Aveva detto basta più di dieci anni fa, e invece rieccolo. Il vento si è alzato di nuovo. Hayao Miyazaki è tornato ancora una volta (forse per l’ultima volta) con Il ragazzo e l’airone. Forse più un film su Hayao Miyazaki che un film di Hayao Miyazaki. Perché parla di tempo ormai agli sgoccioli e di eredità da lasciare al mondo. Un film partorito a fatica, tra tante incertezze e con la solita riluttanza di chi vive il proprio talento quasi come una condanna. Normale amministrazione per Miyazaki, che ogni volta vive il suo lavoro come parto travagliato. Poi la svolta: Hayao voleva lasciare qualcosa a suo nipote. Un ultimo regalo.
E ci è riuscito con un film disegnato a mano da 60 animatori, composto da un numero di fotogrammi mai visto finora in un’opera dello Studio Ghibli. Infatti ogni minuto de Il ragazzo e l’airone ha richiesto un mese di lavoro. Un atto d’amore per un nipote. O forse per l’animazione stessa. Un’opera ipnotica che ha lasciato tanti dubbi nel pubblico, visto che Il ragazzo e l’airone è un misterioso viaggio nella psiche di Miyazaki stesso. Un mistero che siamo riusciti a decifrare grazie a Hayao Miyazaki and The Heron, un bel documentario di 2 ore dedicato al making of dell’ultima creatura targata Studio Ghibli. L’abbiamo visto al Festival di Cannes e adesso vi raccontiamo tutte le cose che abbiamo scoperto al suo interno.
Il ragazzo è l’airone
Subito dopo l’uscita de Il ragazzo e l’airone il web si è riempito di teorie e interpretazioni sul film. E anche noi abbiamo partecipato alla cosa. Però, grazie a questo documentario finalmente sappiamo la verità su tanti allegorie e metafore inserite in uno dei film più criptici di Miyazaki. Partiamo dal protagonista. Nel documentario il sensei ammette che il giovane Mahito è Miyazaki stesso. Un ragazzo bloccato come lui dopo il suo ritiro, che ha bisogno di essere trascinato da qualcun altro per vivere finalmente una nuova avventura. Ed ecco arrivare l’altra rivelazione: per Miyazaki l’airone non è altro che il produttore Toshio Suzuki. Grande amico di Hayao e figura fondamentale per lo Studio Ghibli, Suzuki è sempre stato il collante del team.
Una persona diplomatica immersa tra due fuochi creativi come Miyazaki e Isao Takahata. Due personalità non facili da gestire, che Suzuki ha coordinato sempre con maestria. È lui l’airone del film, perché è stato lui a stimolare Miyazaki dopo il suo ritiro. Così come l’uccello nel film insiste nello spuntare all’improvviso per incuriosire Mahito guidandolo verso la vecchia torre, allo stesso modo Suzuki ha spezzo stuzzicato Miyazaki spingendolo a vivere un’ultima grande avventura da regista. E così Miyazaki gli ha dedicato il ruolo della guida, dello strambo Virgilio del film. È di Suzuki la risata stridula del personaggio così come la sua pancetta portata con fierezza. È di Suzuki il merito di aver spronato un vecchio ragazzo a seguire, forse per l’ultima volta, il suo amico airone.
L’ombra del maestro
L’altra grande figura mistica del film su cui sono state fatte tante speculazioni è lo zio mago che appare alla fine de Il ragazzo e l’airone. In tanti, noi compresi, pensavano che il vecchio signore rappresentasse Miyazaki stesso, ma non è così. L’anziano mago è stato creato a immagine e somiglianza del grande maestro Isao Takahata, scomparso proprio durante il lungo ritiro di Miyazaki. La morte dell’amico e mentore ha creato in Miyazaki un profondo conflitto creativo, portandolo a chiedersi: “Come sto gestendo l’eredità del mio maestro?”. Ecco perché tutto il finale de Il ragazzo e l’airone è dedicato al grande dilemma dell’eredità creativa, del valore delle nostre azioni e del segno che lasciamo nel mondo. Miyazaki e Takahata hanno sempre avuto un rapporto conflittuale, spesso sfociato anche nella competizione, ma la stima tra loro è sempre rimasta intatta. Dopo la scomparsa di Takahata, Miyazaki ha percepito incombere l’ombra del maestro e modellato sul suo ricordo uno dei personaggi più enigmatici e poetici de Il ragazzo e l’airone. Un vecchio signore dall’aria solenne, che lancia domande pesante come macigni: “Hai imparato qualcosa da me? Come gestirai tutto quello che abbiamo creato insieme ora che non ci sono più?”. Altra curiosità scoperta nel documentario: nel 1994 anche Takahata omaggiò Miyazaki, dedicandogli un personaggio del suo Pom Poko.
La morte che incombe
Il documentario ha fatto luce sullo stato d’animo con cui Miyazaki ha vissuto la lunga lavorazione del film. Uno stato d’animo non proprio sereno. È risaputo che il sensei viva la creatività come una specie di maledizione: gambe che tremano, fogli strappati, mani sulle tempie, giornate di vuoto creativo e idee che lo infestano come incubi anche quando dorme. Però, quello che ha reso la gestazione de Il ragazzo e l’airone diversa da tutti gli altri film dello Studio Ghibli è stata una cosa: la paura della Morte. Miyazaki si è spesso percepito stanco, più vecchio, più lento, sempre meno bravo a disegnare e animare. Ogni tanto ha anche pensato di non riuscire ad arrivare vivo alla fine del film. Il motivo? Purtroppo durante gli ultimi dieci anni trascorsi dal suo finto ritiro dopo l’uscita di Si alza il vento e Il ragazzo e l’airone tante persone a lui care sono venute a mancare. Non solo Takhata, morto nel 2018, ma anche la sua assistente e altri amici a lui cari. Nel documentario si nota anche la tristezza con cui Miyazaki festeggia i suoi compleanni, fissando le candeline con aria malinconica. Insomma, il tempo che passa è il suo grande spauracchio. Come per tutti. Forse, però, per un genio del genere l’idea di non poter più dare vita a meraviglie fa leggermente più paura.
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