Uscito da diversi giorni sia nelle sale cinematografiche italiane come in quelle di tutto il globo, Jurassic World: Il Dominio ha ricevuto il battesimo positivo del boxoffice, mentre è stato massacrato dalla gran parte della critica.
Con il ritorno nel franchise di Sam Neill, Jeff Goldblum e Laura Dern, la Santissima Trinità del primo Jurassic Park, in questo editoriale proveremo a rispondere a una domanda che sorge spontanea: l’effetto nostalgia funziona ancora, o forse si è rivelato uno dei tratti negativi che ha contribuito alla riuscita mediocre del progetto?
Qui non si bada a spese
Jurassic Park è un film conservato in una crisalide di ambra, proprio come la zanzara da cui gli scienziati al soldo di John Hammond sono riusciti a recuperare del DNA di dinosauro: in mezzo a tantissimi film invecchiati male, Jurassic Park mantiene una struttura di tensione, narrazione e valore narrativo incredibilmente forte, potente, risultando uno spettacolo in perfetto equilibrio e godibilissimo visto anche a distanza di decadi.
Con il franchise di Jurassic World, che narrativamente si è sempre posto come diretto sequel del primo Jurassic Park ignorando gli eventi dei due sequel, si è tentata la carta della rievocazione, già con Jurassic World: Il Regno Distrutto, dove il regista J.A. Bayona fece riportare sullo schermo il dottor Malcolm. Jeff Goldblum tornava nelle vesti del simpatico “causologo”, posizionandosi come narratore marginale della storia narrata, portando avanti la teoria della diretta responsabilità degli esseri umani sulle creature riportate in vita, proseguendo proprio quel discorso presente in Jurassic Park dove lo scienziato criticava l’ideologia e il sogno di Hammond, accusandolo di poca responsabilità.
Un’incursione che non si plasmava necessariamente attorno alla storia: non c’erano contatti diretti tra i protagonisti con il dottor Malcolm, che quasi si ergeva a narratore onnisciente, dedicando l’attenzione allo spettatore in virtù degli eventi del film.
L’effetto nostalgia ai giorni nostri
Negli ultimi anni, l’effetto nostalgia ha smosso molte produzioni e stimolato sceneggiatori a rimettere mano su pellicole entrate nell’immaginario collettivo: da TRON a Matrix, dal recente Top Gun: Maverick fino al prossimo The Flash dove Michael Keaton tornerà a rivestire i panni di Batman. Insomma, quando c’è la certezza di un pubblico appassionato di un franchise o di qualche pellicola iconica, è lecito aspettarsi mosse produttive per vedere quanto gli stessi fan possono rispondere al box office nella riproposizione di storie, universi amati e storici personaggi. La stessa ultima trilogia di Star Wars ha dimostrato concretamente questo effetto, e questo pare essere il miglior esempio per incorniciare la natura che ha portato i tre storici attori a calcare la scena giurassica nel capitolo conclusivo di Jurassic World.
Dunque ecco di nuovo Alan Grant immerso in un sito di scavi, la dottoressa Sattler effettuare studi sulla fauna e il dottor Malcolm fare… il dottor Malcolm. Una formula in parte di sicuro intrattenimento, che avrebbe premiato i fan decennali e più passionali, ma siamo sicuri che sia stata una buona idea?
Un ritorno fin troppo forzato
Uno dei problemi alla base di Jurassic World: Il Dominio è senza ombra di dubbio la trama: abbozzata, superficiale e poco incline ad essere quanto meno accettabile e coraggiosa; il precedente Il Regno Distrutto chiudeva con un twist intrigante e di forte ispirazione per una penna intraprendente per dimostrare che il franchise poteva – e doveva – fare qualcosa di più, oltre al mero intrattenimento.
Purtroppo questo ultimo film ripropone nuovamente i classici stilemi del franchise, con il reintegro di un nuovo parco, nuovi dinosauri in giro per lo stesso pronti a pranzare con i malcapitati di turno e delle locuste giurassiche a cui dare la caccia, linea narrativa secondaria che vede proprio il trio di storici attori essere assoluti protagonisti.
Ancor prima di chiederci se l’effetto nostalgia possa funzionare o meno è bene domandarci se il contesto in cui sono stati calati sia effettivamente coerente con la stessa natura dei personaggi e la risposta è un secco no.
Possiamo sorvolare sul rispetto reciproco e l’attrazione che c’è tra il dottor Grant e la dottoressa Sattler; pur essendo una trovata abbastanza debole e dedita più al compiacimento dei fan, probabilmente si accetta più questo che la danza a suon di fiaccole da lanciare nella bocca di grossi dinosauri del dottor Malcolm. Scene degne più da un contesto da cinecomics che da un thriller di fantascienza.
Un’operazione del genere avrebbe dovuto darci la sensazione di aprire dopo anni il vecchio baule dei giocattoli e trovare i nostri preferiti lì, pieni del loro carisma, pronti ad essere nuovamente utilizzati, per poi accorgerci solo dopo che il colore vivo ha lasciato spazio alla polvere. In alcune situazioni i ricordi è bene tenerli lì, al di fuori di forzate operazioni di riesumazione di nostalgia che nessuno – concretamente – provava o di cui sentiva il bisogno.