Inarrestabile, protettore e al contempo distruttore. Idealizzato come simbolo di ferite umane e insegnamenti severi, si è fatto spazio nella pop culture abbattendo palazzi e sconfiggendo mostri che minacciavano il mondo. Non mancano le definizioni quando si parla di Godzilla, il Re dei Mostri che da decenni domina l’immaginario cinematografica mondiale con la sua titanica presenza. Dall’originale nipponico alla sua avventura hollywoodiana, Gojira ha ammaliato il mondo intero.
Mostro, salvatore, creatura divina o incarnazione delle colpe umane. Il ruolo di Godzilla è sempre radicato nella contemporaneità che lo contraddistingue, nelle sue innumerevoli riproposizioni, che pur pagando pegno alla visione non sempre genuina che viene proposta (specialmente quando attraversa il Pacifico…), non mancano mai di ricordare come dietro la nascita di Godzilla ci sia molto più della semplice voglia di vedere un mostro gigante seminare distruzione.
Godzilla, figlio del silenzio atomico

Nato in Giappone, Godzilla si può considerare un Hāfu, un mezzo sangue, visto come la sua concezione sia figlia di un atto americano, una ferita mai pienamente sanata nel Sol Levante: il bombardamento atomico. La dimostrazione della potenza militare americana che scatenato l’era atomica ha dilaniato il Giappone, lasciando una cicatrice che va ben oltre le logiche del conflitto.
Come se aver annichilito Nagasaki e Hiroshima non fossero sufficienti, gli americani imposero un rigido controllo sulla ricaduta sociale, impedendo qualsiasi ragionamento successivo o indagine giornalistica in tal senso, imponendo un silenzio collettivo come unico strumento per imporre una forzosa accettazione finalizzata alla creazione di una nuova società.
Obiettivo ovviamente malamente mancato, considerato come in Giappone questa cicatrice era troppo evidente per venire dimenticata, tanto che non mancarono descrizioni e reportage sui sopravvissuti, ribattezzati hibakusha, divenuti dei pariah in quanto considerati maledetti, oggetto di una paura irrazionale che venne nuovamente alimentata con la ripresa degli esperimenti nucleari americani nell’atollo di Bikini.
E nuovamente, il Giappone fu coinvolto di riflesso quando un peschereccio rimase coinvolto dalla ricaduta di un’esplosione, evento che ebbe un comprensibile risalto presso la popolazione, ancora fortemente traumatizzata.
Big in Japan

In questi anni, Americana e Giappone erano legate da un rapporto subalterno, in cui il conquistatore yankee imponeva un cambio sociale allo sconfitto. La nuova era atomica in terra americana era divenuta un concetto di forza, la scienza atomica e le radiazioni non erano ancora elementi noti all’interno della popolazione, che comunque guardava con sospetto a questa nuova sicenza, ma erano comunque considerate una nuova frontiera scientifica.
Una visione condivisa anche dal mondo dell’entertainment, che preservava una visione da weird science, con esperimenti incredibili che avevano comunque un impatto meno devastante. Se nei primi anni del periodo post bellico anche Hollywood interpretava le radiazioni come foriere di grande sventure, a partire dagli anni 60 queste divennero quasi incidenti di percorso utili per creare personaggi divenuti simboli della pop culture, come i supereroi di Marvel Comics (da Spider-Man agli X-Men).
Scelta facile, considerato che non si era vissuta sulla propria pelle la devastazione atomica. Per il Giappone, questo trauma aveva condotto a sviluppare una visione differente, più disperata e violenta. E questo non poteva che riflettersi anche nel cinema.
Monstrum o mostro?

I mostri al cinema, ovviamente, erano già presenti, soprattutto una figura che sarebbe divenuta centrale nel mito di Godilla, King Kong, che aveva già influenzato la cinematografia nipponica in modo indiretto con due film Wasei Kingu Kongu (1933)The King Kong That Appeared in Edo (Edo ni Arawareta Kingu Kongu, 1938), dove il colossale primate era più una scintilla ispiratrice che non un vero e proprio protagonista.
Per il cinema americano, il monstrum, spesso inteso come essere fuori dal comune, doveva essere sconfitto dalla superiorità umana, con poche aperture a elementi di critica emotiva. Tratto immancabile di questi film era una realizzazione tecnica che, nella sua artigianalità, riusciva a trasmettere al pubblico tutta la potenza di questi titani.
In Giappone, il cinema era ancora in ripresa, fortemente condizionata dai veti e dalle imposti dal giogo statunitense. Eppure, alcune case di produzione, come la Toho, erano interessate a realizzare film che descrivessero momenti salienti della storia contemporanea, tanto che si era deciso di analizzare la condizione nipponica realizzando un film che mostrasse la dominazione del Sol Levante dell’Indonesia. Comprensibilmente, il governo indonesiano non concesse location per realizzare questo progetto.
Fu questo rifiuto a essere centrale nella creazione di Godzilla. Privi di una produzione, alla Toho iniziarono a guardare verso altre possibilità, finendo proprio sulla produzione americana di film a base di mostri titanici. Un settore in cui il maestro indiscusso era Ray Harryhausen e che negli anni ’50 era talmente famoso nei cinema americani che quando nel 1953 uscì Il Risveglio del Dinosauro (The Beast from 20,000 Fathoms), ispirato a un racconto di Ray Bradbury, la creatura realizzata da Harryahausen, il Rhedosauro, divenne un cult.
La Toho decise, tramite l’intuizione del suo dirigente Tomoyuki Tanaka, di realizzare un film con protagonista un gigantesco mostro. Dopo aver immaginato una gigantesca piovra, idea respinta dai vertici dell’azienda, la scelta ricadde su un mix di diversi dinosauri apparsi sua una copertina di Life, considerati più facili sul piano tecnico. Rifacendosi proprio al Rheodsauro di Harryhausen, alla Toho diedero vita al loro mostro, Godzilla. O Gojira, in giapponese, nome creato appositamente fondendo i due termini Gorilla e kujira, balena.
Godzilla, la nascita del mito

Dopo le idee iniziali non proprio felici di Tanaka, in Toho venne data l’approvazione quando la casa di produzione poté nuovamente avvalersi della perizia del maestro degli effetti speciali, Eiji Tsuburaya. Solo così si poté realizzare il primo film sul Re dei Mostri.
Quando il cargo giapponese Eiko-maru viene distrutto vicino all’Isola di Odo, un’altra nave, la Bingo-maru, viene inviata per indagare, solo per incontrare la stessa sorte con pochi superstiti. Anche una barca da pesca di Odo viene distrutta con un solo superstite. Le catture di pesca diminuiscono misteriosamente a zero e vengono attribuite a una figura marina antica conosciuta come Godzilla da un anziano del luogo. All’arrivo dei giornalisti sull’isola, i locali rivelano che una forza sconosciuta sta rovinando la pesca, ma al sopraggiungere di una tempesta una figura gigantesca arriva sull’isola, venendo visto da pochi testimoni, prima di seminare morte e distruzione.
Dopo una richiesta di aiuto dagli isoli, il governo invia il paleontologo Yamane per indagare. Giunto sul luogo, Yamane rinviene un trilobite e gigantesche impronte che emettono forti radiazioni. Mentre lo scienziato svolge le sue indagini, l’isola viene nuovamente colpita dalla misteriosa creatura, che si rivela essere simile a un antico dinosauro. Nel suo rapporto al Governo, Yamane teorizza che sia una creatura discendente dai dinosauri, evolutasi e rimasta dormiente sino a quando non è stata ridestata dagli esperimenti atomici.
Scoperto che la gigantesca creatura si sta dirigendo verso Tokyo, il governo cerca in tutti i modi di arrestare, vanamente, il mostro, sino a quando non viene utilizzata un ordigno chiamata Oxygen Destroyer, capace di eliminare l’ossigeno nell’aria causando asfissia nel mostro. Apparentemente questo dispositivo sembra abbattere Godzilla, ma la minaccia finale del finale è chiara: questi sono i pericoli dell’era atomica.
Salvatore o vendicatore?

Godzilla risente non poco della ferita atomica del Giappone. La scena di apertura sembra ispirata all’incidente del peschereccio citato precedentemente, mentre l’impiego di armi atomiche e gli stessi poteri del gigantesco mostro sono echi evidenti delle esplosioni dell’estate del 1945. Non solo, ma la stessa creazione di Godzilla risente di questa ispirazione dato che la sua pelle venne modellata in modo da riproporre le cicatrici lasciate dalle atomiche sulla pelle dei sopravvissuti.
Un’affinità con gli hibakusha che non è solamente visiva, ma anche concettuale. Gojira è un essere primordiale, una forza della natura risvegliata da un mondo che sembra essere avviato a un’era di distruzione atomica. Sotto questo aspetto, Godzilla diventa la sublimazione delle paure e delle angosce che il Giappone stava affrontando, l’incubo di un’era atomica che per i nipponici era già una concreta realtà, incisa spietatamente sulla loro pelle.
Eppure, nei dialoghi del film, nel modo in cui Godzilla scatena la sua furia, si percepisce anche una sorta di mea culpa, di consapevolezza che Nagasaki e Hiroshima siano state le conseguenze di una scelta scellerata di entrare in guerra.
Il primo Godzilla era una titanica elaborazione di sofferenza di una società, un tentativo di esorcizzare un male indicibile tramite la rappresentazione di questa violenza cieca traslandola in una creatura esterna all’umanità. Pura natura, risvegliata e torturata dalla scriteriata scienza atomica, capace di diventare monito per le generazioni future. D’altronde, è la follia atomica che ha dato a Godzilla i suoi poteri più distruttivi, gli stessi che incutono il terrore nei cittadini, inquadrati con particolare trasporto nelle scene più drammatiche.
Da metafora a simbolo culturale

Il pubblico nipponico entra subito in sintonia con Godzilla, interpreta la sua rabbia e la scia di devastazione che lo segue come una manifestazione divina di punizione, eco della ferita mai guarita lasciata dai bombardamenti atomici. Godzilla diventa sinonimo di vendetta, una voce di furente odio della natura contro la scelleratezza umana.
Ma questa visione adulta, per quanto motore del successo del film, non è la reazione più forte al Re dei Mostri, visto che la fortuna del personaggio è l’incredibile passione con cui il pubblico più giovane accoglie Gojira. Da film dai toni forti e metaforici, Godzilla diventa, agli occhi dei bambini e dei ragazzi, un eroe, anzi il più potente degli eroi, figlio della natura. In questo, si nasconde il vero successo del rettile, che grazie a questo affetto avvia una florida carriera cinematografica, diventando il simbolo dei Kaiju Eiga, i film dei mostri.
Diventa mito non solo il personaggio, ma anche la realizzazione dei film che lo vedono protagonista, con attori che sono costretti a indossare il suo costume, sopportando fatica e temperature incredibili pur di dare vita al mito di Gojira. Divenuti parte integrante del mito, questi interpreti hanno lasciato il segno nella storia di Godzialla grazie alle proprie movenze, con piccole ma evidenti differenze che hanno caratterizzato l’evoluzione di Godzilla.
E non potrebbe essere diversamente, considerato che dal 1954 Godzilla è stato un protagonista indiscusso del cinema a base di mostri. Un percorso che non è solamente filmico, ma anche culturale, considerato che la sua rilevanza per la mentalità nipponica è stata tale che i suoi film sono suddivisi in ere, scandite dalla successione al trono imperiale.
Durante questa lunga carriera, Godzilla ha vissuto diverse avventure, alcune non proprio spettacolari, ha visto il proprio ruolo venire adattato alle esigenze del periodo, passando da difensore a strumento metaforico per critiche a società e potere. Una presenza tuttavia costante e mai doma, che ha portato Godzilla a divenire ambasciatore del mondo giapponese all’estero, manifestazione di una cultura che non ha mancato di colpire profondamente anche l’altro del Pacifico, suggestionando la cinematografia americana.
Godzilla goes to Hollywood

Ai due lati del Pacifico vivono due titani che hanno reso i film a base di mostri dei cult: Godzilla e King Kong. Il primate è anagraficamente il più vecchio dei due, anch’esso metafora di una lotta tra uomo e natura, tra monstrum nell’accezione di meraviglia e cieca volontà predatoria dell’uomo, King Kong non è riuscito a penetrare l’immaginario collettivo con la stessa forza di Gojira.
Probabilmente, perché Godzilla ha una radice emotiva più marcata, un maggior legame allegorico con una ferita concreta dell’umanità. Dove Kong predilige una visione avventurosa, specie nel film del 1976, Godzilla vanta una costruzione metaforica nella sua genesi che non viene vanificata nemmeno dalle successive reinterpretazioni del personaggio.
Ma al netto di ispirazioni e concept narrativi, di passi falsi e di americanate da consegnare all’oblio, Godzilla e King Kong sono un’incarnazione di forza bruta della natura, destinate a scontrarsi per guadagnarsi il titolo di re dei mostri, a partire da Il trionfo di King Kong (Kingu Kongu tai Gojira), in cui i due mostri si scontrano, dando vita a una lotta senza esclusione di colpi che sembra concludersi con la vittoria del primate.
Bisogna attendere tempi più recenti per rivedere in azione le due gigantesche creature, simboli del nuovo Monster Universe avviatosi con Skull Island. Pur avendo inizialmente due strade differenti, Godzilla e Kong sono infine arrivati a scontrarsi all’interno di un universo narrativo che viene esplorato anche da punti di vista differenti, come visto nella serie Monarch di Apple Tv+. Il tentativo di creare una mitologia dietro la necessità di una scazzottata tra le due creature è un intento lodevole, che passa attraverso un percorso preparatorio in cui entrambi hanno modo di rivelare la propria natura e una personalità evidente. In mezzo, come sempre, l’umanità, divisa tra chi vuole proteggere queste creature e chi invece vuole cacciarli per eliminare la minaccia che rappresentano, anziché trovare una possibile convivenza.