Gli occhi di Cillian Murphy implodono. Il suo sguardo di vetro è un enigma impossibile da risolvere. Un mistero nel quale è anche scomodo guardare. Mentre il padre della bomba atomica diventa un buco nero pieno di domande, attorno a lui cambia il mondo, cambia tutto. Esplode tutto. Succede anche al vecchio cinema di Nolan, quasi spazzato via da Oppenheimer stesso. Un film che sembra quasi distruggere tutto quello che il regista inglese aveva costruito prima.
Come se addentrarsi in questa storia piena di orrore avesse ridefinito la sua poetica e fatto vacillare vecchie certezze. Se il portatore di morte Oppenheimer è diventato il distruttore di mondi, lo stesso vale per il suo film, che di fatto nega tanti film di Nolan venuti prima di lui. Come se il tempo dei giochi, dei rompicapi e della magia fosse finito di colpo. Finito in cenere dopo essersi sporcato le mani (e gli occhi) con la vita di quest’uomo tormentato. Vi spieghiamo tutto raccontandovi questa nostra teoria su Oppenheimer. Il film dopo il quale Christopher Nolan, e forse anche noi, non saremo più gli stessi.
Dal sogno all’incubo
Un incubo a occhi aperti. Questo è Oppenheimer dall’inizio alla fine. Gli occhi infestati di un eccezionale Cillian Murphy sono davvero il nucleo del film. Lo strumento drammaturgico che rende Robert Oppenheimer il vero mistero da risolvere. No, non ci riusciremo. Una cosa, però, è certa. Se con Inception Nolan aveva raccontato la consolatoria e rassicurante culla del sogno, intesa come dimensione in cui annegare il dolore con l’illusione e la fantasia, con Oppenheimer siamo senza dubbio dalle parti dell’incubo. Un incubo solido, reale, sempre in scena.
Incredibile come fin dalla prima sequenza con le gocce di acqua nella pozzanghera (che di fatto assomigliano a tante micro esplosioni) Oppenheimer sia ossessionato dal sol fatto di aver concepito la bomba atomica. Averla immaginata è come averla già sganciata. Come se il suo senso di colpa lo dominasse ancora prima di aver creato quel terribile strumento di morte. Ecco che la bolla onirica ovattata di Inception, tutto costruito sul fascino del sogno, scoppia con questo horror psicologico in cui Nolan ci sbatte in faccia l’orrore dell’umanità.
Dall’illusione alla realtà
Il cinema come magia. I registi come prestigiatori. I film come numeri di un sapiente illusionista che punta alla meraviglia del pubblico. Questo era The Prestige, un film tutto dedicato al potere illusorio e affascinante del cinema. Un film in cui le immagini portavano avanti una visione romantica della settima arte.
Tutto il contrario di Oppenheimer in cui le immagini sono svuotate di bellezza e sporcate di puro orrore. Anche nei suoi momenti più lirici e visionari, l’ultimo film di Nolan distrugge ogni illusione e ogni magia con la forza perentoria della realtà. Una realtà spietata e terribile, fatta di sensi di colpa, gente senza scrupoli e manipolazioni.
Pensiamoci, nel film Oppenheimer è spettatore del suo stesso orrore, artefice di un grande paradosso: essere il creatore di una distruzione. Lui che è costretto a guardare in faccia la sua terribile creatura e a essere infestato dal dolore che ha seminato. E così lo spettacolo pieno di meraviglia di The Prestige si è trasformato in uno spettacolo impregnato di morte in cui è anche difficile definire bello quello che siamo costretti a vedere.
Dall’amore all’odio
Com’era quella bella frase? “L’amore è l’unica cosa che trascenda le dimensioni di tempo e spazio“. Era lui il sentimento portante di Interstellar. Quell’amore che teneva uniti un padre e una figlia lontani anni luce. L’amore che ti fa sperare e credere in una promessa sempre e comunque. L’amore che spinge oltre ogni limite pur di salvare le persone a cui tieni davvero. Una spinta vitale alla base del film più emotivo di Nolan che in Oppenheimer scompare del tutto. Perché uno dei grandi misteri che attanaglia il fisico americano è: ma quest’uomo sa amare davvero? Non ci riesce con le sue donne, sempre tradite. Non ci riesce con i suoi colleghi, con i quali non entra mai davvero in empatia.
Tutto Oppenheimer è un inno all’egoismo, all’assenza di amore, all’usare gli altri, al percepire il prossimo come strumento per i propri interessi. Dopo aver raccontato l’amore più estremo e puro con Interstellar, con Oppenheimer ecco arrivare l’antitesi. Ecco un effetto domino di odio e devastazione, che dalla mente del padre della bomba atomica attraversa il tempo e lo spazio per arrivare, ancora rovente, fino a noi.
Dalla speranza al pessimismo
La morte, gli orrori e la guerra. Dunkirk, forse, è il film nolaniano più simile a Oppenheimer. Quello in cui il regista ha asciugato molto il suo cinema, diventando ancora più pragmatico e spietato. Però c’è un abisso che separa le due opere. Perché nonostante la morte e il terrore Dunirk è costantemente attraversato dal filo della speranza. Una speranza che a volte logora e illude, ma che alla fine divampa con il bellissimo, commovente ed eroico salvataggio finale. Civili che vanno a salvare soldati. Un gesto di altruismo che regala a Dunkirk un finale luminoso.
Una luce che in Oppenheimer si spegne inesorabile. Perché questo è senza il dubbio il film più cupo e pessimista di un regista solitamente romantico come Nolan. Questa volta non c’è spazio per la speranza, perché Oppenheimer chiude l’inventore dell’atomica in una prigione di solitudine, alle prese con l’esame di coscienza più feroce e impietoso che possa esistere. Ed ecco come Oppenheimer ha nuclearizzato Nolan stesso, ridefinendo il suo cinema con un’opera coraggiosa. Proprio perché lontana anni luce da tutto quello che è venuto prima.
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