Sembra passata un’eternità da quando I Predatori sorprendeva tutti al Festival del Cinema di Venezia. Se non per scoprire il talento di Pietro Castellitto, che con coraggio si è preso la scena, il film premiato nella sezione Orizzonti ha aperto le porte del cinema che conta a volti fino ad allora poco noti. Non è un caso che il primo fra questi fosse proprio quello di Giulia Petrini: curiosa per natura, sorretta da un carattere dirompente, l’attrice ha inanellato una serie di interessanti progetti tra Cinema e TV in quella che pare a tutti gli effetti un’ascesa continua.
In questo senso, l’anno solare 2024/2025 rispecchia nella sua intensa attività un momento importante, di quelli che sanno di conferme. Il livello si alza, le performance anche: Venezia prima, con Nonostante di Valerio Mastrandrea, Roma poi, con Il Complottista di Valerio Ferrara. Abbiamo chiesto all’attrice di raccontare il suo equilibrio tra passioni e ambizioni, spaziando dalle ispirazioni del passato agli stimoli di un futuro tutto da scoprire.
Quando è arrivata la recitazione nella tua vita? E perché?
La passione per la recitazione è arrivata per puro caso: l’amore per il cinema c’è sempre stato, ma non pensavo sarei diventata un’attrice. Quando facevo la ballerina professionista si presentò l’opportunità di fare un workshop di recitazione. Per i musical poteva essere utile, quindi mi sono convinta a provare e, con mia grande sorpresa, rimasi folgorata: era come se non avessi capito niente della mia vita fino a quel momento. Recitare era la mia strada, l’ho sentito davvero. Così, finito l’ultimo lavoro come ballerina, mi sono buttata a capofitto sulla recitazione. Nella vita ho sempre cercato il modo migliore di esprimermi e per questo ho provato di tutto (sport, danza e mille altre cose), ma la sensazione qui fu diversa sin da subito – ho sentito che questo fosse il punto di arrivo.
Prima della recitazione quindi c’è stato spazio anche per altro.
Sono una bimba degli anni ’80, non poteva essere altrimenti (ride, ndr)! Mi rivedo tantissimo nella nerd culture, se vogliamo definirla così. Ci sono tante piccole passioni che fanno parte (e hanno sempre fatto parte) della mia vita. Il gaming è sicuramente una di queste: sono cresciuta ammirando il Commodore 64, innamorandomi del NES e del Sega Megadrive. Poi è arrivata la Playstation con tutti i suoi grandi classici. C’erano anche i cartoni animati, ovviamente: gli anime degli anni’80 e i classici della Disney sono stati fondamentali, ma non contenta sono arrivata a Evangelion e simili.
Se poi possiamo considerarlo nerd, adoro i Lego e provo a collezionarci di tutto: ho la macchina dei Ghostbusters, quella di Stranger Things… i set di cui vado più fiera sono però legati a un’altra mia grande passione, Harry Potter. Di base leggo tantissimo, dai romanzi ai manga, da Topolino a Zerocalcare. Qui però entriamo in un mio problema: è molto difficile che riesca a vedere qualcosa se ho già letto il materiale di riferimento (o viceversa, che abbia davvero tanto interesse a leggere qualcosa se ho già visto il suo adattamento). La situazione è complessa.
Cosa ti porta a pensarlo?
Penso sia una questione di ottimizzazione dei tempi, ma non solo. Faccio un esempio: tempo fa mi avevano regalato un libro bellissimo, Memorie di una Geisha, ma avevo già visto il film e quindi non l’ho letto. Il mio discorso non riguarda soltanto lo spoiler della trama: se hai letto prima il libro e vedi il film comunque può esserci la curiosità di scoprire come l’abbiano gestita. L’esperienza di un libro è talmente personale che chiunque potrebbe rappresentarci un mondo a sé.
Di contro, credo che il linguaggio cinematografico sia in qualche modo oggettivo: tutti vedono effettivamente le stesse cose – a prescindere dal gusto che gliele farà piacere o meno. Si tratta di qualcosa che deriva da delle scelte precise e che tutti possiamo riconoscere. Il libro, invece, è collegato interamente all’immaginazione. Anche per questo penso sia difficilissimo che un adattamento riesca a piacere a tutti – specialmente ai lettori. Un esempio recente per me è stato Povere Creature: ho visto il film di Lanthimos, non credo proprio leggerò il libro.
Ci sono degli adattamenti che ti sono rimasti nel cuore?
Sicuramente mi ricordo un adattamento che mi ha deluso, però lì parliamo di uno dei miei libri preferiti: L’Eleganza del Riccio. Secondo me il film non era stato all’altezza del libro, ma magari a chi non lo ha letto il film è piaciuto. Ricollegandomi al discorso dei Lego, degli adattamenti che a me sono piaciuti (anche se non sempre mettono tutti d’accordo) sono i film di Harry Potter. Io continuo a rivederli ancora oggi e li custodisco in un bellissimo cofanetto blu-ray in edizione limitata (ride, ndr). Anche nel loro caso, però, adattare richiede fare dei compromessi: non potendo fare film da otto ore ciascuno, bisogna prendere coscienza del peso specifico di ciascun libro e cercare di coglierne il senso più profondo.
Avrai sicuramente saputo del nuovo adattamento televisivo. Cosa ne pensi?
All’inizio ho avuto tanta paura, poi ho saputo di HBO e del potenziale coinvolgimento dell’autrice quindi mi sono rasserenata – almeno in parte. Sono molto curiosa di vederla quando uscirà e penso sia un progetto giusto per le possibilità di oggi. Secondo me non è sbagliato sfruttare il maggiore spazio di una serie per raccontare con più attenzione certe cose. Una stagione per libro sarebbe ideale, ma per assurdo si possono sviluppare tante cose scavando ancora più a fondo rispetto al materiale di riferimento. A oggi, se ci penso, mi reputo contenta e aspetto fiduciosa!
C’è un ruolo che ti sarebbe piaciuto interpretare in un adattamento del genere (o nell’adattamento dei sogni)?
Purtroppo uno c’è già stato (e ho un po’ rosicato). Mi chiedo proprio perché incredibilmente nessuno mi abbia chiamata (ride, ndr): Cersei Lannister di Game of Thrones. Quello è un ruolo che avrei amato interpretare, ma è già stato fatto. Se dovessi pensare a un sogno personale, posso ricollegare la mia scelta a un amore sfrenato della mia infanzia, quindi dico Lady Oscar. So che si tratta di una risposta emotiva, ma mi divertirei un sacco in questi ruoli o in adattamenti degli anime e delle opere che hanno fatto parte della mia vita. Potrei mescolare la passione per il cinema a tutto il resto. Forse in pochi si butterebbero su un progetto tratto da un manga o da un videogioco in Italia, ma io sarei troppo contenta. Se mai capiterà, voglio tutto il supporto possibile!
Tornando al presente, quest’anno hai preso parte a due progetti importanti (Nonostante e Il Complottista) che vedremo prossimamente al cinema. Cosa ti hanno lasciato Valerio Mastrandrea e Valerio Ferrara?
In molti mi hanno detto che questo sarebbe stato l’anno dei “Valerii”, direi che è la descrizione perfetta. Parlando di esperienze personali, quella vissuta ne Il complottista è stata speciale, tanto per l’armonia che si è creata con il regista quanto per una questione di durata. Ho vissuto quel viaggio per più tempo e per questo c’è stato uno scambio maggiore. Poi c’è stato Nonostante, c’è stato Mastrandrea che per Roma e i romani è un’istituzione. Ciò che mi è rimasto di queste esperienze è soprattutto la fiducia: mi sono sentita coinvolta, tanto quanto attrice quanto come persona, ed è stato speciale. Mi hanno fatta sentire responsabilizzata in modi diversi – uno perché ci ha “affidato” la sua opera prima, l’altro perché è un’icona che mi ha vista adeguata per quel compito. Questa fiducia mi ha fatto crescere tanto, da una parte e dall’altra.
Se guardi ai tuoi stimoli, cosa vorresti vedere nei prossimi passi della tua carriera?
Sarò onesta (ride, ndr): non sono i soldi. I soldi sono importanti, ma in ogni lavoro artistico devono essere la conseguenza di un percorso che si è creato, non il fine, altrimenti diventa estremamente facile fare scelte sbagliate. Ovviamente anch’io (come tutti) facciamo dei compromessi, ma il percorso che mi piacerebbe fare con i miei ruoli è più legato ai progetti che al guadagno. Faccio un esempio: Sandra Huller, che in un anno si è trovata a Cannes con Anatomia di una Caduta e poi con La Zona d’interesse. Quello è un percorso che mi piace, che magari non raggiunge l’impatto mediatico di Oppenheimer ma, con tutto il rispetto per Nolan, rappresenta il mio equilibrio perfetto tra gusto e senso artistico. Probabilmente non sarebbe il percorso di una star da copertina, ma partecipare a progetti così potenti sarebbe l’aspirazione definitiva.
Ti capita spesso di pensare alla fama?
Non proprio. Per me la fama è una conseguenza del mio lavoro: se arriva vuol dire che stai lavorando tanto e hai seminato tanto. Quello per me è più importante di “arrivare”. Quando parlo de I Predatori oggi, a distanza di qualche anno, capita che qualcuno mi dica: “ma tu chi eri? sembravi un’altra persona”. Quello per me è il complimento migliore: se sono meno riconoscibile è meglio! La fama, come concetto legato al nostro ruolo, non dovrebbe esistere (almeno secondo me). Michael Caine diceva che “se l’attore è entrato nello star system ed è arrivato a un certo livello, deve sapere che il suo lavoro inizia da quando esce di casa”.
Se la Giulia del futuro dovesse leggere questa intervista tra qualche tempo, che messaggio vorresti lasciarle?
Se la Giulia del futuro leggesse questo, vorrei che dicesse: “cavolo, l’aveva detto e l’ha fatto”. So che è molto, ma mi piacerebbe cambiare qualcosa. Se non nella recitazione in sé, almeno nella percezione che si può avere di una persona come me dentro e fuori l’ambiente cinematografico. Vorrei che le persone riuscissero a vedere che anche in questo ambiente esiste qualcuno come loro – non tanto perché “noi” siamo quelli diversi, ma per fargli capire che siamo tutti normali!
Ci sono tante cose che vorrei contribuire a cambiare, tanto all’interno del mio lavoro (i miei futuri ruoli) come figura femminile alternativa, quanto a livello umano per tutti quelli che non ne fanno parte. Magari di questo passo mi avranno intitolato un padiglione del Romics (ride, ndr).
Comunque, il messaggio migliore per il futuro è: “ringrazia sempre le lezioni di equitazione”, che Lady Oscar non si conquista da sola!