Lo scorso autunno diverse testate giornalistiche italiane, dalle più serie alle scandalistiche, hanno registrato la presenza di James Franco in Italia, tra Campania e Calabria, per le riprese dell’ultima pellicola di Giovannesi. L’attore, che proprio oggi compie 46 anni, sembra infatti pronto a tornare in scena dopo il lungo silenzio che seguì la sua vittoria ai Golden Globes nel 2018. Diventato rapidamente un caso mediatico, il motivo della sua scomparsa è ormai noto al grande pubblico, ma vale comunque la pena fermarsi un attimo per considerare con calma le questioni che la sua vicenda porta sul tavolo. Cerchiamo quindi di analizzare tre potenziali implicazioni che si intersecano nel caso dell’espulsione di Franco dal mondo di Hollywood, senza scadere in giudizi semplicistici ma provando ad abbracciare la complessità del fenomeno, come piace a noi.
Il fatto
Per chi fosse a digiuno della vicenda, il rifiuto di Hollywood nei confronti di Franco è presto spiegato. Dopo aver vinto ai Golden Globes nel 2018, l’attore è stato coinvolto in una causa legale intentata da quattro ex studentesse della sua scuola di recitazione, Studio 4. Le giovani hanno accusato lui e i suoi soci di aver avuto un comportamento sessuale inadeguato, alludendo a varie dinamiche tra cui l’utilizzo di un programma della scuola, chiamato “Sex Scenes”, per sfruttarle sessualmente. In realtà questa denuncia si inserisce in un quadro più ampio, dal momento che Franco era già stato al centro delle polemiche nel 2014 per aver organizzato su Instagram un incontro con una diciassettenne in un hotel di New York. Come si può immaginare, con questi precedenti l’attore ha dovuto abbandonare per alcuni anni quel mondo di Hollywood profondamente radicato nello star power, che non perdona con facilità i passi falsi quando si parla di immagine e percezione del grande pubblico. Nel 2021, tuttavia, Franco sarebbe giunto ad un accordo legale con le studentesse, accettando di pagare 2,2 milioni di dollari per vedere chiusa la causa e liberarsi definitivamente dalle accuse. Cosa ci dice, dunque, questa vicenda?
#MeToo e l’intimacy coordinator
Come non sarà certamente sfuggito, il caso di James Franco rientra nel panorama più ampio del movimento #MeToo, che ha visto negli ultimi anni diversi nomi dell’olimpo Hollywoodiano accusati per molestie sessuali. A livello di produzione, questo ha comportato importanti aggiornamenti nella normativa, con l’obiettivo di sorvegliare le riprese di scene intime e mitigare lo squilibrio di potere che rischia di portare ad abusi sul set. Tra le nuove politiche, l’introduzione di un intimacy coordinator è diventato la prassi in quasi tutte le più grandi produzioni statunitensi, e nel 2018 HBO ha reso questa figura obbligatoria in tutti i set che coinvolgono scene di nudo, sesso e intimità. In realtà, la presenza di un vigilante per queste scene è una regola più che consolidata nel mondo del teatro, oltre ad avere discreti precedenti anche in quello delle serie. Si tratta in entrambi i casi di produzioni dove una buona collaborazione tra i membri della crew può sensibilmente aumentare la longevità, la popolarità, e dunque la profittabilità dello spettacolo. D’altronde, le scene di nudo sono un rischio per i performer tanto quanto lo sono per le produzioni, che potrebbero incorrere in onerose cause legali o fronteggiare ritardi nel processo produttivo.
Sembra scontato ma è bene sottolinearlo: un meccanismo ben oliato è conveniente per tutti, tanto da un punto di vista morale quanto economico. Eppure queste considerazioni sono diventate valide solo grazie al cambio di sensibilità che progressivamente abbiamo abbracciato a livello collettivo. Il cinema infatti vanta una tradizione decennale di abusi sessuali sul set, dove le dinamiche di potere si fanno spesso perverse, tuttavia in passato qualsiasi potenziale denuncia avrebbe finito per danneggiare unicamente i performer, proprio perchè tali pratiche venivano naturalizzate e legittimate da una cultura che, a poco a poco, stiamo cercando di smantellare. In questo il movimento #MeToo non solo ha dimostrato come la società sia pronta per cambiare direzione, ma ha anche avuto la capacità di esporre le case di produzione e i produttori ad un’attenzione mediatica tale da generare pressioni fino ad allora sconosciute. Senza cantare vittoria, possiamo perlomeno registrare che anche l’industria cinematografica sta prendendo atto del rinnovato clima culturale – prima di tutto per convenienza economica – e che le pratiche si stanno lentamente adattando alla nuova morale del nostro presente.
Post-truth
Un altro aspetto interessante del caso è la sua pregnanza nel dibattito generalista: la vicenda è diventata quasi immediatamente virale, esponendo Franco al giudizio di un’opinione pubblica che sappiamo essere particolarmente precipitosa nel risolvere i casi che pertengono alla magistratura. Al di là di ciò che ciascuno di noi ritiene, infatti, è da sottolineare come Franco non sia mai andato a processo. La sua colpevolezza o innocenza sono diventate argomento di discussione a livello popolare, senza che un giudice si sia mai effettivamente espresso a riguardo. Le dichiarazioni dell’attore, sparse e spesso contraddittorie, sono state rilasciate durante programmi e interviste televisive, per poi essere raccolte e dibattute nel foro contemporaneo, l’internet. Fino a qui nulla di nuovo, le discussioni pubbliche sulle vicende di cronaca costituiscono da sempre un nervo importante delle dinamiche sociali.
Eppure, oggi questi meccanismi rischiano pericolosamente di sfociare in quella che viene definita post-verità, ovvero la messa in discussione dell’autorità istituzionale nel giudicare la verità di un avvenimento. Il termine rimanda a tutte quelle argomentazioni che si appellano all’emotività e alle credenze generali, piuttosto che ad un’analisi critica dei fatti, per stabilire un verdetto. In altre parole, si tende a sovrapporre l’impressione personale con la sentenza di un’autorità giuridica, contribuendo ulteriormente a screditare l’importanza di quest’ultima. Non sta a noi sottolineare quanto questo meccanismo sia problematico in una società democratica, né è nostro obiettivo prendere una posizione riguardo alle accuse mosse a Franco.
Piuttosto, è interessante notare come anche nella sua vicenda le dinamiche della post-verità possano essere utilizzate come chiavi di lettura. Benché l’attore non sia stato processato o dichiarato effettivamente colpevole, l’immediata mediatizzazione della vicenda ha generato un tale cambio nella sua immagine pubblica da portare Hollywood ad espellerlo per diversi anni. Come Roberto Saviano ha più volte sostenuto, nel mondo del web 2.0 la fama è diventata un oggetto pericolosissimo da maneggiare, e qui è proprio il caso di dirlo: quando volatili sensazioni emotive prevaricano sul rigore della logica e dell’analisi, l’esposizione mediatica dovrebbe forse cominciare a perdere il suo appeal.
James Franco e la sua sessualità
L’ultimo aspetto è di nuovo legato al fragile gioco di percezioni che tiene in vita lo star system hollywoodiano. Perché è stato proprio un cambio di percezioni quello che ha trascinato l’attore dall’olimpo all’oblio, e nello specifico un cambiamento del potere simbolico della sua sessualità. In effetti, la sessualità sembra un vero e proprio fil rouge nella parabola di Franco, fin dai suoi esordi: alcuni ricorderanno infatti come una decina di anni fa l’attore fosse considerato quasi un’icona queer, a tal punto da essere definito “one of the most interesting makers of queer film today” in un articolo di CINEASTE. La sua reputazione come artista queer deriva tanto dalla sua carriera attoriale, dove ha interpretato diversi personaggi gay – si pensi a James Dean (2001), Milk (2008), Howl (2010) e Michael (2015) – quanto a quella registica, avendo diretto film con tematiche omosessuali come Broken Tower (2011), Sal (2011), e Interior. Leather Bar (2013).
Inutile dire che la pioggia di speculazioni sul suo orientamento sessuale e i vari rumors sulle sua attività drag abbiano accresciuto notevolmente la sua popolarità, trasformandolo in una vera e propria icona di anticonformismo e trasgressione, proprio com’era stato quel James Dean che lui stesso si trovò ad interpretare. La carriera attoriale di Franco viene così lanciata dal carisma del suo personaggio, che ricalcava un modello di mascolinità sovversiva evidentemente affascinante durante lo scorso decennio. Anche grazie alla sua celebre passione per i selfie, rapidamente diventa un vero e proprio sex symbol, tanto da essere utilizzato come testimonial per il profumo Gucci by Gucci. Eppure, quella stessa sessualità che fino ad un momento prima aveva costituito uno potente strumento del suo star power, si è repentinamente trasformata in un danno alla sua immagine pubblica, tanto da arrestare la sua ascesa. Eccoci di nuovo di fronte ai perversi meccanismi del sistema hollywoodiano, fondato su dinamiche tanto delicate da essere quasi inafferrabili, ma proprio per questo incredibilmente affascinanti.
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