In occasione della recente uscita nelle sale di Cry Macho, abbiamo intervistato Michele Kalamera, storica voce di Clint Eastwood dal 1976, anno de Il texano dagli occhi di ghiaccio.
Chi è Michele Kalamera
Prima di legare la sua voce al divo californiano, Kalamera, classe 1939 (originario di Conegliano in provincia di Treviso, il nonno paterno era greco) vantava già una notevole carriera. Trasferitosi a Roma, frequentò l’Accademia di Arte Drammatica e nel 1963 fondò, insieme con Gigi Proietti, il Teatro Stabile dell’Aquila, per poi dedicarsi al doppiaggio. Tra gli anni ’60 e ’70 aveva già doppiato molti attori importanti in film iconici, per citarne solo qualcuno: Steve McQueen in Bullitt (1968), Robert Redford in Corvo rosso non avrai il mio scalpo (1972), Burt Reynolds in Un tranquillo Week end di paura (1972), Alain Delon in Notte sulla città (1972), Martin Landau nella serie Spazio 1999 (1975-77) e, in seguito, in Ed Wood (1994), col quale l’attore americano vinse l’Oscar come Migliore attore non protagonista.
Dopo Eastwood, l’attore che Kalamera ha doppiato più di frequente è stato Steve Martin, ben 13 film tra cui Il padre della sposa (1991), Pazzi a Beverly Hills (1991) e Bowfinger (1999). Questo a testimonianza dell’enorme ecletticità del doppiatore, che ha saputo destreggiarsi dalla recitazione trattenuta, da understatement, ovvero sotto le righe, di Eastwood all’istrionismo parossistico del comico americano. Ma fu solo con Eastwood che si creò il sodalizio più duraturo, avendolo doppiato per ben 23 film (con una breve pausa che approfondiremo nel corso dell’intervista). Se contiamo anche il divertente cameo di Eastwood in Casper (1995) diventano allora 24.
Non dimentichiamo che dopo aver iniziato il sodalizio con Eastwood, Kalamera ha proseguito nella sua carriera, realizzando altri importanti doppiaggi come quello di Donald Sutherland in La cruna dell’ago (1978), F. Murray Abraham (ovvero Salieri) in Amadeus (1984), Paul Newman in Mr. E Mrs. Bridge (1990), Michael Caine in The Prestige (2006), perfino David Bowie in Furyo (1983) e Zoolander (2001). Elencarli tutti sarebbe davvero impossibile perché parliamo di quasi 60 anni di carriera, per un totale di centinaia di titoli. Kalamera si è divertito a prestare la voce anche a molti personaggi dei cartoni animati come per esempio, solo per dirne alcuni, Giulio Cesare in due lungometraggi di Asterix (tra cui Le dodici fatiche nel 1976), Razoul in Aladdin (1992), l’imperatore Zurg in Toy Story 2 (1999), nonché il mitico sindaco Adam West nella serie I Griffin.
Tornando a Eastwood va detto che prima di Kalamera, il divo fu doppiato da Enrico Maria Salerno nella trilogia del dollaro di Sergio Leone e, in seguito, si avvicendarono diversi doppiatori importanti dell’epoca, tra cui Giuseppe Rinaldi, Pino Colizzi, Pino Locchi, Nando Gazzolo. A partire dal 1976, ovvero dal Texano dagli occhi di ghiaccio, Eastwood scelse personalmente Kalamera come sua voce italiana.
Prima di addentrarci nella conversazione con Kalamera, vogliamo ringraziare il critico cinematografico napoletano Alberto Castellano, senza il quale questa intervista non sarebbe stata possibile. Uno dei pochi critici che si è occupato in maniera seria e sistematica del doppiaggio e delle sue problematiche nei due poderosi volumi “L’attore dimezzato” per l’ANCCI Associazione Nazionale Circoli Cinematografici Italiani e “Il Doppiaggio” per l’AIDAC – Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinematografici.
Non nascondiamo dunque la nostra trepidazione al telefono nel momento in cui sentiamo la voce dell’ispettore Callaghan, di Josey Wales, di Wililam Munny e di tanti altri personaggi iconici della storia del cinema, palesarsi dall’altoparlante dello smartphone, impostato sul viva-voce.
Il rapporto con Eastwood
Vieni giustamente identificato come la voce di Clint Eastwood. Ma in realtà, prima dell’incontro col divo, avevi già doppiato tanti attori importanti in ruoli davvero iconici. Ma è solo con Eastwood, e in parte anche con Steve Martin, che si è creato un sodalizio duraturo. Grazie a questo sodalizio hai avuto importanti riconoscimenti del settore come per esempio il premio Voci nell’ombra, vinto per 3 volte, nel 2003 con Debito di sangue, nel 2009 con Gran Torino e nel 2019 con The Mule e il Premio Internazionale del Doppiaggio nel 2009, sempre per Gran Torino. In che misura pensi che questo matrimonio professionale ti abbia giovato, e quanto invece credi che ti abbia limitato facendoti identificare sempre e solo come voce di Eastwood?
Quando vengo sempre additato come il doppiatore di Clint Eastwood, non è che recrimino o protesto, ma sto al gioco. Però devo dire che la cosa, dentro di me, non dico che mi dia fastidio, parola eccessiva, però mi fa sentire un po’ sminuito perché io mi sono sempre divertito a fare tante cose, a doppiare tanti attori. Mi sono destreggiato nel comico, oltre che nel drammatico, in tantissimi film, su tantissimi attori diversi. Mi piace essere eclettico, cambiare la voce, ho fatto tanti film di cartoni animati proprio perché mi divertivo. Non mi piace essere identificato con un unico attore come alcuni miei colleghi che si sono attaccati ad un solo attore e doppiano sempre quello. Raramente fanno altre piccole cose. Io invece mi sono divertito su tanti altri attori, Steve Martin per primo. Per esempio quando doppio un film comico mi diverto tantissimo mentre non mi divertivo a fare i primi Clint Eastwood.
La scelta di Eastwood
Trovo molto significativo che Clint iniziò la collaborazione con te nel 1976, proprio con “Il texano dagli occhi di ghiaccio”, film cardine nella filmografia eastwoodiana, sia per la sua svolta più autoriale che per l’impegno produttivo profuso. Fu proprio con quella svolta che il divo sentì di dover trovare una voce italiana più consona a lui e scelse te. Ci puoi raccontare come andò?
Sono stato scelto da lui nel 1976, dietro provini in tutta Europa. Dopo Enrico Maria Salerno, che lo aveva doppiato molto bene nella famosa trilogia di Sergio Leone, Eastwood si interessò ai doppiaggi esteri, francesi, spagnoli e tedeschi perché questo è il doppiaggio in Europa: c’è quello tedesco, francese e spagnolo. Poi c’è quello italiano che eccelle su tutti. Ci sono stati anche grandi doppiatori francesi, come la madre di Catherine Deneuve (Renée), ma noi siamo considerati in tutto il mondo i doppiatori migliori. Sebbene tutti i miei colleghi che hanno doppiato precedentemente Eastwood dopo Salerno, Colizzi, il grande Rinaldi, Pino Locchi, fossero tutti bravissimi, Eastwood non è rimasto contento, tranne forse per Rinaldi. Non per il timbro della voce, ma per l’interpretazione. Perché quando a qualche doppiatore capitava Eastwood, che era già diventato famoso dopo la trilogia di Leone, tutti ci mettevano dentro il loro carattere, volevano essere loro i protagonisti, i doppiatori.
In seguito ho conosciuto Eastwood per 10 minuti, al teatro Fiamma, quando venne a Roma per la prima de I ponti di Madison County (nel 1995) dove lui stette sul palcoscenico per pochi minuti a presentare il film. Poi nella sala stampa gli dissero chi ero io e lui mi abbracciò, come se ci conoscessimo. Era entusiasta, poi rimase stupito che io fossi molto giovane in confronto a lui. In realtà io non sono molto giovane, ho solo 9 anni meno di lui. Però allora ero magrolino, mentre lui era già ben piantato.
In quell’occasione, tramite un interprete, mi disse: “Ti ho scelto perché tu hai capito che quando io faccio l’eroe o l’ispettore Callaghan, per spaventare l’assassino o il cattivo di turno, non alzo mai la voce.” Lui era già afonoide [senza timbro, NdR] quando era giovane, non ha mai avuto una voce bella timbrata. Mi disse anche “Io ho scelto te perché hai anche un po’ di trumpet, di tromba, quella che io non ho, sei la mia trombetta”. Lui ha avuto sempre una voce un po’ afonoide. La nobilitava Enrico Maria Salerno, che aveva capito come lui recitava, cioè poche parole e tante pistolate, in quella maniera così concisa.
Inoltre Clint aggiunse: “Io ho scelto te perché nel doppiaggio spagnolo divento un Hidalgo, cioè sembro un nobile spagnolo, in Germania mi fanno diventare Hitler, mentre in Francia divento gay. Tu sei la mia voce, my Italian voice, my Italian dubber, the best, Michael Kalemera”, lui mi chiama così. A Giugno di quest’anno, per Cry Macho, Eastwood si è raccomandato con la Warner Brothers di volere il suo solito doppiatore italiano, perché magari pensava fossi morto o che non ci fossi più.
Il doppiaggio di Cry Macho
Com’è stato il lavoro per Cry Macho e cosa pensi del film, rispetto all’evoluzione di Eastwood attore e autore?
Quando lavoro voglio sorvegliare anch’io il processo, il direttore di doppiaggio deve essere d’accordo con me e io con lui. Non soltanto lui deve essere contento, devo esserlo anch’io. Devo cercare di pensare di aver fatto un lavoro che piaccia anche a me. Cosa che non è successa per Cry Macho. Mi sono trovato negli ultimi tempi a cambiare ogni volta direttore di doppiaggio su Eastwood, mentre nei primi tempi era diverso: ne ho fatti 23 di Eastwood, quasi tutti diretti da Bruno Alessandro, un grande doppiatore, tra l’altro anche de L’ispettore Derrick. Con lui c’era già un’intesa mentre adesso ci sono direttori giovani che non sono riusciti a emergere come doppiatori, rimasti di serie B per intenderci, e allora tentano la strada della direzione di doppiaggio. Molte volte imbroccano dei film importanti per i quali gli viene dato un forte riconoscimento, per cui se il film ha successo e ne hai diretto il doppiaggio, anche se non sei stato un grande doppiatore, tutti credono che tu sia stato un grande direttore. Non è così: il grande direttore è diverso, è un po’ psicologo, collabora con te, ha una certa esperienza di doppiaggio, la sa lunga e ti indirizza bene.
Quando mi fanno subito incidere e mi dicono subito che va bene, vuol dire che non solo non ho imitato l’attore nel timbro, ma neanche le intonazioni che io ho fatto in tutti gli altri film [di Eastwood]. Nel doppiaggio di Cry Macho non mi sono piaciuto: dopo il secondo turno di doppiaggio (erano 6), vedevo che il direttore voleva che io facessi come voleva lui e non come negli altri 22 film precedenti in cui ho sempre doppiato il divo americano, mettendomi d’accordo col direttore di turno. A un certo punto mi sono anche un po’ scocciato perché non riuscivo a far prevalere la mia volontà. C’era poco tempo, il direttore mi diceva che tutto andava già bene così, perché nei film precedenti lo avevo infiorettato troppo. Io non avevo infiorettato niente. Avevo dato a Eastwood semmai delle cose che in italiano lo rendevano ancora più simpatico. Come Steve Martin che mi disse: “Michele, ma tu ci metti ogni tanto quella risatina che io non faccio, che fa ridere me che cerco di far ridere gli altri.” Non sono rimasto contento: dopo il secondo turno mi sono limitato a essere praticamente un lettore di battute in synch, perché mi sono scocciato. Ho concluso il film col direttore che per ogni battuta mi diceva solo “Va bene, va bene.” Quindi io sono rimasto molto deluso, prima di tutto dal doppiaggio. Poiché non sono mai contento di tutto quello che ho fatto, come dice mia moglie, è probabile che ti troverai comunque un prodotto fatto bene ma, sapendo che l’ho fatto di malavoglia, non sono contento.
Cry Macho è un film che Eastwood voleva fare 40 anni fa [come abbiamo spiegato nella nostra recensione del film]. È un film intimista, dove non succedono quasi mai colpi di scena, tranne in qualche momento. Vale per l’interpretazione di Eastwood e per il rapporto tra lui e un ragazzo di 14-15 anni, per la fotografia, per la musica, anche se in America è stato stroncato da metà critica, mentre l’altra metà lo ha assolto. A Clint non importa nulla, lo ha fatto per sé stesso. In un’intervista Clint afferma: “L’ho fatto per me questo film, ma poiché so di avere degli ammiratori, ho voluto metterlo in immagini. È un piccolo film”. Paul Schrader lo ha stroncato completamente, in maniera veramente spietata, ma è stato recensito bene da un grande critico del Los Angeles Time che ha assolto Eastwood dicendo che è un piccolo film e come tale Eastwood lo ha presentato. Non capisco perché Schrader si sia accanito in maniera così spietata, tra l’altro mentre aveva in programmazione il suo “Il collezionista di carte”.
Il pensiero di Eastwood
Cosa ne pensi di Eastwood, l’uomo, rispetto all’Eastwood autore e interprete?
Eastwood non è da attaccare per questo film, anche se mi sento molto critico nei suoi confronti perché lui dimostra di essere il contrario di quello che è politicamente nei suoi film. Come ha detto un suo grande amico psicologo, in un’intervista su Variety: “Nella vita sei uno sfacciato repubblicano da fare schifo, che crede nell’American Dream, invece quando fai i film sei uno psicologo, sei il più democratico dei democratici, sei contro il razzismo.”
Non voglio adesso attribuirgli cose troppo negative. È solo un repubblicano che crede veramente, forse avrà votato anche Trump ma spero che si sia deluso. Dico solo che Eastwood è fatto politicamente ed umanamente in un modo, mentre nei suoi film invece viene fuori una persona di una mentalità aperta. Il suo amico psicologo gli ha detto: “Tu sei quello che sei nei film e in quello io ti identifico, non nei discorsi che facciamo io e te.” Credo che abbia ragione.
Coraggio… Fatti ammazzare!
Mi racconti la storia leggendaria sul modo in cui fu trovato il titolo di Sudden Impact, ovvero Coraggio… Fatti ammazzare, quarto film dell’ispettore Callaghan del 1983, diretto dallo stesso Eastwood?
Durante il doppiaggio del film, a un certo punto vidi che Eastwood entrava in un negozio e trovava una commessa che sta per essere ammazzata da un rapinatore che probabilmente aveva appena fatto fuori qualcun altro. Eastwood inchioda questo tizio al muro con la pistola e c’è una scena, in originale, lunghissima, di 40 secondi: primo piano di Eastwood, primo piano del delinquente, che al cinema sono un’eternità. Quando dovevamo doppiarlo, mentre passava il film in lingua originale e vedevo questa scena, dissi: “Ma dai, questo st****o, e fatti ammazzare, dai coraggio!”. Il distributore appena lo sentì disse: “Cosa hai detto Michele? Coraggio, fatti ammazzare? Che titolo bellissimo!” Vuoi sapere una cosa Claudio? Adesso c’è qualcuno della produzione, o della distribuzione, che ad alcuni giornalisti ha raccontato che il titolo lo ha inventato lui. Io ho 10 testimoni tra i miei colleghi che lo ha inventato Michele Kalamera questo titolo!
La voce afona di Eastwood.
Cosa è successo ad un certo punto alla voce di Eastwood e come ti sei regolato in seguito?
Eastwood cominciò ad avere la voce afona nel 2002-03, quando un suo amico di Los Angeles gli disse che aveva dei brutti polipi alle corde vocali, che da benigni potevano diventare maligni. Di conseguenza stava perdendo sempre di più la sua voce. Occorreva dunque scarnificarli tutti e così si è operato. Infatti già in Debito di sangue (2002), mi fu detto di doppiarlo con la voce un po’ roca. Dirigeva Carlo Valli, un mio collega che è stato anche un bravo direttore. Valli riferì che dalla Warner Brothers avevano dato l’ordine che Eastwood lo voleva con la voce così. Lo feci dunque con la voce un po’ roca, ma non tanto. Poi lo seppi durante il doppiaggio di Gran Torino (2009): ad un certo punto ebbi l’ordine da Filippo Ottoni, grande direttore di doppiaggio e dialoghista, con lui e con Bruno Alessandro ho fatto i migliori doppiaggi della mia vita. In Gran Torino mi chiesero di doppiarlo “completely aphonic”, completamente afono, vuol dire privo di timbro. Filippo Ottone mi disse di provarci. Ero in colonna separata, [cioè doppiava da solo, NdR] e potevo fare tutti i miei esperimenti. Ma se io parlo completamente afono divento incomprensibile al cinema. Ci possiamo capire solo in una stanza, se siamo a un metro uno dall’altro. Feci i miei primi 2-3 minuti in questo modo e provammo a sentirlo sullo schermo. Non si capiva nulla. Era il Gennaio del 2009 ed entrammo in crisi. Come si può fare Eastwood completamente afono? Andammo a prendere un caffè fuori dalla sala di doppiaggio. Lo presi doppio dalla rabbia. Ad un certo punto mi venne un’idea e dissi a Filippo: “Se invece di farlo completamente afono, ci mettessi un po’ di raschiamento. È sempre afono, ma con la voce raschiata si sente.” Filippo acconsentì e facemmo una prova. Entrammo subito in sala di doppiaggio e gli feci sentire una prima scena in cui Eastwood diceva ad un ragazzo che stava sul tetto: “Hey tu ragazzo, scendi giù dal tetto.” Improvvisamente sullo schermo si sentiva tutto. Infatti anche al cinema non si perdeva una sillaba, perché la voce non era solo afona, ma anche roca. E in questo modo ho continuato a doppiarlo.
Dopo quel film ci fu un’intervista di Eastwood in cui lui non parlava più con la voce afona ma ci metteva questa raschiatura. Adesso Eastwood sembra che abbia copiato da me. Lui che prima parlava afono, adesso ci mette l’arrochimento nella voce. Infatti mia moglie dice: “Adesso è lui che imita te!”. In Gran Torino, in originale, non si capiva niente quando parlava. Un po’ sono andato incontro a lui, un po’ me lo sono inventato io, adesso io fin quando vivrò, o fin quando vivrà lui, dovrò doppiarlo in questo modo. Non è una cosa difficile per un doppiatore come me, abituato a sbizzarrirmi in varie voci. Infatti c’è una bella differenza tra la voce di Steve Martin e quella di Clint Eastwood, o quando doppio altri attori con la voce impostata. Mi diverto a usare la mia voce come voglio.
Una breve interruzione del rapporto.
Perché, per un certo periodo, da Gunny (1986) a Pink Cadillac (1989), hai saltato il doppiaggio di alcuni film eastwoodiani e, in seguito, anche Million Dollar Baby?
Cominciamo proprio da Million Dollar Baby. Nel 2004 dopo il mio primo turno di doppiaggio, purtroppo mi telefonarono per dirmi che mio padre era morto. Lasciai tutto e subentrò Adalberto Maria Merli, il quale si meravigliava del fatto che, avendo lui un gran vocione, gli facevano fare la voce un po’ afona, come Eastwood cominciava ad avere.
In precedenza c’è stato un periodo di 4 anni [dal 1986 al 1990] in cui non doppiai Eastwood. Siccome c’erano grandi doppiatori che all’epoca prendevano altissimi compensi per doppiare un film, mentre io prendevo 2 milioni, quando osai chiedere 2 milioni e mezzo i produttori temettero che il giovane Kalamera, poiché aveva doppiato 4 film [ne aveva già doppiati 10 di Eastwood, NdR], potesse alzare sempre più la posta. Per Gunny mi fecero volutamente perdere il provino. In quel film Eastwood fa un sergente che, ferito in Corea, parla con la voce afona, quella che lui ha avuto 20 anni dopo, come ce l’ha adesso da anziano. Mi fecero fare un provino nonostante io l’avessi già fatto [nel 1976, NdR] e mi dissero di farlo in maniera strana. Ma io sentivo che Eastwood la faceva un po’ più afona del solito. Io proposi di farla afona ma loro mi dissero “No no falla con la tua bella voce”. Un’altra cosa che mi infastidisce è quando mi dicono che ho una bella voce, invece di dirmi che ho fatto una bella interpretazione. Dicono sempre che i bravi doppiatori sono quelli che hanno una bella voce, ma non è vero. Il doppiatore lo puoi fare certamente se hai una bella voce, lo può fare chiunque, purché abbia una personalità e sappia recitare bene, poi se hai una bella voce è un altro discorso. Quando mi dicono: “Che bella voce, il doppiatore di Eastwood” mi fanno innervosire.
Alla fine Gunny lo fece un mio collega, Carlo Sabatini, che aveva una certa affinità di timbro con me. L’ho sentito e lui faceva 25-30 anni prima, quello che io faccio adesso, quello che Eastwood è diventato adesso. Mi fecero fare il provino con la voce normale. Io feci notare che lui faceva una voce afona e chiesi chiarimenti sul personaggio. Mi fu detto che era stato ferito in Corea e aveva perso un po’ la voce, ma di farla “con la mia bella voce”. Ma lui non l’aveva bella! Mi fecero perdere il provino, dicendo tra l’altro che Clint Eastwood l’avrebbe sentito. Inventarono che il divo era a Ginevra, o a Zurigo, e l’avrebbe sentita il giorno dopo. Me lo volevano far perdere perché adesso volevo 2 milioni e mezzo. E me lo fecero perdere. Avrei potuto fare già allora la voce afona.
Gunny fu recensito da vari giornali e piacque, il film era buono, il mio collega onestamente ci fa anche una buona figura, ma la pellicola non aveva incontrato il successo economico. Morando Morandini, che ho conosciuto in seguito, scrisse su Il Giorno di Milano, che il film era piaciuto, però “ci piaceva di più la voce del signor Kalamera”. Bastò questa frase di Morandini e il fatto che il film avesse guadagnato poco, perché la Warner Bros tornasse a Canossa in ginocchio dicendomi: “Michele, abbiamo sbagliato, hai ragione, lo potevi fare tu.” Io risposi: “Sabatini lo ha fatto benissimo, continuate a farlo fare a lui.” Per 3 film (Gunny [1986], Scommessa con la morte [1988] e Pink Cadillac [1989]) non lo doppiai io, infatti nel curriculum dei miei doppiaggi di Eastwood tu vedi un salto di 4 anni, poi ricomincia Kalamera. Ero rimasto così incavolato che dissi: “Io adesso non ve lo faccio più”. Erano tutti spaventati, non volevano più farlo doppiare da Sabatini, credendo fosse colpa sua. Lui aveva doppiato benissimo. Quando ho ripreso a doppiarlo, non ho più chiesto la cifra di prima, ma l’ho moltiplicata. In seguito Morandini mi ha sempre incensato, nella sua Enciclopedia mi cita parecchie volte. Riguardo Fino a Prova contraria (1999), che era un bel film, addirittura scrisse: “Lo doppia il solito bravo Michele Kalamera”, parole più belle di queste non poteva dirle.
Il doppiaggio ieri e oggi
Cosa è cambiato oggi nella tua professione?
Adesso il doppiaggio non è più un lavoro di bulino, ovvero lo strumento che usavano gli orafi: è diventato un lavoro di quantità e superficialità, non c’è più la qualità. Il presto e bene sono due avverbi che non sono mai andati d’accordo. Una volta mi davano il copione, mi studiavo le battute a casa, per cui arrivavo già pronto. I miei doppiaggi dei film importanti, da protagonista, li faccio sempre in colonna separata, cioè da solo. So già benissimo come devo rispondere, come devo interloquire con gli altri miei colleghi ecc. Non è una difficoltà questa, anzi è un vantaggio, perché subito dopo aver inciso, ho la capacità di sentirmi subito, cosa che una volta non era possibile quando si lavorava su pellicola. Adesso invece con il digitale, appena ti incidi ti rivedi sullo schermo e ti correggi da solo, oltre che aiutato dal direttore e dall’assistente.
Oggi c’è un regime di restrizioni da tutte le parti perché alcuni miei colleghi avevano gonfiato troppo le loro prestazioni. Io sono stato sempre molto umile, ho sempre fatto i miei prezzi onesti, piccoli. Non ho mai preso più di 1500-2000 euro, tranne per Eastwood o Steve Martin: con loro mi regolo diversamente. Ultimamente mi hanno chiesto di doppiare Steve Martin in una serie televisiva [Only Murders in The Building], insieme con Martin Short, suo braccio destro e grande amico. Li dovevo fare io ma non ho potuto farli per due ragioni: mia moglie è stata molto male per circa 2 mesi e io dovevo doppiare 10 episodi televisivi di 2 ore ciascuno, quindi 10 film. Mi avrebbero impegnato anche il sabato, dal 2 Giugno fino al 14 Agosto, quindi 2 mesi e mezzo per fare 10 film, di 2 ore l’uno, 20 ore di film in tutto, e volevano tutti me. Ho dovuto rifiutare perché mia moglie stava veramente male. Anche io, avendo avuto l’infarto 2 anni fa, sto recitando molto meno, poi non ho più molta più voglia di lavorare. Su quella serie televisiva (10 film) mi sarei ammazzato di fatica, per 2 mesi ininterrotti. Non avrei retto con le mie malattie e poi avrei lasciato mia moglie per un mese quando si operò. Infine i tempi di lavoro erano strettissimi e non consentivano di lavorare bene.
Con Steve Martin io mi sono divertito moltissimo, l’ho doppiato 10-12 volte, tra cui Pazzi a Beverly Hills che mi fecero doppiare 2 volte, l’unico che ho ridoppiato due volte. Per Amadeus [in cui doppiava Salieri, interpretato da F. Murray Abraham] mi sono rifiutato di fare la seconda edizione. La prima edizione, voluta dal regista Milos Forman nel 1984, durava 160 minuti, 2 ore 40 minuti. Io lo avevo doppiato con la direzione di Fede Arnaud e ci avevamo messo 15 giorni, un turno al giorno, insieme con Roberto Pedicini, il doppiatore di Mozart della prima versione. 17 anni dopo, nel 2001, poiché i giovani si erano appassionati alla musica di Mozart, il produttore Saul Zaentz fece montare una versione più lunga, aggiungendo 20 minuti e portando la durata del film a 180 minuti, ovvero 3 ore. Richiamarono me e Pedicini, che si consultò con me su cosa fare. Io dissi: “Ok facciamo 20 minuti di film in più”. No, non dovevamo rifare quei 20 minuti di film perché la nuova versione di 180 minuti non era quella che avevamo doppiato noi, ma aveva un altro distributore. Per ragioni che esulavano da quelle artistiche, volevano che lo ridoppiassimo tutto daccapo.
Quando fai una cosa per bene, lo diceva anche Picasso, e vuoi rifarla buona come quella volta, non verrà mai superiore o uguale a quella, ma sempre inferiore. Mai rifare una cosa venuta bene. Non avevo più intenzione di accettare. Per telefono mi dissero: “Tu che sei bravo, prima fai Salieri anziano in 2 turni, poi con un terzo turno fai Salieri giovane.” In 3 turni! Quando tutti ti dicono, anche se lo sai già, “Tu che sei bravo” è sempre perché ti vogliono fregare sui soldi. “Tu che sei bravo” vuol dire “Ti devo pagare poco”. Sai in quanti turni ho fatto Salieri in Amadeus nel 1984 con la direttrice Fede Arnaud? In 30 turni! Pedicini ha fatto Mozart in 31. Questa direttrice era talmente pignola che io, in una scena all’inizio, in cui c’era un breve monologo, io ci impiegai 2 ore: me lo fece ripetere 72 volte, prendendo poi un pezzo dall’uno, un pezzo dall’altro. Era una direttrice di doppiaggio bravissima, però ammazzava l’attore, e anche la produzione perché il doppiaggio del film, che costava 60 milioni, poi arrivò a 100 milioni.
Con la prima versione del film avevo preso 6 milioni e 400 mila lire, che nell’85 erano una cifra cospicua. Per la versione del 2001 mi offrirono 2 milioni e 800.000, promettendo di arrotondare a 3. Io e Pedicini ci rifiutammo. Il direttore di doppiaggio, Filippo Ottoni, ha ripreso lo stesso copione, tradotto da Fede Arnaud, e ha fatto il film in 6 turni, ed è venuto una cosa dignitosa, nonostante tutto. I colleghi del nuovo doppiaggio mi chiamarono chiedendomi: “Non è che ti arrabbi”. Io dissi: “Fatevi pagare ragazzi”.