La verità negata, film del 2016 diretto da Mick Jackson, con Rachel Weisz, Timothy Spall e Tom Wilkinson, è ispirato a una storia vera; la pellicola, infatti, ricostruisce l’aspra battaglia legale tra due storici, Deborah Lipstadt e David Irving, a seguito della causa di diffamazione intentata da Irving nei confronti di Lipstadt in un tribunale inglese.
Deborah Lipstadt, nata in America, ha svolto tutta la sua carriera academica negli Stati Uniti, prima all’università di Seattle, poi alla UCLA, e dal 1993 alla Emory University di Atlanta. E proprio nel 1993, Lipstadt dà alle stampe Denying The Holocaust: A Growing Assault On Truth and Memory, testo di analisi e denuncia dell’allora nascente movimento negazionista statunitense; all’interno del volume, Lipstadt espone e critica, fra le altre le teorie negazioniste di Irving, con queste parole; “È uno dei più pericolosi portavoce del negazionismo dell’Olocausto; manipola le evidenze storiche con cui ha pure ampia familiarità, per farle aderire alle sue credenze ideologiche, e alla sua strategia politica; non si fa problema alcuno a deformare i fatti come aiuto alla dimostrazione delle sue conclusioni preconcette.”
David Irving, nato in Inghilterra, dopo aver tentato senza successo, a causa di problemi economici, di concludere per ben due volte un percorso universitario, prima alla facoltà di Chimica e successivamente in quella di Economia, comincia a scrivere come freelance per un giornale universitario di Londra dove, per la prima volta espone apertamente le sue idee filonaziste. Rifiutato dalla RAF in quanto inidoneo, Irving decide allora di trasferirsi in Germania Ovest, dove impara il tedesco lavorando come operaio metalmeccanico. A partire dal 1962, Irving comincia a pubblicare testi di approfondimento storico sulla Seconda guerra mondiale e sulla Germania nazista; in particolare la sua biografia di Adolf Hitler, pubblicata in due volumi alla fine degli anni Settanta, pur ritenuta inaccurata, piena di errori e travisamenti intenzionali dei fatti, secondo il consenso generale degli storici dell’epoca, vende talmente bene da permettere a Irving di alzare improvvisamente il suo tenore di vita, e di acquistare, agli inizi degli anni ’80, una villa nel prestigioso quartiere londinese di Mayfair, oltre a una Rolls Royce.
Irving comincia a propugnare apertamente il negazionismo dell’Olocausto solo qualche anno dopo, fra il 1988 e il 1989, dopo qualche tempo di frequentazione e amicizia con il noto negazionista tedesco tedesco Ernst Zündel; in particolare Irving ripeterà più volte il concetto che “non sono mai esistite camere a gas ad Auschwitz”. Anni dopo, dopo essere stato inizialmente assunto come traduttore consulente per la pubblicazione in inglese dei diari di Joseph Goebbels, Irving si vede revocare l’incarico a causa della sua cattiva reputazione, oltre che per più banali questioni editoriali; nel 1995, inoltre, una casa editrice di New York acconsente a pubblicare una biografia di Goebbels scritta da Irving, salvo cambiare idea all’ultimo minuto.
Irving e Lipstadt si erano incontrati per la prima volta nel tardo 1994, ad Atlanta, ad una conferenza sul negazionismo. Come mostrato in apertura del film (la scena in realtà unisce in una sola sequenza due avvenimenti diversi) Irving, seduto tra il pubblico, offre con sprezzo 1000 dollari alla donna, se fosse stata in grado di presentare un ordine scritto di Hitler con esplicito riferimento all’Olocausto; la donna ignora Irving, il quale, due anni dopo, nell’autunno 1996, decide di fare causa a Lipstadt e alla casa editrice Penguin per diffamazione, in riferimento ai giudizi su di lui espressi nel libro della storica americana.
A differenza di quanto avviene negli Stati Uniti, per la legge inglese, in un processo per diffamazione, l’onere della prova spetta all’accusato, che dovrà quindi dimostrare di non aver espresso concetti diffamatori; per questa ragione, il team di avvocati assunti da Lipstadt e dalla casa editrice Penguin, si servì di dettagliate testimonianze di storici ed esperti che, dopo aver analizzato il lavoro di Irving, lo trovarono carente; fondamentali furono le testimonianze dello storico Richard J. Evans, che demolì completamente l’approccio metodologico di Irving, e dello storico dell’architettura Jan Van Pelt che dimostrò in un rapporto di 700 pagine, l’effettiva esistenza delle camere a gas nei campi di concentramento. Irving, che decise di non avvalersi della presenza di un avvocato, difendendosi da solo, come concesso dalla legge anglosassone, faticò molto a contrastare l’opinione degli esperti, e trasformò il processo in una lotta per la libertà di opinione e di parola, definendosi vittima da trent’anni di un complotto internazionale ordito dagli Ebrei. Dopo due tentativi falliti di patteggiamento nel 1999, l’11 aprile del 2000, il giudice Gray emette la sentenza, in favore di Lipstadt: “Irving ha costantemente manipolato evidenze storiche per i propri interessi ideologici, dipingendo Hitler in una luce favorevole, che non ha attestazione storica, con particolare riferimento al trattamento del popolo ebreo; Irving è perciò un negazionista, un razzista e un antisemita“.
Nel 2016, Lipstadt, la cui carriera accademica prosegue tutt’ora, ha fatto da consulente per la realizzazione del film, passando parecchie giornate sul set; intervistata dal Guardian, la donna loda senza mezzi termini l’interpretazione di Rachel Weisz: “Si tratta di una donna veramente molto bella, ma devo dire che è davvero fantastico quello che ha fatto; io per il processo mi ero vestita bene, ma non sono certo elegante, sono una professoressa!”
Interpellato dallo stesso quotidiano in occasione dell’uscita del film, Irving, che dopo la sconfitta in tribunale perse tutto il suo patrimonio, per poi essere addirittura arrestato in Austria (dove il negazionismo degli eccidi nazisti costituisce reato) non sembra discostarsi molto dalle sue posizioni storiche, peraltro rinfocolate nell’epoca della post-verità, concetto divenuto molto caro a Irving: “La storia evolve; la verità sull’Olocausto sta uscendo grazie a Internet; i giornali stanno morendo, e adesso c’è Internet; i giovani mi scrivono su Youtube, guardano le mie conferenze, vogliono sapere la verità su Hitler e la Seconda guerra mondiale; la gente non si fida di quello che gli dicono i giornali e il governo; cercano qualcuno che dica loro la verità, e trovano me. Io sono la soluzione ai loro problemi.”