Alcuni filmmaker come Christopher Nolan, Martin Scorsese o Peter Jackson, hanno accumulato un potere contrattuale e/o prestigio del nome presso le majors grazie ad alcuni importanti successi come Il Signore degli Anelli, la Trilogia del Cavaliere Oscuro o Taxi Driver. Ciò gli ha permesso li nel corso del tempo di ottenere carta bianca per la realizzazione delle loro opere fiume come: King Kong, Oppenheimer, The Irishman e Killers of the Flower Moon.
Alla luce delle uscite negli ultimi mesi sul grande schermo e su piattaforma streaming di film come Napoleon di Ridley Scott e Rebel Moon di Zack Snyder, è tornato alla ribalta il dibattito tra le versioni autoriali dei registi e i prodotti cinematografici influenzati da produttori e dalle case di produzione, che tra tagli di montaggio e necessità finanziarie, hanno portato a pellicole non conformi alla visione iniziale dei loro autori, talvolta incomprese da parte della critica e del pubblico. In alcuni casi i registi sono stati però accontentati in seguito con l’uscita delle cosiddette “Director’s Cut”
Ecco quindi 10 esempi di Director’s Cut, la cui visione autoriale ha inciso sul risultato (e sul giudizio) finale sull’opera.
Apocalypse Now (1979)
Considerato tra le più famose epopee di tutti i tempi sulla guerra del Vietnam il nono lungometraggio del premio Oscar Francis Ford Coppola è ispirato liberamente al romanzo Cuore di tenebra di Joseph Conrad e figlio di una lunga odissea produttiva. Si aggiudicò la Palma d’oro al 32esimo Festival di Cannes e 2 premi Oscar vinti alla 52esima edizione degli Academy Awards per la migliore fotografia e il miglior sonoro. L’uscita successiva di due Director’s Cut lo rendono un chiaro esempio di come l’aggiunta al montaggio di scene scartate, possano conferire maggiori differenze tematico – espressionistiche al già ottimo Theatrical Cut.
Protagonista di due differenti versioni: Apocalypse Now Redux del 2001 ha visto l’aggiunta di ben 49 minuti ed ha portato ad un maggiore approfondimento sui temi della follia individuale/collettiva e del sesso attraverso una dilatazione dei ritmi narrativi. Poi è stato il tempo della Apocalypse Now – Final Cut, considerata dallo stesso Coppola come “l’edizione definitiva e perfetta”, realizzata in occasione del 40ennale del lungometraggio. Rappresenta il giusto compromesso tra l’incompiutezza della versione originaria del 1979 e la durata fiume della prima versione estesa, dove sempre secondo il regista italoamericano: “L’obiettivo finale era quello di includervi le sequenze essenziali che consentissero al film di essere migliore”.
I Cancelli del Cielo (1980)
Con il trionfo della sua seconda opera dietro la macchina da presa Il cacciatore, che gli valse il premio Oscar per la miglior regia, Michael Cimino convinse nel 1979 la United Artists a concedergli carta bianca per il suo ambizioso terzo progetto cinematografico. Un western che avrebbe raccontato lo sgretolamento del sogno americano e del suo nascente capitalismo. Ne venne fuori I Cancelli del Cielo, pellicola all’epoca giudicata “maledetta” per il suo alto budget, per la sua accoglienza negativa (“Un disastro inqualificabile” secondo il New York Times) dovuta alle continue imposizioni della United Artists in fase di componimento, la cui durata iniziale di 219 minuti fu ridotta successivamente a 149, che portò al fallimento della stessa casa di produzione e all’iniziale perdita di controllo creativo da parte dei registi sulle produzioni ad alto budget.
Dopo il flop al botteghino, tra il 1982 e il 1988, il canale via cavo americano Z Channel iniziò a mandare in onda la versione integrale del lungometraggio che fece guadagnare progressivi consensi da parte della critica specializzata e del pubblico, portando il western ad essere considerato tra i migliori mai realizzati nella storia del genere. Lo storico direttore artistico della Mostra del Cinema di Venezia Alberto Barbera, dopo la proiezione speciale della versione restaurata alla 69esima edizione del festival nel 2012, dichiarò: “I Cancelli del Cielo è un capolavoro moderno, il cui rimontaggio dopo le proiezioni stampa è stato una delle più grandi ingiustizie della storia del cinema.”
Blade Runner (1982)
Ha avuto problemi fin dalla sua gestazione il celebre capolavoro fantascientifico di Ridley Scott liberamente basato sul romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick. Tra continui litigi sul set, richieste da parte dei produttori di un montaggio inferiore alle due ore di durata che portasse ad un finale meno cupo, pessimi test screening, voci fuori campo da eliminare e il celebre finale completato con le riprese scartate dallo Shining di Stanley Kubrick si è arrivati ad avere ben 7 differenti versioni.
La versione del regista del 1992 voluta dallo stesso Scott nell’epoca delle prime Vhs, modificata successivamente in digitale nel 2007 nella Blade Runner: The Final Cut ha incarnato il primo scontro ideologico tra visione registica e finalità commerciali da parte degli studios hollywoodiani.
Amadeus (1984)
Una pièce teatrale da Oscar sull’esaltazione del genio e lo sviluppo della coscienza aldilà del tempo. A quasi 40 anni dal suo rilascio nelle sale, il celebre falso storico di Miloš Forman basato sull’opera teatrale omonima di Peter Shaffer, e incentrato sulla “presunta” rivalità tra Wolfgang Amadeus Mozart e Antonio Salieri, continua ad affascinare per la sua regia, le interpretazioni dei suoi protagonisti, la sfarzosa messa in scena, l’immortale colonna sonora e per il suo ritmo narrativo praticamente perfetto.
La domanda che sorge spontanea è: “Una Director’s Cut era proprio necessaria?” La risposta ovviamente sta nel mezzo. Nel 2002, la Warner Bros. si fece carico di una nuova versione del film con 20 minuti aggiuntivi, che ampliarono la narrativa parlando della condizione finanziaria di Mozart, del suo rapporto con l’alta società in materia musicale e dell’umiliazione della protagonista femminile Constance ad opera di Salieri. Questa versione, soprattutto in Italia, non venne accolta con particolare entusiasmo dal pubblico nostrano, a causa soprattutto del cambio dei doppiatori della versione originale del 1984 apprezzata tutt’oggi.
C’era una volta in America (1984)
Frutto di un lavoro preparativo che ha ricoperto più di 12 anni di carriera registica, C’era una volta in America è considerato come il “capolavoro definitivo” del maestro Sergio Leone, nonché uno dei must dell’intera storia del cinema. Liberamente ispirato al romanzo The Hoods di Harry Grey (Pseudonimo di Hershel Goldberg), la storia di Noodles e dei suoi compagni gangster rappresenta un vero e proprio saggio sullo scorrere del tempo e sulle conseguenze che esso comporta.
Dopo più di dieci mesi di riprese svoltesi senza troppe difficoltà in varie località degli USA, la lavorazione del gangster movie ebbe svariati problemi in cabina di montaggio, complici le animate diatribe tra il filmmaker romano e il produttore Arnon Milchan. Reticente verso l’uso della tecnica flashback pensata da Leone, Milchan, temendo la non facile comprensione del pubblico in sala, impose un editing che seguisse l’ordine cronologico degli eventi, portando la versione Theatrical a 139 minuti per l’audience statunitense. Ma lo stesso regista, dopo aver assistito a un montaggio preliminare, cominciò a considerare l’idea di distribuire il film in 2 parti distinte da 3 ore ciascuna. Successivamente modificate fino ad arrivare ad un’unica versione per il pubblico internazionale da 229 minuti.
Inutile dire che la versione americana fece flop al box office a causa della poca chiarezza narrativa dovuta ai tagli, e che la versione internazionale ricevette un ottimo consenso. Ma l’idea di poter regalare all’audience l’intero girato integrale, continuò a “scorrere” nella testa del suo creatore. Purtroppo Leone non poté vedere quell’ossessione cinematografica tramutarsi concretamente, in quanto ci vollero più di 28 anni affinché la extended version cut di C’era una volta in America vedesse la luce.
Dopo l’acquisto dei diritti nel 2011 da parte dei figli Andrea e Raffaella Leone, la Cineteca di Bologna lavorò al restauro dell’intero girato, integrandolo con le scene tagliate e migliorandone il sound design, ripristinando il doppiaggio originale rispetto a quello del 2003 per la versione dvd. Completata per la presentazione nel 2012 al 65esimo Festival del Cinema di Cannes, l’extended version cut da 251 minuti del film riscosse grandi applausi da parte della critica e del pubblico.
Aliens – Scontro Finale (1986)
In un’ era come quella recente dove i franchise abbondano di sequel, prequel e reboot, negli anni ottanta la parola “grande evento filmico” era incarnata da uno dei seguiti più chiacchierati della storia della Settima Arte. Voluto inizialmente da Ridley Scott dopo il clamoroso successo del primo capitolo del 1979, la direzione di Aliens passò al padre di un altro franchise nascente in quegli anni: Terminator. Il regista: James Cameron. Bistrattato e accusato di eccessivo patriottismo reganiano da alcuni critici, Aliens rappresenta il perfetto sequel che amplifica ed esalta tutti gli elementi presenti nel predecessore (Violenza, paura e tanti xenomorfi) attraverso una sceneggiatura più votata all’azione che eleva Sigourney Weaver e la sua Ellen Ripley ad eroina action del cinema contemporaneo.
Dopo il grande successo riscontrato nelle sale, insieme a giudizi di critica ampiamente positivi, nel 1991 la 20th Century Fox decise di mettere in commercio in versione vhs la Aliens – Special Edition, una versione ampliata di 17 minuti che secondo Cameron: “Allungava il film smorzando la suspense e svelando in anticipo alcuni elementi della storia.” Convertita nei primi anni duemila in versione dvd, la special edition di Aliens è un esempio significativo di quanto la versione Theatrical sia notevolmente superiore.
Donnie Darko (2001)
Un caso cinematografico tra i più criptici del 21esimo secolo. Ben prima dell’arrivo di alcune serie come Heroes o Fringe, di Christopher Nolan con i suoi Inception, Interstellar, Tenet o delle recenti incursioni dei Marvel Studios e del loro MCU, a metà strada tra David Lynch e Tim Burton, disagio giovanile nella quieta provincia americana, viaggi nel tempo, multiversi e continuum spazio-temporali. Il cult di Richard Kelly rimane tutt’oggi un prodotto di grande complessità e dalle differenti chiavi di lettura. Un lunghissimo flusso di coscienza meta-cinematico tra vecchio e nuovo cinema.
Accolto in sordina alla sua uscita nelle sale in concomitanza con gli attentati dell’11 settembre, Donnie Darko fu protagonista nel 2004 di una versione estesa (Donnie Darko: The Director’s Cut), che potesse guidare l’audience a trovare una linea narrativa semplice ma altrettanto complessa, nel cercare di risolvere i tanti enigmi presenti nel cut originario. I 20 minuti aggiuntivi che spiegano la chiave di lettura racchiusa nel libro fittizio Filosofia dei Viaggi nel Tempo, hanno la funzione di risolvere (in parte) il bandolo della matassa, ma al tempo stesso di togliere quel fascino e quel “sense of mistery” che rende Donnie Darko un prodotto audiovisivo che continua a porci domande a più di 20 anni dalla sua distribuzione.
Alexander (2004)
Il sogno e l’ossessione che hanno pervaso Oliver Stone fin dalla scuola di cinema, fu quella di narrare su celluloide le gesta del grande condottiero macedone che, da Pella fino all’Idaspe, fu capace di conquistare gran parte del mondo allora conosciuto a soli 25 anni. Peccando di hybris, ma capace di andare “contro” grazie alla profondità di ideali di patria e onore, seguendo la scia del successo ridato al genere peplum grazie al Gladiatore, Stone nel 2004 portò sui grandi schermi la sua visione di Alessandro Il Grande. Non senza polemiche e controversie.
Massacrato all’epoca della release nelle sale dalla maggior parte della critica internazionale, Alexander rappresenta, come sottolineato dallo slogan pubblicitario preso in prestito da Virgilio: “La fortuna aiuta gli audaci.” Dopo la non esaltante risposta di pubblico, tra il 2012 e il 2014, il filmmaker newyorkese fece rilasciare due inedite e differenti versioni del kolossal chiamate rispettivamente: “Alexander: Final Cut” e “Alexander: The Ultimate Cut”, quest’ultima dichiarata come “la versione finale”, che ridiedero lustro a un biopic storico ingiustamente sottovalutato.
Le Crociate – Kingdom of Heaven (2005)
Un recente ed eclatante esempio di una “crociata” tra filmmakers e produttori su quale versione sia più appropriata per il rilascio sul grande schermo. Due decenni dopo la diatriba produttiva con la Warner Bros. per Blade Runner, Ridley Scott nel 2005 fu nuovamente chiamato a incrociare idee e spade con la 20th Century Fox per il suo kolossal pacifista ambientato nella Terra Santa del XII secolo.
Inizialmente granitico sul far rilasciare la versione integrale del suo Le Crociate – Kingdom of Heaven nelle sale (194 minuti), Scott dopo la scelta sbagliata di affidare a Orlando Bloom il ruolo principale, fu costretto a cedere, tagliando 45 minuti di girato per motivi distributivi. Aldilà di ogni possibile inesattezza storica, nel maggio 2005 ne uscì fuori una pellicola sconclusionata, confusionaria e chiusa nel morso della lebbra come il Baldovino IV di Edward Norton. Il risultato al botteghino e di critica fu una sonora debacle.
Per rimediare al disastroso risultato ottenuto in sala, il regista britannico un anno dopo lavorò alla director’s cut (“Il mio film” come dichiarò successivamente) che reintegrò i minuti precedentemente scartati, e che riuscì a far sprigionare tutta l’aura cavalleresca e la piena potenza produttiva hollywoodiana. Come dichiarato successivamente da Empire: “I 45 minuti aggiuntivi sono come pezzi mancanti di un puzzle epico, ma incompleto” stando alla rivista Empire.
Batman V Superman: Dawn of Justice (2016)
Da molti considerato come l’inizio della fine del nascente DC Extended Universe nella corsa agli universi condivisi con i Marvel Studios, il cinecomic di Zack Snyder rappresenta nella storia recente di Hollywood (seguito dalla trilogia sequel di Star Wars sotto l’egida Disney) come esempio di mancata lungimiranza produttiva. Nonostante una visione autoriale che dipingeva i supereroi come: “Dei tra gli uomini”.
Tra un Batfleck di matrice milleriana e insolitamente omicida, un Lex Luthor più vicino alla caratterizzazione di un Joker qualunque, MacGuffin discutibili, una narrazione sincopata e uno stile registico snyderiano che si apprezza o si detesta a seconda dei punti di vista, Batman V Superman ha recato più dispiacere che soddisfazione tra fan e addetti ai lavori nella cupa messa in scena dello scontro tra i pesi massimi di casa DC.
Frutto di una scelta distributiva suicida da parte dell’allora presidente della sezione DC Entertainment Walter Hamada, che impose allo stesso Snyder per la versione cinematografica tagli consistenti, il regista in seguitò rimaneggiò il materiale filmico facendo nascere la Batman V Superman: Dawn of Justice – Ultimate Edition. Grazie ai suoi 30 minuti di girato in più, questa nuova versione del film permise al pubblico di rivalutare in maniera parzialmente positiva la pellicola, grazie ad un montaggio coerente e funzionale alla narrazione. Ma che sarebbe stato il preludio successivo ai problemi con il crossover Justice League, e alla nascita della campagna social #releasethesnyderscut. Un caso più complesso, visto l’allontanamento dell’autore e l’assunzione di Whedon e che per questo non rientra appieno nel discorso appena presentato.
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