La storia è sempre quella. Lo sappiamo: l’avidità dell’uomo ha spesso portato alla rovina. È successo anche con i vecchi franchise scomodati senza amore, solo per fare cassa. E così tra i resti di dinosauri, acchiappafantasmi e guerre stellari solo le scimmie hanno mostrato il loro valore. Solo le scimmie sono rimaste in piedi tra le macerie. Perché, sì, non temiamo di esagerare nel definire la trilogia del Pianete della scimmie (partita nel 2011 e conclusa nel 2017) la miglior saga di remake/reboot sfornata da Hollywood negli ultimi vent’anni.
E no, non abbiamo alcun timore nel definire The War di Matt Reeves una perla di rara bellezza e l’apice dell’evoluzione di Cesare. Uno dei personaggi più carismatici, complessi e profondi visti sul grande schermo negli ultimi tempi. Con queste premesse è facile capire quanto un sequel di quella trilogia benedetta sia un rischio. O peggio, un altro peccato di umana avidità. Però, come vedremo nella nostra recensione de Il regno del pianeta delle scimmie, possiamo assicurarvi che la via intrapresa è quella giusta. Quella di chi ha l’umiltà di seguire le orme di chi è venuto prima di lui. E questo film fa questo: vive nel mito del passato provando a rievocarne la grandezza. Ci riesce a tratti. E tanto basta a farci godere l’avventura tra le macerie.
Genere: Avventura
Durata: 145 minuti
Uscita: 8 maggio 2024 (Cinema)
Cast: Freya Allan, Owen Teague, William H. Macy
Scimmie, divise, deboli
Il futuro non ha una data precisa. Siamo “molte generazioni dopo” la morte di Cesare, avvenuta durante una vera e propria guerra spietata tra scimmie e umani. Eppure l’eco della sua leggenda non smette di serpeggiare tra i primati, diventati i padroni assoluti della Terra. Pianeta dove gli umani sono ormai reietti, merce rara relegata ai margini di una società tribale in cui le scimmie vivono in simbiosi con la Natura. Un equilibrio che segna anche la vita del valoroso Noa, giovane scimmia che conosce poco o nulla di quello che succede fuori dal suo clan isolato.
Una pace che viene violata quando la sua comunità viene attaccata da un altro gruppo di scimmie e scosso dall’apparizione di un’umana. Ha così inizio un’avventura fatta di scoperta e trauma, degna di un classico racconto di formazione e trasformazione, in cui Noa diventa sempre meno spettatore della sua esistenza e sempre più consapevole del vero colore della Natura: il grigio. Grigio come il cuore degli uomini e delle scimmie, composti di bellezze e orrori. Perché anche i suoi simili non sono certo immuni al virus dell’ambizione sfrenata, della violenza e della prevaricazione. Dopotutto sappiamo dove ha portato l’evoluzione della specie…
Cinema primordiale
C’è la lunga ombra di Cesare su questo film. Perché Il regno del pianeta delle scimmie non cerca nuove vie per mettere in scena questa storia figlia di quel padre. Sul nobile esempio di Matt Reeves, anche Wes Ball (che di apocalissi distopiche ne sa qualcosa dopo aver diretto la claudicante trilogia di Maze Runner) trova una regia dal taglio naturalistico, che fa parlare i paesaggi, le immagini e i silenzi. Anche senza arrivare alle raffinate derive da western post-apocalittico di The War, anche qui non si fa mai prendere la mano dalla frenesia, facendoci gustare ogni passo dell’avventura. Succede grazie al più bel cortocircuito di questa saga: la rara capacità di conciliare innovazione e tradizione.
Perché da una parte le meraviglie tecnologiche ci regalano ancora una volta degli effetti visivi straordinari, dove l’espressività e le movenze dei personaggi raccontano, dicono ed emozionano senza bisogno di parole. Dall’altra questa capacità di sintesi riporta il film a un cinema primordiale, al cinema muto, dove si dice tutto senza dire niente. Ecco perché le parole inquinano il film, soprattutto quando a pronunciarle sono un paio di personaggi umani davvero scritti male e caratterizzati con pigrizia a suon di motivazioni abbozzate (poco e male). Nonostante un ritmo ondivago, che parte piano e poi accelera all’improvviso, Il regno del pianeta delle scimmie fa il suo sporco dovere con il piglio del bravo allievo che ha imparato la lezione del grande maestro. Non ha sviluppato una personalità tutta sua, ma ha osservato con attenzione il nobile esempio del suo mentore imitandone ogni pregio. Lo sforzo si nota, l’esemplare precedente non aiuta, ma alla fine mettiamo comunque i pugni verso il cielo, e uscendo dalla sala ci tocca ammettere che: “Scimmie, unite, forti”.
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La recensione in breve
Il regno del pianeta delle scimmie assomiglia a un bravo allievo che ha imparato la lezione del grande mentore. Sulla scia dello splendido The War, ecco un'avventura di formazione in cui ancora una volta sono i paesaggi e i silenzi a farla da padroni.
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Voto ScreenWorld