Erano tempi oscuri. Un’era in cui Il Signore degli Anelli doveva cedere il passo ai cinepanettoni e aspettare gennaio per mostrarsi al mondo. Così andavano le cose vent’anni fa, quando la sacra trilogia di Peter Jackson usciva a dicembre in quasi tutto il resto del mondo e soltanto a fine gennaio qui in Italia. Di quella logorante attesa resta una sana educazione alla pazienza e uno strano retrogusto in bocca prima dell’uscita de Il Ritorno del Re. Ovvero la fine di un viaggio indimenticabile.
Un viaggio che avrebbe cambiato tutto. La percezione del fantasy nella cultura pop (finalmente credibile gli occhi del pubblico e del sistema hollywoodiano grazie a 11 Premi Oscar) e il nostro senso di meraviglia davanti al grande schermo. Il fatidico giorno in cui urlammo la prima volta “per Frodo” dinanzi al Nero Cancello era il 17 dicembre 2003. Quel giorno in cui rimandammo la paura, bruciammo anelli e tornammo a casa con occhi diversi era esattamente vent’anni fa. E oggi, tra tante briciole di Pan di Via, controlliamo cosa ci è rimasto dentro lungo il cammino all’ombra del Monte Fato.
Accettare la fine
Quando qualcosa di bello finisce c’è una timore che aleggia nell’aria: non accettarlo. Succede sempre col tramonto delle grandi saghe e delle grandi storie. Soprattutto quelle che contano davvero come questa. C’è il rischio di rimanere delusi perché qualcosa di importante ci lascia orfani. E in quel lontano 2003 (2004 per noi poveri italiani) lo spettro del lutto collettivo era enorme. Dopo il clamoroso successo de La Compagnia dell’Anello e Le Due Torri, si era venuta a creare una valanga fatta di amore e aspettative. Una valanga che avrebbe travolto Il Ritorno del Re. Una storia che, grazie alle sagge parole di Tolkien (e di Gandalf), non ha fatto altro che educarci alla fine delle cose. Perché Il Ritorno del Re è un finale sulla fine.
Finisce per sempre il viaggio della Compagnia. Finisce la vita immortale di Arwen, che decide di accompagnare Aragorn nella sua vita terrena dove le cose hanno un valore proprio perché destinate a spegnersi. Si spegne la purezza negli occhi di Frodo, ormai tornato cambiato per sempre, diverso dall’hobbit ingenuo che aveva lasciato la Contea. Finiscono tante cose tra le lacrime, che non sempre sono un male. Perché Il Ritorno del Re, grazie a quello splendido monologo di Gandalf dinanzi allo sguardo attonito di Pipino mentre Gondor sta per cadere, ci ha persino regalato una visione rassicurante della morte. Così, ricordandoci di continuo che tutte le cose finiscono (e lo fa volutamente attraverso tanti microfinali in un epilogo quasi incessante), Il Ritorno del Re non è altro che un perenne richiamo alla vita e all’avventura.
L’eroismo in un noi
Ora una domanda a cui è difficile rispondere: chi è il vero eroe de Il Ritorno del Re? Una domanda difficile perché non c’è una sola risposta. La grandezza di Peter Jackson è stata quella di creare un kolossal molto lontano dai classici canoni hollywoodiani, spesso basati sul grande eroe e sul mito dell’individuo. Nonostante Aragorn fosse l’eroe promesso dal titolo, anche in quello che doveva essere il suo film Jackson ha rispettato lo spirito corale suggerito dal professor Tolkien. Nasce così un grande abbraccio collettivo che diluisce il senso di eroismo all’interno di una Compagnia di personaggi in cui tutti sono alle prese con le proprie battaglie personali. Tutti capaci di meravigliosi atti di coraggio.
A quella domanda molti potrebbero giustamente rispondere che è Sam il grande eroe della storia. Colui che ha supportato Frodo ed è andato oltre i limiti del proprio coraggio solo per fedeltà, affetto e lealtà nei confronti del suo grande amico. Colui che ha portato il portatore dell’Unico Anello sulle sue spalle. E come dimenticare il momento di gloria di Eowyn, donna che temeva la gabbia e cavalca indomita (al fianco dell’altrettanto temerario Merry) in battaglia, che uccide il Re dei Nazgul urlandogli in faccia il valore del proprio essere femmina. È un eroe Gandalf che ispira tutti con l’arma delle parole. È un eroe Frodo, che si aggrappa alla roccia invece e che a Gollum nella bocca del Monte Fato, scegliendo il Bene proprio quando serviva farlo.
Le piccole cose
Sarebbe facile passare alla storia grazie a gesta epiche. Grandi battaglie, enormi imprese, e così via. E invece no. Nonostante lo spettacolo fuori scala messo in scena, del Ritorno del Re restano soprattutto le piccole cose, piccoli gesti rimasti incastonati nei nostri occhi. Ricordiamo il commovente inchino del popolo di Gondor al cospetto di quattro piccoli hobbit. I più improbabili dei paladini. Ricordiamo Sam che porta in spalla Frodo, facendo appello alle ultime energie del suo cuore generoso. Ricordiamo l’urlo di battaglia di Merry al fianco di Eowyn, mentre cavalca oltre le sua paure.
Ricordiamo soprattutto quell’ultima immagine. L’ultima luce sul volto di uno spento Frodo, che prima di salpare per terre elfiche dice addio ai suoi amici di sempre regalando loro un sorriso gentile. Un sorriso rivolto gli hobbit, ma che arriva anche a noi, che quel vuoto al fianco di Sam, Merry e Pipino lo abbiamo riempito rivedendo all’infinito questo capolavoro che ci ha insegnato la meraviglia, la lealtà, l’amore e il senso della vita proprio grazie all’incombere della fine.
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