A volte capita che i film si muovano come fiumi sotterranei, senza cercare lo strappo immediato né la pirotecnia visiva. Preferiscono insinuarsi lentamente, goccia dopo goccia, finché non ti accorgi che sei immerso fino al collo in un’atmosfera che è viaggio esteriore e migrazione interiore al tempo stesso.

Caravan di Zuzana Kirchnerová ha la capacità di farlo. Un film che si apre con il passo lento e silenzioso di un percorso fisico, un itinerario dall’Emilia-Romagna fino alla Calabria, ma che in realtà è soprattutto un attraversamento emotivo, un pellegrinaggio nei territori della maternità, della libertà e di quel desiderio che non chiede il permesso per esistere. Nella sua struttura, la pellicola appare quasi come un diario, scritto sulla polvere delle strade secondarie, ma letto con la voce bassa di chi teme che il rumore possa disturbare la fragilità. Eppure, proprio in questa delicatezza, si nasconde la forza di un film che non urla, ma resta impresso come un’eco, anche quando lo schermo è già nero.

Caravan
Genere: Drammatico
Durata: 100 minuti
Uscita: 7 Agosto 2025 (Cinema)
Regia: Zuzana Kirchnerová
Cast: Anna Gaislerová, David Vostrcil

Un cammino verso la libertà

Anna Gaislerová in una scena del film – @Wanted Cinema

Al centro di questa storia troviamo Anna Geislerová nei panni di Ester, una madre stanca ma mai domata. Al suo fianco, David Vostrčil, interprete non professionista il cui volto porta con sé la bellezza disarmante della verità. La Geislerová regala una prova fatta di sfumature infinitesimali, di micro-espressioni che dicono più di cento battute, incarnando una donna che ama profondamente ma che, sotto la superficie, è attraversata da un’inquietudine che non si lascia sedare. David, invece, porta in scena se stesso: la sua presenza non è costruita, è vissuta. Il suo modo di guardare il mondo e la madre non ha il filtro della finzione – e questo dona al film una qualità quasi documentaristica.

La sceneggiatura, scritta con una precisione che sembra disinteressata alla “perfezione” narrativa, ma tutta concentrata sull’essenza, lavora per sottrazione. I dialoghi sono brevi, ma carichi di pause significative; le parole dette sono spesso meno importanti di quelle taciute. È una scrittura che ti costringe a guardare, ad ascoltare i respiri, i gesti, le esitazioni. In un’epoca di copioni che tendono a spiegare troppo, Caravan sceglie di lasciare che siano gli spettatori a colmare i vuoti, a interpretare, a perdersi in quelle ellissi emotive che somigliano tanto alla vita vera.

La capacità di rendere visibile l’invisibile

Anna Gaislerová e David Vostrcil in una scena del film – @Wanted Cinema

Chiunque voglia parlare di regia in senso stretto si troverebbe spiazzato di fronte a questa pellicola. La Kirchnerová non costruisce una messa in scena che si imponga sullo spettatore, ma crea un ambiente dove la macchina da presa diventa quasi invisibile, compagna silenziosa di un viaggio che sembra svolgersi davanti a noi senza interferenze. Le immagini, intrise di luce naturale, non cercano mai la perfezione patinata, ma abbracciano le imperfezioni della realtà: la polvere che sporca i vetri, le ombre che si allungano sui volti, i cieli che mutano colore senza preavviso. La geografia italiana diventa una mappa dell’anima: una presenza viva che cambia con l’umore dei protagonisti.

Il montaggio segue un ritmo organico, quasi respiratorio, alternando momenti di quiete sospesa a scarti improvvisi, come quando la vita stessa ci sorprende con un imprevisto. Una fluidità in cui si insinua una sensazione di intimità. Ogni inquadratura sembra invitare a entrare in confidenza, a restare accanto a Ester e David come se fossimo seduti con loro nel van. Come se potessimo condividere i loro silenzi e i loro sguardi.

Il rapporto madre-figlio

Anna Gaislerová e David Vostrcil in una scena del film – @Wanted Cinema

Ma il cuore pulsante del film è senza dubbio il legame tra i due protagonisti. Un rapporto che non viene mai raccontato in modo retorico o edulcorato. Non c’è il mito della madre eroina, né la dolcezza zuccherosa dei rapporti idealizzati. C’è, invece, la verità ruvida dell’amore incondizionato, mescolato al bisogno di spazio, di autonomia, di libertà. Ester ama, ma non è disposta a dissolversi del tutto in quell’amore. David ha bisogno di lei, ma anche di un orizzonte tutto suo.

In questa tensione si colloca la bellezza del film: mostrare che la maternità non è un destino che annulla la donna, ma un territorio di negoziazioni continue, di compromessi che non sempre lasciano entrambe le parti soddisfatte. In questa prospettiva, Caravan dialoga idealmente con altri racconti cinematografici che hanno esplorato il binomio cura-desiderio (da Senza tetto né legge di Agnès Varda, dove il vagabondare diventa atto di autodeterminazione, a Nomadland di Chloé Zhao, che trasforma il viaggio in scelta di vita). Ma qui la strada non è solo un simbolo di libertà individuale: è anche il luogo in cui due identità si ridefiniscono l’una accanto all’altra, senza mai smettere di influenzarsi a vicenda.

Alla fine, Caravan è un film che resta addosso come un odore, come un colore visto una volta ma capace di riaffiorare all’improvviso nei momenti più inaspettati. È un’opera che parla di maternità, di libertà, ma soprattutto di quel difficile, meraviglioso mestiere che è vivere accanto a un’altra persona – senza perdersi di vista. Non pretende di dare risposte, e forse per questo riesce a lasciare un segno così profondo. Ci ricorda che, a volte, le domande sono più importanti delle conclusioni. Ai titoli di coda giunge una solida certezza: in qualche modo, continueremo a viaggiare insieme a Ester e David. Anche fuori dallo schermo.

Conclusioni

8.5 Rigenerante

Caravan è un soffio lieve dentro una ferita aperta, un cammino ostinato verso un’autodeterminazione ritrovata, un canto che non s’ingegna di insegnare, ma solo di mostrare. Con la tenerezza della luce calabrese, con la polvere italiana, con il respiro di due corpi che finalmente si sentono uno. È un invito a uscire dal ruolo, per ritrovarsi.

Pro
  1. La capacità di rendere visibile l’invisibile
  2. La scelta di affiancare ad un’attrice navigata alla spontaneità autentica di un non professionista
Contro
  1. Narrazione frammentata, fatta di silenzi e pause
  2. Delicatezza estrema che rischia di rallentare la storia
  • Voto ScreenWorld 8.5
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Classe 2005, nata tra i templi di Paestum ma con origini statunitensi. Cinefila compulsiva, sono redattrice di ScreenWorld.it dal gennaio 2025 e Content creator per la pagina Ilmiocinemaofficial (22.5k su Instagram). Scrivo perché non so farne a meno. Ironia inclusa.