Nelle sale è uscito da poco Challengers, il nuovo – e super atteso – film di Luca Guadagnino con protagonisti Zendaya (Tashi), Josh O’ Connor (Patrick) e Mike Faist (Art). All’interno di una cornice fatta di tennis, competizione, sudore, passione, corpi, campi e muscoli tesi, Guadagnino racconta più storie d’amore che si intrecciano e sfilacciano sotto la maschera di un triangolo amicale e amoroso. La sessualità è ancora una delle protagoniste indiscusse, filo rosso delle opere del regista, declinata in modi e tempi diversi, servita con sfumature variopinte. Ma questa volta, la passione per l’amore, per l’Altro, lascia il posto alla venerazione della vittoria.
Fare sesso senza sesso
Contrariamente alle molte e diffuse aspettative, in Challengers di sessualità – nel senso grezzo, pratico, reale, esplicito del termine – non ce n’è. Anzi, in quest’ottica, forse, il film è molto più pudico di molte altre opere precedenti (difficile a credersi). Le fantasie di vedere corpi contorcersi in una pratica a tre di un letto di albergo vengono inesorabilmente spazzate via, lasciando aperti desiderio e immaginazione. Challengers, infatti, si muove su un sottilissimo filo, teso come la rete del campo, capace di far sudare, scaldare, ma che non viene mai oltrepassato. È sempre in bilico in un ritmo serrato che permette allo spettatore di giocare a tu per tu con i protagonisti al ritmo di una colonna sonora irresistibile. Cresce l’eccitazione per i corpi, il tennis, il gioco, la sfida. Sì, perché l’effettivo focus dell’opera, l’elemento sessualmente adrenalinico, è proprio la competizione.
Guadagnino dà forma a tutti gli elementi chiave dell’erotismo. Prima alimenta il desiderio, che cresce e viene riempito e accentuato dalle fantasie che subentrano grazie alla partecipazione attiva dei nostri sensi. L’immagine si trasforma in qualcosa di intensamente vivo, possiamo toccare le tute aderenti e bagnate di sudore, possiamo sentire gli odori del match. Poi incentiva l’eccitazione attraverso una tensione perpetua della partita, dei corpi, della trama stessa. Infine, raggiunge un picco massimo e quasi orgasmico ad ogni pallina battuta. Tutto questo senza una scena di sesso.
La sessualità nel cinema di Guadagnino
“Sex is back” scrive qualcuno riflettendo sulle nuove frontiere del cinema e Challengers. Ma Guadagnino in realtà si è sempre occupato di sessualità. L’evoluzione erotica del suo cinema parte da Melissa P., in cui i corpi sono immaturi, giovani, acerbi. La scoperta del sesso, del piacere e dell’illusione di un amore che presto fa entrare a contatto quel mondo adolescenziale con la delusione del reale. Il sesso in Melissa P. è una patina oscura che annebbia la ricerca d’identità di una ragazzina, nello smisurato bisogno di affetto e libertà. La meschinità degli amori vissuti da Melissa cambia rotta nella dimensione della Trilogia del desiderio (Io sono l’amore, A Bigger Splash, Chiamami col tuo nome). Qui il ritmo è lento, romantico, emotivo, affettuoso, dolce, candido, come con la tenerezza delle relazioni estive che prendono vita nei borghi caldi del nord Italia. Chiamami col tuo nome è quella fusionalità e connessione degna di “Ascolta come mi batte forte il tuo cuore”.
Talvolta, invece, la passione avanza oltre la spietatezza, con la ferocia dell’eros che rende liberi e uccide. L’amore che crea, distrugge, apre alla libertà, alla speranza. L’amore che commuove. Il sesso non è uno sfondo, è presente, ben vissuto e anche consumato. Il piacere libidico carnale si incontra con quello della natura e del cibo, diventando ancora un tutt’uno di sapori e profumi. Soddisfazione del cibo che tocca il suo punto massimo con Bones and All, dove l’amalgama di tutti questi elementi primitivi trova spazio nel gioco cannibalico di vita e morte di corpi che si fondono. Insomma, Guadagnino si occupa da sempre di sessualità e sensualità, piacere e fantasia. Tuttavia, con Challengers il registro cambia. Qui vige un certo cinismo sexy. Non vi è spazio per la speranza affettiva, ma solo la cruda e ferma convinzione di una merceficazione degli affetti legata alla vittoria della competizione. I legami hanno una funzione, la sessualità anche.
Questione di triangoli
Challengers genera più amori attraverso un triangolo che bluffa sulla possibilità di soddisfare la visione di una delle fantasie più ancestrali della storia. Il threesome contiene in sé e mobilita elementi di gioco, curiosità, voyeurismo, esibizionismo, fascino del proibito, controllo e dominazione. Da una parte quello legato all’amicizia fra i due ragazzi, stretti da una vita e dal tennis. Il loro rapporto nasconde fra le righe un’attrazione latente omoerotica, contrassegnata da linguaggi segreti, simbolici e privati. Un po’ come la lingua dell’eros, in cui esistono parole chiave per interrompere, trasmettere piacere e desiderio.
D’altronde, il personaggio interpretato da Zendaya non farà altro che ripetere di non voler essere una sfascia famiglie. Poi c’è l’amore di quest’ultima verso i due ragazzi, intrecciato all’interno di una relazione che sposta i propri binari ad ogni set, ad ogni momento vincente della partita. Infine, c’è il vero catalizzatore libidico, l’amore più autentico: quello verso il tennis, verso la vittoria, la coppa, la rivalsa, la possibilità di recuperare quanto perso. Tashi allora non è più innamorata dell’Altro – o degli Altri – ma ha come unico oggetto d’amore il tennis, che diventa il centro del suo desiderio, della sua eccitazione e del potere. Un aspetto a tratti considerabile parafilico, in quanto unico vero elemento libidico, ossessione eccitante esistenziale e relazionale.
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