Nel 1979, lo scrittore Michael Ende dà alle stampe un romanzo “interattivo”. La storia infinita, di nome e di fatto: il lettore che si immerge tra le sue pagine ne diventa, infatti, parte integrante. Il primo a vivere l’avventura capitata al protagonista è l’autore stesso, il quale, inizialmente convinto che il proprio parto creativo non avesse occupato più di un centinaio di pagine, si sarebbe ritrovato a comunicare all’editore che avrebbe seguito i passi di un personaggio che ormai aveva vita propria. Soddisfatto della creatura scaturita dalla sua penna, Ende non fu altrettanto contento della sua fortunatissima (e costosissima) trasposizione cinematografica.
Malgrado le obiezioni del suo “genitore letterario”, il lungometraggio omonimo del 1984, del compianto Wolfgang Petersen, ebbe un successo straordinario, al punto da diventare un cult, oltre che uno dei film per ragazzi più rappresentativi degli anni ’80. Come ogni adattamento che si rispetti, anche questa pellicola rappresenta un “tradimento” delle intenzioni originali. In occasione del 40esimo anniversario del film e in attesa di volare in groppa a un Falkor tutto nuovo (è in lavorazione, infatti, un’altra serie di progetti dedicati a questo imprescindibile classico), vediamo quali sono le principali differenze tra il libro e il film di La storia infinita.
Il protagonista e il suo rapporto con il padre
La prima, lampante differenza che si può notare, tra la versione cartacea e quella cinematografica di La storia infinita, è relativa all’aspetto del protagonista e alla sua caratterizzazione. Nel libro, Bastian Balthazar Bux (in italiano, Bastiano Baldassarre Bucci) è descritto come un bambino pallido, grassottello e occhialuto. Il nome altisonante, in contrasto con la fragilità della sua indole, concorre a creare l’immagine di un ragazzino “nato vecchio” e ne denota una saggezza che si accrescerà nel corso degli eventi. Il piccolo Bastiano è orfano di madre ed è costretto a rifugiarsi in un mondo immaginario poiché, in quello reale, è perseguitato dai bulli e l’unico genitore che gli è rimasto è completamente assente.
Il Bastian della versione cinematografica, al contrario, è un bel ragazzino smilzo che non ha bisogno di occhiali. A differenza del padre della versione letteraria, il suo è molto empatico: lo consola, lo ascolta, gli sta vicino. Nell’adattamento sul grande schermo, perciò, viene a mancare un elemento strutturale della narrazione: il richiamo all’avventura. Sebbene inseguito anche lui, come la sua matrice cartacea, dai bulli, non avrebbe motivo di estraniarsi dalla realtà per rifugiarsi in un universo immaginario, in quanto ha dalla sua parte un genitore che dimostra di aver cura del benessere del figlio e che sicuramente lo aiuterebbe a venir fuori da qualsiasi incresciosa situazione.
Personaggi bidimensionali
Come vedremo, Bastian non è l’unica vittima di “appiattimento“. Ricordiamo tutti la scena in cui il giovane Atreiu perde il proprio compagno d’avventure nelle Paludi della Tristezza. Malgrado abbia comunque un forte impatto emotivo, sul grande schermo, Artax è il semplice destriero di Atreiu. Nel romanzo, invece, si tratta di un cavallo parlante, dispensatore di saggezza e consigli. La sua morte avviene in seguito a un intenso scambio di idee con il suo padrone: l’animale dimostra di avere una sensibilità e un altruismo che vanno oltre ogni umana immaginazione.
Uno dei limiti principali del lungometraggio è anche la bidimensionalità di personaggi chiave quali Atreiu, Falkor e l’Infanta Imperatrice. Il primo, lungi dall’essere quella sorta di “alieno” presentato da Ende, è un ragazzino, al pari di Bastian, il che fa perdere di mordente la sua difficoltà nel trovare un terrestre (ne ha egli stesso le sembianze!) per salvare Fantàsia. La versiona cinematografica pecca anche nell’ignorare la maestria con cui è costruita la figura dell’Infanta Imperatrice. Nel libro, L’Infanta racchiude una contraddizione: è una bambina, eppure ha i capelli bianchi e gli occhi dorati, elementi che ne denotano l’età avanzata e un’essenza sovrumana.
Quella del film è una ragazzina che, per quanto splendida ed elegante, non ha nulla che faccia presagire una sua imminente dipartita. Non rappresenta, inoltre, una costante, nella narrazione, al contrario del romanzo, che è pervaso dalla sua onnisciente presenza. Va a perdersi, infine, la solennità del drago Fùcur (Falkor, sullo schermo). Tra le pagine di Ende, è una creatura dall’aspetto leonino che incute un timore e un rispetto quasi reverenziali. Petersen, probabilmente per renderlo più accattivante per i bambini, lo ha trasformato in un adorabile cucciolone bianco, con le sembianze di un cane, dal corpo lungo e sinuoso.
La rappresentazione del Nulla
Tutti pensano che, ad aver trovato il volume di La storia infinita sia stato Bastiano. In realtà, è il contrario: è il libro a essersi concesso a un lettore empatico come lui. La minaccia che incombe sul regno di Fantàsia, infatti, non è qualcosa che possa essere affrontato da chiunque. Si tratta del Nulla, un’entità, in quanto tale, intangibile e tanto più spaventosa. L’ineffabilità del Nulla è impossibile da rappresentare: è bianco? È nero?
Semplicemente, non è. Petersen decide di raffigurarlo come una fitta nube minacciosa che annienta tutto ciò che incontra. Diciamo pure che, in questo caso, la colpa non è di nessuno: non si può dare forma a una non-entità. Quello che, però, non traspare dal lungometraggio è il senso di ineluttabile annientamento, causato dall’avanzare del Nulla, che è il motore che muove il capolavoro di Ende.
Il confronto tra Atreiu e Gmork
L’Atreiu di Ende è un personaggio complesso e sfaccettato. La cosa fondamentale, per lui, è portare a termine la missione affidatagli dall’Infanta Imperatrice e non gli importa di doversi sporcare le mani. Ecco perché, nel romanzo, il suo incontro con Mork (questo è il nome del lupo mannaro nella versione letteraria) si conclude con un violento scontro tra i due, che culmina con la morte dell’animale.
Nella versione cinematografica, vediamo un Gmork molto meno aggressivo, che si limita a incutere timore solo in quanto creatura dell’oscurità. Atreiu non lo uccide: il lupo muore per inedia e sfinimento, senza che debba scontrarsi con l’eroe. La violenza è stata evitata, sullo schermo, probabilmente per non urtare la sensibilità dei più piccoli, i principali destinatari del lungometraggio.
La fine della storia… infinita
Bastiano Baldassarre Bucci entra casualmente nella libreria del signor Coriandoli come un ragazzino goffo, impacciato e insicuro. Nella soffitta della sua scuola, armato di quello che sembrerebbe un semplice libro, vive l’avventura più straordinaria della sua esistenza. Collabora attivamente alla salvaguardia di Fantàsia, diventandone lui stesso il protagonista. Supera, in valore, l’eroe Atreiu. Alla fine della lettura, Bastiano è una persona nuova e non ricorda nemmeno più i bulli che lo stavano inseguendo. Ha trovato una forza interiore che lo ha fatto crescere e diventare un uomo. Il Bastian del film è il protagonista di un finale dai toni smorzati, complice anche il fatto che il lungometraggio copra soltanto la prima parte del racconto letterario.
Petersen si è preso, nelle ultime battute, una libertà che Ende non gli ha perdonato. Ha fatto sì che Bastian uscisse da Fantàsia in groppa a Falkor, per prendersi una rivincita contro i bulli. Ciò contravviene a due concetti fondamentali del romanzo: il primo è che il privilegio di vedere, di vivere Fantàsia e i personaggi che la abitano è appannaggio di pochi, meritevoli eletti. Il secondo, più importante, attiene all’evoluzione di Bastian, che, sullo schermo, viene meno. Dopo essere stato poco più che uno spettatore della storia, è tornato alla realtà con le stesse fragilità con cui era entrato. Segno, questo, che dal mondo reale non fosse, in effetti, mai uscito.