Uscito ormai da una settimana nelle sale italiane, Elemental (qui la nostra recensione) è sul podio del box office italiano nonostante i presagi di fallimento pronosticati dalle tiepide recensioni di Cannes e alcune analisi di mercato che sembravano voler vedere fallire a tutti i costi il film Disney Pixar. Quasi per confermare l’apertura americana che, con i 29,5 milioni di dollari di incasso nel primo weekend, rappresenta purtroppo il secondo peggior esordio per un film Pixar.
Ma è davvero giusto parlare di flop?
Certo, l’apertura negli USA non è confortante ma prima di gridare al disastro forse sarebbe necessario fare un passo indietro e indagare il perché di un risultato tanto al di sotto delle aspettative. Soprattutto a fronte di un investimento complessivo di 200 milioni di dollari.
Se già in Italia le sale sono in sofferenza negli USA la situazione è ancora più complessa dati i costi più elevati dei biglietti del cinema. Il New York Times stima un costo medio di 11,75$ a biglietto nel 2022, con prezzi che salgono fino ai 28$ a New York a seconda della tipologia di cinema. Inoltre, come da noi, il cambio delle abitudini post pandemia e il dover pagare gli abbonamenti a piattaforme streaming pronte a riproporre gli stessi titoli a poche settimane dal passaggio in sala di certo non sono d’aiuto.
Ecco. Nonostante tutto, nell’ultima manciata di anni ha preso piede una narrazione che ormai vede la Pixar come realizzatrice di film minori. Come mai?
I tempi di storicizzazione sono cambiati
Chiunque abbia più di 25 anni avrà sicuramente visto tutti (o quasi) i film della Pixar al cinema. Pixar che, nel 1995 ai tempi dell’uscita del primo Toy Story, non era ancora parte di Disney e vantava personaggi al suo interno del calibro di Steve Jobs e John Lasseter (ma questa è un’altra storia).
In ogni caso chi c’era si ricorderà senz’altro quanto fosse diversa la fruizione di un film: ovviamente non c’erano le piattaforme e la pay per view era ancora per pochi. Per vedere le nuove uscite si andava in sala e se il film era particolarmente piaciuto si doveva aspettare quasi un anno per poterlo comprare in VHS (e nel corso degli anni in DVD). E se non lo compravi (o non te lo compravano)? Beh, bisognava godersi tutti i passaggi in tv, come fossero eventi straordinari. Il concretizzarsi del famoso oro colato.
In quegli anni infatti si producevano meno film, cosa che permetteva al pubblico di riuscire ad affezionarsi più facilmente alle storie e ai personaggi; inoltre, ultimo dettaglio non meno importante, le successive visioni avvenivano con i passaggi in tv e un’idea di home video completamente diversa: il film viveva una vita più lunga e si sedimentava nella nostra memoria.
Se ancora oggi chiunque sia nato tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta sia ancora affezionato a Woody e Buzz non è soltanto perché Toy Story ha rappresentato uno spartiacque nel cinema d’animazione, ma perché li associa alla propria infanzia e ha avuto il tempo di affezionarsi a loro, guardando e riguardando i film, senza essere costantemente affogati da contenuti che si soppiantano a vicenda.
Certo, con questo non vogliamo dire che i personaggi Pixar siano stati tutti ugualmente memorabili, ma di certo oggi sembra non si voglia lasciare la possibilità di sedimentarsi nella memoria del pubblico, in particolare dei più piccoli.
Franchise vs originalità
Di conseguenza, l’over-produzione di contenuti porta con sé uno smarrimento tanto nel pubblico adulto, quanto in quello giovane, con il tristissimo rischio che quest’ultima fetta di spettatori ripenserà ai film dell’infanzia con molta meno enfasi di quanto facciamo noi Millennials.
Eppure la creazione di un immaginario collettivo passa anche, e soprattutto, attraverso questa memoria. Ma in un contesto come quello contemporaneo non è così facile capire come fare il passo giusto. Neanche per la Pixar.
Lo stesso Pete Docter in una recente intervista a Variety ha dichiarato che la grande difficoltà di oggi per la Pixar è quella di realizzare storie nuove con la sicurezza di rientrare nell’investimento. Motivo per cui, molto spesso, si opta per i franchise che il pubblico, nonostante le critiche, comunque andrebbe a vedere. Basti pensare a titoli come Super Mario Bros. – Il Film o The First Slam Dunk, che hanno avuto un incredibile successo.
E poi sì, ci sono oggettivamente tanti contenuti audiovisivi (troppi). Vale quindi la pena chiedersi se il pubblico voglia davvero vedere storie nuove o se il pubblico composto da bambini, quelli a cui i nuovi personaggi potrebbero essere più potenzialmente dedicati, siano stimolati e abituati alla visione in sala.
Un cane che si morde la coda perché in questo periodo storico sembra non essere chiaro cosa voglia vedere il pubblico e, soprattutto, se il target delle famiglie sia realmente interessato ad andare al cinema. La realtà però è che di personaggi nuovi, potenzialmente cult, ce ne sono stati tanti negli ultimi anni, anche se nessuno sembra ricordarsene.
Forse è solo questione di tempo perché, come Woody e Buzz quasi 30 anni fa, anche loro ci parlano di noi ma in modo diverso.
Oggi infatti personaggi come Wade e Ember di Elemental ci accompagnano sì in una vicenda che può sembrare lineare, ma con una lezione talmente umana e profonda che non è possibile non fermarsi e pensare a noi stessi, ai nostri rapporti con il prossimo e a come stia mutando in positivo la rappresentazione culturale nei film d’animazione mainstream.
Le premesse di Elemental sono semplici ma le tematiche che mette sul tavolo sono oltremodo complesse perché riguardano la vita, quello che ci accade ogni giorno. Il film mette in scena una vicenda così universale che non può non toccare da vicino, in modo diverso, ognuno di noi. Quindi no, non si può parlare di flop. Almeno non del tutto.
Diamo a questo film il tempo che merita per lasciarlo sedimentare e fermiamoci anche noi. Per dare a quei personaggi la possibilità di entrare nel cuore, come è stato per tanti altri qualche anno fa.
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