La cinematografia di Ken Loach è assimilabile ad una macchia d’olio. Si espande lentamente e così, dalle periferie operaie dell’intero Regno Unito, è arrivato a raccontare il mondo a cavallo tra gli anni ’90 e 2000. Ha allargato sempre più le proprie coordinate da un punto di vista geografico e anche temporale. Fondamentali, infatti, risultano alcune parentesi storiche delle sue regie: dalla Spagna anni ’30, afflitta dalla guerra civile, all’Irlanda anni ’20, insanguinata per la propria corsa all’Indipendenza. Una questione, quest’ultima, che si è protratta per tutto il secolo con tratti differenti e che spesso si è ritrovata sotto la lente d’ingrandimento del regista e attivista inglese. Pertanto, vediamo come Loach abbia allargato la propria visione, dall’Inghilterra al mondo, via Irlanda.
Ken Loach tra Cinema e Politica
Kenneth Charles Loach, o più semplicemente, Ken Loach, nato il 17 giugno 1936, è un regista britannico riconosciuto tra i più importanti del secondo Novecento e sicuramente uno dei registi più politicamente schierati e impegnati. Non ha mai nascosto il suo pensiero politico di sinistra, anzi, lo ha spesso sbandierato anche e soprattutto mediante le proprie regie. Difatti, molte delle sue pellicole, se non tutte, sono state realizzate al fine di trasmettere messaggi di forte valenza sociale e politica, vere denunce delle situazioni di degrado, di emarginazione e ingiustizia.
La sua regia mira sempre a porre al centro della scena quelle realtà e quotidianità che altrimenti rimarrebbero sconosciute e ignorate. L’impegno civile e politico che guida l’operato di Loach è tale che egli potrebbe essere riconosciuto, non tanto come un regista inquadrato politicamente, ma quasi come un politico dietro la macchina da presa. Generalmente il suo interesse è rivolto a tematiche di attualità, in particolar modo con ambientazioni nelle periferie inglesi e britanniche.
Il Free Cinema e gli esordi
Loach muove i primi passi nel cinema nella seconda metà degli anni ’60 (il suo esordio, Poor Cow, è datato 1967). Aveva 31 anni ed aveva alle spalle anni di esperienza come regista teatrale e televisivo. In questo primo scorcio di carriera egli potrebbe apparire come ultimo portavoce del Free Cinema, movimento cinematografico inglese che operò a cavallo tra gli anni ’50 e ’60. Questo portò sui grandi schermi le realtà di degrado dei sobborghi d’oltremanica. Il loro scopo era smascherare il decadimento inglese nel secondo dopoguerra, mentre le istituzioni portavano ancora avanti, con inspiegabili manie di grandezza, l’idea del grande Impero Britannico ormai al crepuscolo. Per fare questo, giovani ragazzi britannici crearono uno stile e delle ambientazioni poi ereditate dallo stesso Loach, sulle quali riuscì a costruire i suoi esordi, coniugandoli con il suo timbro documentario e cronachistico.
Lo stallo degli anni ‘70 e ‘80
Le sue opere hanno attraversato sette decenni (entrando nell’ottavo con il recente The Old Oak, 2023), seguendo un percorso bizzarro di alti e bassi. Questi ultimi presero il sopravvento dai primi anni ’70. Dopo i promettenti anni d’esordio, nei quali troviamo, oltre al già citato Poor Cow, l’eccezionale Kes (1969) e Family Life (1971), Loach incontrò delle difficoltà nel reperire finanziamenti che lo spinsero alle prime coproduzioni europee. Le difficoltà proseguirono poi per tutti gli anni ’80, in piena epoca thatcheriana, con un vero percorso ad ostacoli, fatto di censure e ritardi arbitrari. Non a caso, solo con la fine del decennio e del thatcherismo, Loach trovò una seconda vita artistica, una nuova alba cinematografica.
La rinascita degli anni ’90
Il decennio dei ’90 consegnò al regista quella produttività degli esordi ed una rinnovata fama che lo riposizionò nello scacchiere del cinema mondiale. Giusto per inquadrare numericamente questa nuova fase produttiva: nei suoi primi cinque anni di carriera (1967-1971), Loach diresse tre pellicole, dal 1972 fino a tutti gli anni ’80 le regie furono appena quattro; mentre nei soli anni ’90 riuscì a mettere all’attivo ben sette film, l’equivalente dei 23 anni precedenti.
“Dove eravamo rimasti?”
Oltre alla notevole produttività, quest’ultimo scorcio del ‘900 di Loach si caratterizza anche per un’altra peculiarità: l’ampliamento dei suoi orizzonti cinematografici, sia da un punto di vista storico-temporale che geografico. Inizialmente, però, viene ripreso il discorso che era stato forzatamente interrotto negli ultimi due decenni. realizzando una simil trilogia post- Margaret Thatcher: Riff Raff (1991), Raining Stones, (1993), Ladybird Ladybird (1994). Con essa ridisegnò i tratti sociali dei sobborghi britannici, totalmente ridimensionati rispetto a ciò che aveva rappresentato a cavallo tra anni ’60 e ’70. Le tre pellicole, difatti, riportano al centro della scena le ambientazioni proletarie di città come Edimburgo, Londra e Manchester.
Dal Regno Unito al Nicaragua, via Spagna
Una volta delineati i nuovi contorti operai britannici, Loach si trasferì nella Spagna di metà anni ’30, con la pellicola Land and Freedom (1995), ripercorrendo la guerra civile spagnola con un’inedita prospettiva. Non più costruendo il racconto con il classico dualismo repubblicani contro fascisti, buoni e cattivi, ma insinuandosi nelle crepe interne alle fazioni repubblicane che combatterono le truppe franchiste. L’anno successivo, invece, con il film Carla’s Song (1996), si spostò dai quartieri popolari di Glasgow per sorvolare l’oceano, destinazione Nicaragua. Si immerse nel paese colpito dal conflitto tra Sandinisti e Contras di fine anni ’80.
Due parentesi insolite con cui Loach cercò di spiegare il fallimento di due rivoluzioni. Nel primo caso decisive le divergenze interne alla sinistra spagnola, nel secondo le interferenze esterne alla scena del Nicaragua.
Nonostante una regia dalle coordinate modernizzate e globalizzate, il proletariato britannico non è mai uscito dai radar delle produzioni loachiane. Se dovessimo pensare ad un manifesto con cui poter rappresentare la sua filmografia, le immagini delle case in mattoni rossi a schiera, che dominano le periferie di città come Liverpool, Manchester o Glasgow e le complesse condizioni di vita in cui versa la classe operaia inglese, saranno sicuramente i primi aspetti che affiorano nella nostra mente. Dopotutto, Loach è un regista inglese.
La denuncia a Sua Maestà attraverso l’isola di smeraldo
Facendo un’approfondita analisi delle regie di Ken Loach, emerge, sorprendentemente con una certa ricorrenza, un’altra tematica: l’Irlanda. La sorpresa potrebbe sorgere nel momento in cui si pensa al secolare rapporto che lega l’Irlanda ed il Regno Unito che, eufemisticamente, potremmo definire spinoso e conflittuale. Ciononostante, questa sorpresa svanisce dopo un’attenta indagine del pensiero di Loach. Leggendo i suoi libri, le sue interviste, i suoi interventi, viene più volte richiamata quella che il regista chiama Lealtà orizzontale. Riprendendo le sue stesse parole: ““Le persone hanno molto più in comune con coloro che si trovano in altri paesi e nella medesima posizione sociale, rispetto a coloro che, invece, sono sulla cima della loro stessa società”.
Nella sua visione del mondo, dunque, la classe sociale è la principale linea di divisione, la più importante origine dell’identità sociale e culturale, precedendo altre forme di identificazione come la nazionalità o l’etnia. Il regista, quindi, percepisce la sua lealtà orizzontalmente, ed è questa la chiave per schiudere il suo cinema, tanto intimo quanto universale. Questa fedeltà è ciò che ha guidato Loach negli anni ’90 quando allargò i propri orizzonti, inoltrandosi in temi sconosciuti: il conflitto spagnolo, la rivoluzione sandinista in Nicaragua e, in seguito, la storia irlandese. Un passo, quest’ultimo, intrapreso quando comprese come le istituzioni inglesi prima, i media e il sistema scolastico poi, avessero mentito riguardo le reali crudeltà della politica colonialista britannica nell’isola celtica.
Il vento che accarezza l’erba (2006)
Riportare il treno della storia sui binari della verità. Questo è l’obiettivo che Loach si era posto quando decise di realizzare The Wind That Shakes The Barley (Il vento che accarezza l’erba, 2006). In questa pellicola, scaturita dalla penna di Paul Laverty, sceneggiatore di fiducia di Loach dal 1996, si scelse di adottare una prospettiva irlandese a 360°. Analogamente a quanto già accaduto in Land and Freedom, si abbandona una vera dinamica di dualismo, buoni contro cattivi, disegnando un ritratto di una delle due fazioni dal suo interno. Tutto viene mostrato con gli occhi dei fratelli O’Donovan, Teddy e, soprattutto, Damien (interpretato da un giovane Cillian Murphy), leader di una colonna volante (ossia un gruppo di guerriglieri) dell’IRA. In una prima parte del film, in opposizione al tiranneggiante esercito britannico, durante Guerra d’Indipendenza irlandese. Poi, dilaniata al suo interno con la successiva Guerra civile irlandese, tragico scontro fratricida.
Ken Loach e Paul Laverty nell’occhio del ciclone
La pellicola trascinò la coppia Loach-Laverty nell’occhio del ciclone. Vennero travolti da un’ondata di critiche da parte dei media e delle fazioni politiche più conservatrici. Il film venne etichettato come l’opera che aveva permesso ai terroristi dell’IRA di entrare al Festival di Cannes, e denigrata per la mancata rappresentazione della controparte britannica. Come sottolinearono anche il regista e lo sceneggiatore, le critiche non tenevano in considerazione la differente natura dell’IRA del 1920, ossia di esercito irlandese, che niente aveva in comune con la deriva terroristica intrapresa nei decenni successivi. In aggiunta, Loach dovette rimarcare le sue intenzioni di calarsi, come suo solito fare, nell’ottica degli oppressi e di non avvertire in alcun modo l’obbligo di mantenere l’equilibrio rappresentativo nei confronti degli oppressori.
Jimmy’s Hall (2014)
Un secondo capitolo sull’Isola di Smeraldo arrivò otto anni più tardi. Jimmy’s Hall (2014) si presenta quasi come una sorta di sequel, vista l’ambientazione dell’Irlanda dei primi anni ’30. Se nella prima pellicola l’intento era la critica allo schiacciante colonialismo inglese, adesso si perde del tutto la dicotomia tra i due paesi. Qui mira a ricreare la contrapposizione interna all’Irlanda, con le crepe lasciate dal duplice conflitto. Con un timbro ancor più politico, se possibile, vediamo l’attivista socialista, realmente esistito, Jimmy Gralton, fronteggiare due forze antagoniste: l’oppressiva Chiesa cattolica irlandese e le forze governative conservatrici, rispettivamente rappresentate dalle figure di Padre Sheridan e del Comandante O’Keefe.
Hidden Agenda (1990)
Per ultimo, ma primo in ordine cronologico, abbiamo Hidden Agenda (1990). Opera che gioca un ruolo cardine nella carriera del regista, vero spartiacque tra le difficoltà degli anni ’70 e ’80 e la rifioritura artistica dei ’90. Nonostante uno scarso successo commerciale in patria, la pellicola raccolse il favore del pubblico d’oltreoceano. Ma soprattutto creò un vero scandalo attorno al tema trattato: il brutale coinvolgimento delle forze di polizie britanniche negli scontri in Irlanda del Nord. Con un’ambientazione più recente, dunque, Loach compie il primo passo cinematografico nel percorso di smascheramento di tutte le falsità raccontate in terra britannica sulla questione irlandese. L’opera è, difatti, un esplicito richiamo alla vera inchiesta sulla politica Shoot to Kill adottata dalla polizia nordirlandese.
Dalla regia all’attivismo politico
Si è specificato, poco sopra, “passo cinematografico” in quanto Ken Loach si è sempre mosso su più fronti, regia e attivismo politico. In merito al secondo, sono facilmente reperibili molti suoi interventi di denuncia per il clima di menzogne in cui il Regno Unito ha avvolto i suoi sudditi. Le pellicole sono, quindi, solo il traguardo cinematografico, di un percorso intrapreso nei decenni precedenti. Un primo interesse e i primi studi risalgono già agli anni ’60 e da allora sono molteplici i richiami sulle ingiustizie dell’Impero.
Una delle tante pubbliche denunce è datata 25 ottobre 1990. Siamo al National Film Theatre di Londra e Loach mette sotto i riflettori quell’atmosfera di censure: “La storia delle trasmissioni televisive sull’Irlanda è una storia di censura totale. In tutti gli anni che ho trascorso guardando la televisione, non ho mai sentito un discorso logico che spiegasse perché la divisione dell’Irlanda deve finire e il Paese deve essere riunificato. Penso che se la gente avesse potuto ascoltare discorsi del genere, trasmessi regolarmente ogni volta che la ‘questione irlandese’ si affacciava alla televisione, allora non sarebbe stato necessario spararsi alle gambe l’uno con l’altro”.
In conclusione, Ken Loach rimarrà inevitabilmente impresso nelle nostre menti come il regista britannico che ha speso la propria carriera dipingendo i contorni delle periferie inglesi e della working class. Nonostante ciò, è giusto ricordare anche come il regista si sia colorato di verde irlandese per una piccola, ma consistente, fase della sua carriera. Vesti irlandesi che ha indossato per denunciare le atrocità subite nel tentativo di ridisegnare i confini del Regno. Tutto con alla base un’unica forza motrice: adoperarsi, promuovere e sperare in un mondo spogliato dei suoi confini, e con essi di tutte le ingiustizie da essi derivanti. Ha dimostrato di non percepire queste linee immaginarie, immedesimandosi totalmente in altri popoli e culture. In questo caso uno dei popoli rivali per antonomasia della propria terra, dando prova concreta della propria Lealtà orizzontale.
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