È Natale – e non tutti sono propriamente contenti. Nonostante la pretesa atmosfera di sospensione del tempo, il Natale come cerimonia collettiva possiede da sempre una natura chiaroscurale. L’era dei social desacralizza il momento dei pranzi e delle cene di Natale, di fatto una via crucis di tormento in cui siamo costretti a condividere spazi e tempi con parenti più o meno lontani (che tendiamo a detestare). L’immaginario festoso e apparentemente innocente del Natale nasconde le proprie radici nelle feste dei culti precristiani che lo precedono.
Una festa di puro trapasso, in cui nel culmine dell’oscurità un ciclo muore per farne emergere un altro dalle sue ceneri. La duplicità implicita in questo trapasso emerge nella figura del doppio di Babbo Natale: il Krampus, l’elfo malvagio che rappresenta insieme il vecchio, la morte e l’oscurità. Ecco allora che il Natale si avvicina ad Halloween: entrambe le feste sono originariamente legate a una cosmologia di lotta, tensione e trapasso tra fasi e cicli dell’anno, in cui luce e oscurità, vita e morte, novità e passato si scontrano eternamente.
Non è un caso che il cinema dell’orrore si sia divertito da sempre a decostruire e stravolgere questa festività – a volte per il puro gusto di farlo, altre volte proprio per metterne in evidenza ipocrisie e contraddizioni attraverso la paura.
Babbi…
Forse non c’è nulla di più semplice che decostruire e dissacrare l’icona per eccellenza delle festività: Babbo Natale. I primi esempi sono anche, allo stesso tempo, dei tentativi di rappresentare le parabole discendenti di uomini corrotti da un trauma che ne definisce la personalità. È l’esempio di Christmas Evil, un piccolo film a bassissimo costo sulla nascita di un serial killer che uccide le sue vittime vestito da Babbo Natale. L’intento è quello di imitare, senza troppo riuscirci, le dinamiche tipiche di film come Maniac di William Lustig o addirittura di Taxi Driver, volendo proporsi come lo studio della discesa di un uomo nella follia. Il motivo per cui il killer è ossessionato da Babbo Natale è tra i più fantasiosi: rimane traumatizzato dopo aver assistito da bambino a una scena di sesso violento in cui il padre ne indossa il vestito.
Una raffigurazione del trauma risibile che riflette la cultura sessuofobica degli anni ’70 e ’80, la stessa che poi si riversa negli slasher dello stesso periodo. Una struttura presente anche in Silent Night, Deadly Night: ancora una volta un killer vestito da Babbo Natale, ancora una volta un trauma (più realistico: le insopportabili punizioni corporali subite dalle suore in riformatorio). Il film fu duramente osteggiato, con tanto di picchetti fuori dai cinema per ostacolarne la distribuzione. In entrambe le pellicole è interessante sottolineare come l’immaginario del Natale sia contaminato dalla natura irremovibile del trauma.
Forse in questo risiede il loro spunto migliore: seppur in maniera grossolana, entrambe le produzioni ci raccontano come i rimossi della nostra vita non possano certo scomparire nell’atmosfera sospesa di una festa comandata – anzi, proprio in un contesto simile possono in realtà riaffiorare in tutta la loro virulenza.
… senza spirito?
Questo aspetto scompare completamente nel remake del 2012, Silent Night, in cui una sorta di Michael Myers bianco e rosso con il lanciafiamme massacra torme di fanciulli la notte di Natale, o ancor di più nel recente Christmas, bloody Christmas, in cui un androide a forma di Babbo Natale prende vita e, a causa di un malfunzionamento, inizia a uccidere senza pietà tutto ciò che incontra in un folle mash-up tra Terminator e Small Soldiers in salsa natalizia. In questi prodotti, oltre alla volontà di dissacrare icone, non c’è davvero granché.
Un discorso a parte meritano Violent Night e Fatman, se non altro perché mettono in scena il Babbo Natale vero, non i suoi emulatori.
In Violent Night, Santa Claus viene descritto come un uomo violento, depresso e alcolizzato che non crede più nel proprio lavoro, almeno fino a quando non rimane coinvolto nel tentativo di furto ai danni di una ricca famiglia. Notevole come il film riesca a sintetizzare insieme parecchie suggestioni narrative, da Die Hard a Mamma ho perso l’aereo, per una storia irriverente che comunque mantiene il cuore di un film edificante, tipico delle festività natalizie. Di tutt’altra pasta è invece Fatman: anche in questo caso, Babbo Natale (interpretato da Mel Gibson) è rappresentato come un vecchio disilluso prossimo al pensionamento, minacciato da due killer assoldati da un bambino particolarmente spregevole che vuole vendicarsi dopo aver ricevuto un pezzo di carbone.
In questo caso, il sottotesto sociale è del tutto evidente: un bambino, non un adulto, vuole fare fuori lo spirito stesso del Natale. Un nichilismo che, in qualche modo, arriva dritto fino ai bambini senza risparmiare nessuno.
L’ombra della violenza
Si è detto che il Natale è una sospensione rispetto all’ordinario. Questo concetto mantiene però una certa ambivalenza: se l’interruzione del quotidiano può lasciare spazio ai valori positivi della famiglia e della convivialità, di contro tale sospensione può far emergere la violenza, il disgusto e la putredine che abita il nostro inconscio e che non vede l’ora di riaffiorare appena ne ha la possibilità. Questo aspetto è tematizzato molto bene da alcuni (bellissimi) film degli anni ’70: Silent Night, bloody Night, Black Christmas e L’ultimo treno della Notte.
In Silent Night, bloody Night, che presenta tra l’altro delle forti tonalità antipsichiatriche (gli psichiatri sono dipinti come degli avidi ciarlatani che si approfittano della disperazione dei loro pazienti), nasce uno dei soggetti che diverranno estremamente abusati da lì in poi, da Halloween fino a Twin Peaks – l’idea di una realtà cittadina e famigliare apparentemente innocua, ma che in realtà nasconde un rimosso oscuro e minaccioso. Silent Night influenzerà direttamente Black Christmas, del 1974. A conti fatti, con l’eccezione forse di Reazione a catena di Mario Bava, il primo slasher della storia con un assassino misterioso intento a macellare sistematicamente un gruppo di personaggi. Il Natale, curiosamente, battezza quindi uno dei generi più prolifici della storia del cinema dell’orrore, rilanciato poi da capolavori come Halloween e da classici come Venerdì 13.
Un genere che ricostruisce l’orrore all’interno dell’ordinario, creando situazioni di assoluto terrore in contesti innocui. In Black Christmas questi elementi sono tutti presenti: la sovversione dell’ordinario tipica dello slasher si rivolge al Natale, ribaltandone radicalmente la familiarità e giocando sulla sua atmosfera di sospensione. Menzione d’onore, infine, per L’ultimo Treno della Notte, film di Aldo Lado del 1975. In un certo senso una variazione sul tema dal puro sapore nichilista.
Parenti Serpenti
Il Natale però, è soprattutto convivio (spesso forzato): su questo sentimento diffuso prolifera l’inventiva del cinema horror. I trapped the Devil, in cui un uomo crede di aver intrappolato il Diavolo in cantina proprio il giorno della Vigilia, o ancora Mercy Christmas, ne sono un chiaro esempio. Con la stessa tipologia di sovversione gioca anche Better Watch Out, un piccolo film ormai diventato cult in cui una baby-sitter è alle prese con la difesa della casa da alcuni “intrusi”. Il film è notevole nel ribaltare la dinamica tipica della home invasion, regalando allo stesso tempo una lezione importante sul Natale: spesso il Male non è fuori casa, ma dentro, e passa la serata a mangiare il cotechino a fianco a te.
Non si può non menzionare, in questo paragrafo, Parenti Serpenti di Mario Monicelli – forse il film più archetipico e riuscito sul tema dei legami famigliari e dell’ipocrisia del Natale. Monicelli è un maestro nel gestire toni e registri, con lo scopo dichiarato (e mirato) di decostruire il mito del familismo su cui il paese si fonda. La famiglia, istituzione apparentemente solida e incontaminata, è in realtà il risultante di pulsioni represse, calcoli di convenienza, rapporti inautentici, piccole invidie e odio personale, pura facciata che nasconde il cuore nero e omicida dell’egoismo più puro. Solo ai bambini è riservata una prospettiva di riscatto, opposta alla condanna degli adulti.
A jolly Apocalypse
In una rassegna del genere non può mancare l’immaginario dell’apocalisse. È il caso di Silent Night (2021), una commedia nera particolarmente crudele che narra di un’inusuale Vigilia di Natale in una casa di campagna inglese. Il film tematizza in maniera fin troppo ovvia la crisi ecologica, raccontando tramite le lenti di un’allegoria generazionale il conflitto tra genitori rassegnati e figli che non smettono di sperare. In tutto questo, l’immaginario del Natale che costituisce la cornice del film è particolarmente azzeccato: l’atmosfera di sospensione e attesa della vigilia viene ribaltata e l’ipocrisia tipica dei rapporti famigliari messi in scena nei pasti delle festività diventa rappresentativa di un’ipocrisia ben più profonda.
La pellicola fa brillantemente collidere due immaginari radicalmente incompatibili, quello del Natale e dell’Apocalisse. I due immaginari sono incompatibili per una ragione del tutto evidente: mentre l’Apocalisse implica la fine assoluta di un tempo lineare, di contro il Natale come festa solstiziale presuppone un tempo ciclico in cui una vera fine non c’è e in cui ogni morte implica un’immediata rinascita. Soltanto alla fine la lotta generazionale è vinta dai giovani, la cui speranza li mantiene in vita e permetterà loro, davvero, di forgiare un nuovo inizio, una nuova nascita, un nuovo ciclo.
Una fiaba Nera
Non poteva chiudere il viaggio il film tematicamente più importante: Inside (A l’Interieur, in francese). La pellicola c’entra molto poco con le festività, ma ne mette in evidenza uno dei tratti più inquietanti. L’opera è uno dei vertici della cosiddetta New French Extremity, l’ondata di cinema francese estremo che sconvolse i cinema del mondo nella seconda metà degli anni 2000: film contraddistinti da una violenza grafica estrema, volta a cogliere la devastazione del corpo, la sua scomposizione di fronte a una forza inarrestabile che lo sopprime.
Nella French Extremity, però, la violenza è spesso strumentale a una visione profondamente nichilista il cui scopo è la descrizione di un’umanità devastata, macchiata dal peccato, dal trauma e dalla perversione. Stilisticamente, il film si sviluppa come una classica home invasion per poi deragliare e assumere una dimensione da fiaba nera in cui la donna antagonista viene rappresentata quasi come una strega perversa dei racconti dei Grimm. Il fatto che il film sia ambientato a Natale può sembrare una scelta ininfluente, ma è chiaro che non sia così: il Natale, nelle sue radici solstiziali, è una festa che rimanda alla rinascita, al superamento dell’oscurità e al ritorno della luce.
La notte di Natale è simbolicamente sospesa tra passato e futuro, tra notte e giorno, tra oscurità e luce – esattamente come la notte della protagonista Sarah, alle prese con una donna che incarna le forze mortifere della notte che vogliono sopraffare la luce. Nel momento in cui il film decide il suo corso, esplora la possibilità che il sole non sorga più dopo il 24 dicembre, mettendo in discussione la natura stessa del Natale (letteralmente parlando) con l’idea di immergerlo nella tenebra più pura.
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