Adonis Creed piange, Batman è nauseato e anche Spider-Man non si sente tanto bene.
Ora che il vecchio eroe tutto d’un pezzo è stato ridotto a macchietta ridicola dal Thor di Taika Waititi, il machismo figlio degli anni Ottanta si è sgretolato sotto i nostri occhi. E non è un caso che anche uno dei più testardi action man della vecchia guardia, un certo Toretto di Fast & Furious, ormai non basti più a se stesso. Da solo l’eroe vecchio stampo non va da nessuna parte. E allora ecco la famiglia, il gruppo a dare senso al macho di un tempo (vero Mercenari?).
Così Hollywood ha aggiornato l’archetipo dell’eroe, proponendo dei giovani paladini molto diversi dal passato, che si approcciano al passato con un atteggiamento molto critico. Cerchiamo di capire insieme come è cambiato il modello eroico del cinema mainstream, esplorando le ferite di giovani pugili, nuovi supereroi e principi acerbi che reggono il peso di un’eredità soffocante: il confronto con tutto quello che è venuto prima di loro.
Liberarsi dal passato
La strada l’ha segnata un incompreso. Un personaggio poco amato che incarnava un malessere generazionale che non è rimasto inascoltato. Era il 2017 quando Kylo Ren in una scena di Star Wars: Gli ultimi Jedi proponeva a Rey di uccidere il passato e di abbracciare il futuro. Una frase che incarna l’atteggiamento con cui molti dei nuovi paladini si approcciano alle vecchie generazioni.
Partiamo proprio da Adonis Creed, il giovane pugile costretto a vivere dentro l’asfissiante ombra paterna. Il ragazzo non può battere il suo nemico più grande, perché sta facendo a pugni con un fantasma. La fama paterna lo distrugge, lo logora e lo soffoca mettendogli pressione. La saga spin-off di Rocky è tutta sulle giovani spalle di quello per molti sarà sempre e soltanto il figlio del mitico Apollo Creed. Il bisogno viscerale del giovane Adonis è soprattutto uno: liberarsi dal passato, dimostrare il suo valore a prescindere dal sangue che gli scorre nelle vene ed emanciparsi una volta per tutte.
C’è riluttanza anche negli occhi del giovane principe Paul Atreides. Il giovane eroe di Dune è spaesato, acerbo, fragile come il corpo smilzo di Timothèe Chalamet, schiacciato anche lui dal retaggio e dalle antiche tradizioni della sua nobile famiglia. Paul è chiamato a essere un eroe, suo padre gli dice che è il destino a imporglielo, ma è un percorso già scritto che il protagonista di Dune soffre tantissimo.
Stesso discorso anche per il Batman di Pattinson, affossato dalle colpe del padre. Talmente pesanti nel suo animo da essere scritte a caratteri cubitali sotto i suoi piedi. Un senso di colpa per i peccati paterni che gli macera dentro, provocandogli un male di vivere difficile da estirpare. Insomma, il primo grande nemico dei giovani eroi di Hollywood è proprio il passato. Un passato da combattere e di cui liberarsi.
Abbandonare il mentore
Per dire addio al passato bisogna svincolarsi anche da chi lo rappresenta: ad esempio il tuo mentore. Sì, perché l’archetipo maestro-allievo è immancabile in ogni storia eroica che si rispetti, e tutti i nuovi eroi di Hollywood ne hanno uno a cui dire addio. Partiamo sempre da Adonis Creed. Lui che lotta contro i fantasmi e quindi riesce a specchiarsi soltanto nell’unica persona ancora viva che ricordi suo padre: Rocky Balboa. Il suo rapporto con Rocky è di fatto un surrogato di una relazione padre-figlio, con l’ex grande pugile che diventa un padre putativo a tutti gli effetti. Rocky insegna a Creed che nella vita saper incassare e abbracciare il dolore è forse più importante che colpire, e così tra i due (dopo qualche screzio) si crea un rapporto di sincero affetto. Ma nell’ombra di Rocky si sente forte l’eco di Apollo Creed, visto che il personaggio di Stallone di fatto incarna il passato di suo padre. E così sia nella storia che nella realtà Adonis Creed e Michael B. Jordan hanno imparato a lasciare andare il vecchio mito e a vedersela da soli. E così con Creed III la saga ha imparato a fare meno di Rocky e di Sylvester Stallone provando a cavarsela con le proprie gambe, visto che il personaggio per una volta affronta un demone tutto suo senza subire gli effetti dell’eredità paterna.
Questo addio al mentore si avverte forte anche in The Batman, dove questo giovane Bruce Wayne quasi alle prime armi sembra rifiutare qualsiasi figura paterna. Non è un caso che nel film di Matt Reeves il personaggio di Alfred, da sempre mentore prezioso del Cavaliere Oscuro, sia davvero marginale e poco ascoltato da Bruce nelle poche scene in cui appare. Emerge così un Batman solitario, che preferisce fare di testa sua, senza seguire i consigli degli anziani. Discorso diverso ma conseguenza simile anche per lo Spider-Man di Tom Holland, di fatto sempre coccolato dallo zio acquisito Tony Stark, che lo ha subito accolto sotto la sua ala protettrice. Una figura con la quale Peter Parker non era in conflitto, ma a cui per forza di cose l’Uomo Ragno dovrà a dire addio. Un destino di solitudine che tocca anche Paul Atreides, che perde lungo la strada tutti i suoi mentori (a esclusione della madre), e che dovrà trovare la strada da solo nei deserti di Arrakis.
Perdere tutto
In tanti non hanno mai sopportato lo Spider-Man di Tom Holland. Perché? Semplice rifiuto nostalgico? Forse no. Forse il problema era un altro. Perché il suo Peter Parker è subito partito con una serie di privilegi che lo hanno fatto passare per il ragazzino viziato di turno. Tony Stark che gli regala tute iper-tecnologiche, gli Avengers che lo fanno subito giocare nella serie A dei supereroi e una condizione agiata che ha spesso stonato con l’immagine sfigata del nostro amichevole Arrampicamuri di quartiere. E infatti ecco arrivare Spider-Man: No Way Home che rappresenta la vera e propria origin story del personaggio. Scelta insolita inserirla nel terzo film, ma è soltanto perdendo tutto che il Parker di Holland è diventato davvero Spider-Man agli occhi di tutti. La morte di zia May e il senso di colpa per gli errori commessi gli hanno tolto tutto, spingendo il pubblico a provare empatia nei suoi confronti.
Anche Adonis Creed, dopo un’infanzia difficile, vive nell’agio più totale. Ricchezza, affetto e protezione. Il ragazzo viene visto come un figlio di papà che non potrà mai avere la fame dei disperati venuti dalla strada. Gente che viene letteralmente salvata dalla boxe. Sarà soltanto sporcandosi le mani e abbandonato il suo nido dorato che Adonis diventerà un pugile vero. E sarà soltanto davanti alla prospettiva della malattia di Rocky o della morte di una persona cara che Creed toccherà il fondo per rialzarsi e trovare davvero una motivazione per lottare. Stesso discorso per Paul Atreides, che in Dune parte in una posizione di privilegio e poi vede la sua famiglia e il suo regno rasi al suolo e distrutti in una sola notte. È lì, dal lutto e della perdita, che parte il viaggio dell’eroe. Per informazioni sul tema rivolgersi dalle parti di Gotham City, dove una notte un ricco bambino vide il film peggiore della sua vita: il papà e la mamma ammazzati davanti ai suoi occhi.
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