Il biopic è un genere amatissimo dal pubblico, soprattutto quando racconta quelle figure complesse che hanno lasciato un segno nella storia e affascinato intere generazioni. Maria Teresa di Calcutta è una di queste e Teona Strugar Mitevska con il suo Mother, film di apertura della sezione orizzonti del festival di Venezia 2025, la racconta spogliandola della sua aura mitica. Per fare ciò, la regista macedone focalizza la narrazione sulla settimana antecedente alla partenza di Maria Teresa (Noomi Rapace) dal convento delle suore di Loreto, quando il suo ordine delle missionarie della carità era ancora un idea, portata avanti dalla sua forte vocazione a fare del bene.

Il film cerca di portare un ritratto non convenzionale della santa, mostrandola nel suo lato materno, prendendo piena ispirazione dalla trilogia biopic di Pablo Larrain. L’intento, però, riesce a metà, perché ciò che viene fuori è un racconto respingente, con uno stile al limite del grottesco che non fa altro che allontanare lo spettatore dalla protagonista. Non c’è introspezione o possibilità di immedesimazione, soltanto una visione passiva di ciò che è narrato. Il film sembra più servirsi della figura di Maria Teresa per raccontare il bigottismo e la tossicità di un istituzione millenaria come quella della chiesa.

Una figura più autoritaria che materna

Noomi Rapace come Maria Teresa di Calcutta in Mother, fonte: Sisters and Brother Mitevski
Noomi Rapace come Maria Teresa di Calcutta in Mother, fonte: Sisters and Brother Mitevski

Il personaggio di Maria Teresa di Calcutta è sicuramente non semplice da portare sullo schermo, soprattutto se non si vuole risultare retorici e didascalici. Miteveska riesce ad ostacolare questa criticità, ma non a portare il suo scopo principale. Nonostante l’umanità con cui Maria Teresa viene ritratta, più che una donna profondamente materna, risulta una figura autoritaria e maniaca del controllo. Questo viene dato soprattutto dalla performance delle Rapace che, seppur bravissima, esprime più austerità che amorevolezza.

Inoltre non aiuta il mancato approfondimento degli altri personaggi presenti nella storia. Appena accennati e lasciati sullo sfondo, utilizzati dalla trama solamente per risaltare il (mancato) senso materno della protagonista. Gli stessi rapporti con quest’ultima sono molto superficiali, mancando di una certa emotività che possa far empatizzare con tutti questi personaggi. Tale mancanza viene da una narrazione ricca di troppo eventi, che si susseguono troppo velocemente l’uno all’altro.

Vocazione o vanità

Noomi Rapace come Maria Teresa di Calcutta in Mother, fonte: Sisters and Brother Mitevski
Noomi Rapace come Maria Teresa di Calcutta in Mother, fonte: Sisters and Brother Mitevski

Uno spunto narrativo che sovrasta totalmente l’intento originale di Mitevska, è la crisi di fede che Maria Teresa affronta in quei giorni di attesa. La costruzione del suo ordine è una vocazione per fare del bene per chi ne ha davvero bisogno? Semplice vanità, magari una mossa egoistica per dimostrare che anche lei, come donna, possa creare qualcosa in un istituzione fatta e controllata da soli uomini? Questo conflitto interiore è forse l’unico punto di forza del film, l’elemento effettivo che rende Maria Teresa un personaggio veramente umano.

Inoltre, è proprio questo scontro tra vocazione e vanità a condurre alla riflessione sulla chiesa e le sue ipocrisie. Soprattutto dando luce alla pesante repressione a cui i fedeli sono soggetti, portandoli ad essere emotivamente instabili o malignamente intransigenti. Mother è sicuramente una pellicola non riuscita del tutto, non adatta a tutti i tipi di pubblico, ma non manca di spunti interessanti che nonostante tutto rendono la pellicola apprezzabile e allo stesso tempo degna di attenzione.

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Amo il cinema fin da quando ero piccola, tant’è che è diventato il mio attuale percorso di studio all’università (studio al dams) e il mio sogno nel cassetto è quello di lavorare un giorno nel bellissimo mondo della settima arte come critica e in seguito come regista/montatrice