Andrew Lincoln se ne sta fuori dalla soglia di una casa a due piani. Alle sue spalle la notte avanza, rotta dal coro preregistrato di canti natalizi. Tra le sue mani ci sono dei cartelli bianchi su cui campeggiano scritte tratteggiate con il pennarello nero che veicolano messaggi indirizzati a un’incredula Keira Knightley. La dichiarazione che il personaggio di Mark fa a quello di Juliet è senza dubbio una delle scene più iconiche di Love Actually – L’amore davvero, pellicola del 2003 diretta da Richard Curtis. Una dichiarazione che ci ha fatto sospirare, che ci ha spinto ad entrare in empatia con un personaggio destinato a non poter realizzare il proprio sogno d’amore perché innamorato di una donna “impossibile”, sposata col suo migliore amico. Eppure è stato proprio Richard Curtis a tornare su questa scena emblematica, sottolineando come essa, vista attraverso le lenti della società moderna, non sia altro che la rappresentazione di un stalker.
Guardandola da questo punto di vista, allora, la dichiarazione silenziosa di Andrew Lincoln non è più la prova di un amore sano e un po’ sfortunato. Al contrario, è la rappresentazione di un amore ossessivo, di un insistere a nutrire sentimenti che sono già stati respinti per il semplice fatto che la donna in questione ha già scelto un altro uomo. La nuova rilettura fatta dal regista di Love Actually – L’amore davvero apre uno spunto di riflessione tutt’altro che scontata che ci spinge a riflettere su come le commedie che abbiamo spesso amato non siano solo storie romantiche, ma nascondano al loro interno relazioni problematiche se non proprio tossiche e abusive. E la domanda che è sorta è la seguente: le commedie romantiche fanno parte del problema legato al patriarcato?
Il mito dell’uomo che non deve chiedere mai
Nell’immaginario collettivo c’è un’idea specifica di eroe romantico. Nella maggior parte delle commedie romantiche che abbiamo visto o delle storie che abbiamo inseguito tra le pagine dei libri, c’è l’ideale maschile dell’uomo alpha, sicuro di sé al punto da sfiorare l’arroganza, geloso della sua donna e determinato a tutto pur di ottenere quello che vuole. Uno dei primi esempi cinematografico di quello che oggi considereremmo un antieroe è sicuramente il Rhett Butler di Via col Vento. Un uomo che non si arrende davanti ai numerosi no sussurrati o urlati da Rossella, che arriva addirittura a stuprarla e a gettarla dalle scale quando la donna non è più l’ideale che aveva costruito nella sua mente. Ma Via col vento è anche un film uscito nel 1939 che, in qualche modo, rappresentava anche la società dell’epoca, in cui il ruolo della donna era comunque limitato a quello di essere una protesi dell’uomo, come nel caso di Adamo e della sua “costola” Eva.
Questo ideale, però, ha continuato a esistere al cinema e molti uomini problematici sono diventati dei veri e propri eroi romantici. Se in letteratura abbiamo l’esempio del rancoroso Heathcliff o dell’arrogante Darcy, al cinema arriva ad esempio il Noah interpretato da Ryan Gosling in Le pagine della nostra vita. Il bacio che Noah e Allie si scambiano sotto la pioggia torrenziale è una delle scene più famose del cinema recente e la loro storia d’amore, capace di resistere persino alla demenza senile, è una degli esempi che vengono portati avanti quando si parla di romanticismo. A ben guardare, però, Noah è un manipolare, un narcisista che arriva addirittura a minacciare di togliersi la vita dopo aver ricevuto uno dei primi rifiuti. Analizzato alla luce della maggior consapevolezza che oggi accompagna l’analisi filmica, Noah non ha più niente dell’eroe.
È in realtà un compagno possessivo e ossessivo, che non riesce ad andare avanti con la propria vita e che costringe la donna a rinunciare a se stessa pur di accontentarlo, pur di renderlo felice. Torna dunque l’ideale dell’uomo silenzioso e burbero, che accende nella donna quell’impulso alla proverbiale crocerossina che la spinge a pensare che ogni uomo può essere salvato dal bacio del vero amore o dalla sua controparte più razionale. L’esempio, cioè, di una cultura davvero patriarcale in cui la donna rimane anche nelle situazioni più pericolose e tossiche perché abituata a pensare di essere l’ancora di salvataggio dell’uomo, anche quando egli non ha alcuna intenzione di confessare di avere un problema.
La “romanticizzazione” di un problema: il catfishing
Una delle tante minacce che caratterizzano le relazioni al giorno d’oggi è quella del cosiddetto catfishing. Vale a dire quella pratica per cui una persona finge di essere qualcuno che non è, con l’ambizione a truffare una vittima, soprattutto per raggiri di tipo economico. Nel documentario di Netflix Il truffatore di Tinder questa pratica viene spiegata in modo molto chiaro e ne viene mostrata soprattutto la mancanza di moralità. E in questo caso tutti siamo inorriditi, tutti abbiamo provato pietà e compassione per le donne raggirate, per coloro che hanno voluto credere in un lieto fine e invece si sono trovate prese in giro, derise e umiliate. Il giudizio, in questo caso, è stato unanime: il truffatore era una persona abietta, da tenere lontano dalle proprie vite.
Eppure tutti noi abbiamo tifato per il Joe Fox di Tom Hanks quando in C’è posta per te cerca di sedurre la Kathleen interpretata da Meg Ryan. Uscito nel 1996 per la regia di Nora Ephron, C’è posta per te è utilizzato ancora oggi come esempio della commedia romantica per antonomasia. Eppure Joe Fox non fa altro che esercitare il catfishing nei confronti della sua co-protagonista. A un certo punto del racconto, infatti, l’erede dell’azienda Fox scopre la vera identità di Commessa, la donna con cui chatta. La scoperta, però, non lo spinge a dire la verità alla donna: al contrario, Joe assume due personalità. In chat è un uomo che dà consigli e manipola una Kathleen inconsapevole e, dal vivo, utilizza tutto quello che lei ha confessato al suo alter-ego informatico per ottenere quello che vuole.
Prima ancora dell’avvento dei social, però, il catfishing esisteva già nel mondo delle commedie romantiche. Si pensi, ad esempio, al film natalizio Un amore tutto suo, che vedeva come protagonista Sandra Bullock nei panni di una donna sola che finisce con l’inventarsi una relazione con un uomo in coma. Sebbene l’intento della donna non sia di fatto quello di imbrogliare nessuno, la Lucy del film non fa altro che mentire a un numero sempre maggiore di persone, compreso il povero uomo in coma che, al suo risveglio, si scopre fidanzato. Per di più la bugia di Lucy continua a persistere anche quando essa significa convincere il team medico che Peter abbia un problema mnemonico. Il cinema, dunque, ha sempre romanticizzato una pratica che, a livello razionale, tutti sappiamo essere immonda, illegale, amorale. Per cui lo spettatore tende ad accettare dinamiche davvero molto tossiche come se fossero la prova incontrovertibile della bontà di una persona o di una relazione.
Il male gaze nelle commedie romantiche
A un certo punto della storia del cinema le commedie romantiche hanno deciso di voltare pagina e di evolversi insieme al mondo dell’intrattenimento. Le storie melodrammatiche o più apertamente sentimentali hanno lasciato il posto a storie più terrene, che passavano soprattutto attraverso la volontà di liberalizzare l’idea del sesso come parte fondamentale delle relazioni sentimentali. Ma questa liberalizzazione spesso ha portato solo alla riproposizione di un problema antico come il mondo, quello del male gaze.
Uno degli esempi più noti è la commedia La dura verità, dove il protagonista maschile è interpretato da Gerard Butler e non è altro che un misogino volgare e trash, che si vanta dei propri limiti invece che interrogarsi sul perché in lui siano radicate tante idee così sbagliate. Tuttavia, invece di essere percepito come un uomo a tratti spregevole, il protagonista del film viene dipinto come un simpatico mascalzone capace di far cadere ai suoi piedi qualsiasi donna su cui posa lo sguardo. Compresa la protagonista interpretata da Katherine Heigl che, se all’inizio si rende conto della volgarità del suo collega, alla fine finisce con l’innamorarsi di colui che ha passato tutto il film a trasformarla in quello che lei non è.
Il vero problema delle commedie romantiche, a ben guardare, è proprio la difficoltà nel trovare personaggi femminili forti e credibili, che non siano solo la personificazione di una certa fantasia o di un certo ideale. Non aiuta, in questo caso, che molte commedie siano dirette da uomini. Questo fa sì che spesso ci sia un male gaze – magari anche interiorizzato – che non permette di notare dove le cose non funzionano, dove si fanno problematiche, dove il romanticismo diventa una venatura di tossicità. E forse è anche questo il motivo per cui film come Barbie o C’è ancora domani oggi hanno un successo così universale: sono la prova del bisogno di uno sguardo femminile, di un female gaze che può dar voce anche al punto di vista femminile, in un’arte che è stata comunque molto a lungo appannaggio maschile.
Negare non è la soluzione
Ma questo, quindi, cosa significa? Dobbiamo rinnegare tutto ciò che abbiamo visto e amato? Ci dobbiamo arrendere alla frase ritornello secondo cui non si può più dire niente e il cinema non è altro che una creatura morente in mano ai cattivi del politicamente corretto? Come in ogni cosa, anche l’analisi cinematografica conosce le mezze misure. Riconoscere i limiti di un prodotto filmico non significa volerlo cancellare dalla faccia della terra né esprimere un giudizio su chi lo ha amato. Tuttavia negare l’esistenza di un problema non può nemmeno rappresentare una soluzione percorribile.
Ciò che fa la differenza, in questo senso, è la consapevolezza. In Twilight sappiamo tutti che è estremamente sbagliato che Edward si intrufoli nella stanza di Bella non invitato (e qui si potrebbe aprire anche una riflessione sull’evoluzione del vampiro), per guardare la ragazza di cui è innamorato mentre dorme ed è indifesa. Quando Sebastian, in La La Land, assume un tono paternalistico nei confronti di Mia, trattandola come se lui fosse un professore e lei un’ingenua scolaretta, tutti notiamo le cosiddette red flag di un uomo insicuro che ha bisogno di conferme. Persino né La Bella e la Bestia siamo tutti consapevoli che una relazione costruita sulla sindrome di Stoccolma non è di certo la più sana.
Dobbiamo essere consapevoli di quello che guardiamo e, soprattutto, dei messaggi che i prodotti che amiamo veicolano. In una società dove il femminicidio è una minaccia all’ordine del giorno, capire dove la rappresentazione dell’amore è sbagliato e abusivo è importante per far sì che generazioni di donne non cadano di nuovo in trappole che, ahinoi, possono diventare mortali. Così come vogliamo essere certi che tutti sappiano che non uccideremmo nessuno se siamo appassionati di thriller, è altrettanto fondamentale che quando abbiamo a che fare con la trasposizione di storie d’amore ci rendiamo conto di cosa sia il romanticismo e di cosa sia il lascito di una cultura spesso maschilista se non proprio misogina.
Dobbiamo cancellare il passato per sconfiggere il patriarcato?
È altrettanto importante, però, tenere sempre a mente il contesto di un’opera d’arte. Analizzare con la lucidità di oggi un film uscito negli anni Quaranta non ha senso: escludere dalla conversazione l’impatto sociale e culturale in cui un film è stato pensato e realizzato significa partire da una posizione già di per sé faziosa e, quindi, inutile. Non dobbiamo cancellare il passato: al contrario, dobbiamo tenerlo bene in mente, dobbiamo osservare l’evoluzione del modo di raccontare le storie e di costruire i personaggi, per seguire il percorso semantico e narrativo, di modo da non portare più sullo schermo elementi che oggi ci farebbero inorridire. C’è ancora domani racconta la storia di una donna vittima della cultura in cui è nata, picchiata da un marito abituato a pensare che la donna è una sua proprietà.
È un film ambientato nel primo dopoguerra eppure appare così attuale e così condivisibile proprio perché la natura patriarcale della cultura e del cinema è un fatto ancora tristemente quotidiano. E non è un caso se Paola Cortellesi utilizza proprio i cliché e gli stilemi della fiaba e della commedia per raccontare l’orrore. L’incipit del film, ad esempio, è un chiaro omaggio al prologo di Cenerentola, la storia di una donna maltrattata in famiglia che sposa il primo venuto pur di scappare da un incubo. C’è ancora domani, dunque, rappresenta in qualche modo la risposta attuale a quelle commedie che, pur senza malvagità o secondi fini, hanno finito col veicolare messaggi e posizioni spesso maschiliste.
Ed è questa la strada giusta da percorrere: non cancellare e rinnegare il passato o nascondere la testa sotto la sabbia. Ma realizzare opere sempre più consapevoli e lasciare anche spazio alle voci femminili di emergere. Perché sarà difficile liberarsi dall’idea del patriarcato se, nell’industria, non viene lasciato davvero spazio anche alle voci e ai talenti femminili (e non solo nell’ambito delle commedie romantiche) per far sì che siano parte della conversazione e non una semplice quota rosa per indorare la pillola a un sistema corrotto.
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