS. Poi nient’altro per più di quarant’anni, ovvero il lasso di tempo che ci porta alla versione di cui parliamo oggi, riadattata per lo schermo da Edward Berger. Un lasso di tempo lungo, probabilmente dovuto al pensiero comune che vede la Prima Guerra Mondiale come uno scenario difficilmente filmabile a causa della sua natura di conflitto statico.
Una credenza spazzata via da Sam Mendes e dal suo 1917, uscito nel 2019. E potrebbe quindi non essere un caso che questa versione di Niente di nuovo sul fronte occidentale sia entrata in produzione proprio a inizio 2020, a pochi mesi dall’uscita del film inglese. Ma dietro al film trionfatore ai BAFTA c’è molto di più. Si sente la necessità della Germania di riappropriarsi di un patrimonio culturale che per troppo tempo è stato usufrutto altrui. Una caratteristica cardine del popolo tedesco che ritorna: il bisogno intimo di fare i conti con il proprio passato. E così, seguendo questo sentimento impellente, l’opera di Remarque viene rimaneggiata, inserendo ex novo le sotto-trame legate all’armistizio e al generale Friedrichs. Vicende che ovviamente non potevano trovare riscontro nel racconto ignaro di un soldato semplice ma che diventano fondamentali in una narrazione didascalica di quel periodo storico in Germania. Le aggiunte comportano problemi a livello drammaturgico, inficiano il ritmo e quindi il risultato finale del film. Contemporaneamente però lo trasformano in un perfetto bignami dall’alto valore filologico, in grado di descrivere in maniera accurata non solo il conflitto ma anche le venature politiche e sociali tedesche, mostrando la nascita di quel seme che crescerà tramutandosi nell’ideologia nazista.
Un’attualità imprevista
Come fa quindi un film che per i suoi intenti era legato a un singolo paese europeo, con alcuni limiti evidenti e di cui si è parlato pochissimo a diventare un fenomeno internazionale in grado di attirare le attenzioni dei principali premi cinematografici mondiali? Quel progetto partito a inizio 2020 è slittato per il Covid e ha visto la luce solo due anni più tardi in uno scenario sociale ed emotivo totalmente differente e imprevisto. Nel mentre è scoppiato un conflitto che ci spaventa terribilmente e la sensibilità di noi tutti è cambiata fin nel profondo, con ogni probabilità in maniera permanente. Niente di nuovo sul fronte occidentale, il cui titolo è già di per sé una profezia, è diventato in maniera involontaria il perfetto oggetto da tramutare in simbolo. Non è difficile cogliere le ragioni nella cruenta vicenda dei giovani protagonisti al fronte. D’altronde lo stesso romanzo di Remarque come detto è una delle massime opere per quanto riguarda la letteratura anti-militarista, tanto da essere uno dei primi libri nemici del regime nazista e bruciato di conseguenza nei roghi. È invece più interessante notare e analizzare come le due sotto-trame menzionate in precedenza siano diventate attuali in maniera imprevista.
Erzberger, plenipotenziario tedesco e firmatario dell’armistizio di Compiègne interpretato da Daniel Brühl, divenne presto nella Germania del dopoguerra uno dei capri espiatori della propaganda della “pugnalata alla schiena”. Ovvero la retorica, portata avanti da nazionalisti, organizzazioni di estrema destra e parte dell’esercito, che vedeva nella sconfitta dell’Impero non delle ragioni belliche bensì un tradimento da parte delle alte sfere della politica e della diplomazia tedesca. Un pensiero che portò al suo assassinio nel 1921 da parte di due ex ufficiali. Nel film ci viene mostrato come un fermo pacifista, la cui famiglia è stata irrimediabilmente travolta dal conflitto e che ha come unico obiettivo quello di fermare la guerra e salvare più giovani vite possibili. Dall’altra parte abbiamo il Generale Friedrichs, uomo che vede nel conflitto l’unica via per potersi realizzare. Una “sua” guerra da portare avanti per poter entrare nella Storia dalla porta principale, non importa quante vite possa costare. Seppur queste due figure siano state portate in scena per altri intenti e salde ragioni storiografiche, non si fatica a scorgere due archetipi ben precisi. Sagome le cui sfumature e sentimenti abbiamo purtroppo imparato a conoscere bene e che per questo ben si sposano a diventare a loro volta simboli di altre narrazioni.
È probabile che il prossimo 12 marzo Niente di nuovo sul fronte occidentale si dovrà “accontentare” del premio come Miglior film internazionale oltre ad alcune statuette tecniche (e magari quella per Miglior sceneggiatura non originale). Ancora oggi è impensabile che possa aggiudicarsi quella come Miglior film, si tratterebbe di una delle rimonte più imprevedibili di sempre vista anche la totale assenza ai premi dei sindacati. Eppure nulla sembra più scontato. Discorsi come quelli degli ultimi giorni del Presidente Biden e di Putin sono in grado di cambiare la sensibilità di milioni di persone, votanti dell’Academy compresi e le votazioni si chiuderanno il 7 marzo. A prescindere dalle valutazioni personali e da come andrà, Niente di nuovo sul fronte occidentale è già un caso studio veramente interessante e un simbolo non “solo” del conflitto in Ucraina ma del mondo dell’intrattenimento e dei nostri tempi.