Quando si pronuncia il nome dei Queen la mente della maggior parte delle persone si riempie immediatamente delle immagini di quel Live AID entrato nella storia della musica e della performance dal vivo. È il 13 luglio 1985 e lo stadio di Wembley a Londra accoglie ben 72.000 spettatori. Si tratta di un evento incredibile organizzato da Bob Geldof, che riesce a coinvolgere i più grandi artisti del panorama musicale internazionale per ricavare fondi a favore delle popolazioni dell’Etiopia, colpita da una grave carestia.
Ovviamente non potevano mancare i Queen. La band, però, tentenna prima di accettare a causa del poco tempo a disposizione per la loro esibizione. Venti minuti sembrano obiettivamente pochi ma, alla fine, salgono sul palco regalando una delle esibizioni più incredibili di sempre. In sequenza, infatti, suonano Bohemian Rhapsody, Radio Ga Ga, Hammer to Fall, Crazy Little Thing Called Love, We Will Rock You e We Are the Champions. Quello che colpisce al cuore gli spettatori e la stampa, però, è soprattutto l’incredibile energia di Freddie Mercury che riesce a trascinare tutti in un’onda continua e irrefrenabile di forza, vitalità e presenza scenica.
Tutti aspetti che non sono certo svaniti con la sua prematura scomparsa. Anzi, si ripresentano puntuali ogni volta che quelle immagini vengono riprodotte a dimostrazione che il talento rende veramente immortali. Perché di fatto Mercury è stato, ed è ancora oggi, uno dei più grandi frontman che la storia della musica e delle band abbia mai conosciuto. Per non parlare, poi, del fatto che i Queen siano considerati a pieno diritto uno dei gruppi di maggior successo vendendo oltre 300 milioni di dischi al mondo in un momento in cui l’industria musicale era profondamente diversa da quella di oggi.
Tutta questa eredità, dunque, non poteva che pesare in modo evidente sul regista Bryan Singer e l’attore Rami Malek quando sono stati coinvolti nella realizzazione del biopic Bohemian Rhapsody. Nonostante questo, però, quando il film esce in sala diventa in poco tempo uno dei successi economici della stagione cinematografica 2018 e si aggiudica la corsa ai premi. In particolare ottiene quattro Oscar, di cui uno come Miglior Protagonista a Malek, e due Golden Globes. Nonostante tanti consensi, però, il film ha anche riscosso delle critiche, soprattutto dai fan più accaniti. Alla base di tutto ci sarebbero degli errori di trasposizione grossolani che vanno a sfalsare gli eventi. Per comprendere effettivamente di cosa si tratta, in occasione del passaggio televisivo programmato per mercoledì 1 marzo su Rai 1, proviamo a vedere cosa c’è di vero e sbagliato in Bohemian Rhapsody.
All’inizio c’era Farrokh Bulsara
L’elemento narrativo essenziale di questo film è, indubbiamente, la figura carismatica di Freddie Mercury che, ad essere onesti, è difficile da sintetizzare e racchiudere nel migliore dei modi all’interno di un racconto cinematografico necessariamente sintetico. Ovviamente il film prende spunto dalle note strettamente biografiche reali come il suo vero nome. Le origini, infatti, sono particolari, essendo nato a Zanzibar da una famiglia indiana. Il suo nome, dunque, è Farrokh Bulsara e così verrà chiamato sempre in famiglia. Un aspetto, questo, che nel film compare, soprattutto nelle fasi iniziali, facendo da controcanto naturale ai nuovi stimoli culturali che il futuro leader dei Queen incontra una volta arrivato in Inghilterra nel 1964.
In questo senso, dunque, l’ambiente famigliare viene considerato, dal punto di vista narrativo, come un luogo di dissonanza dal quale allontanarsi per trovare la propria strada. Una situazione che corrisponde al vero anche se, probabilmente, il distacco non è mai stato netto e successivamente ricucito con la perfetta scena madre finale, come presente nel film. Altrettanto realistici sono gli accenni agli anni del collage, dove studiava Art and Graphic Design, ma si tratta di dati puramente cronologici che vanno a definire solo la superficie del personaggio.
Così come i racconti sulla sua eccezionale dentatura presenti nel film. Anche in questo caso ci si collega ad una realtà effettiva, visto che lo stesso Mercury era convinto che la formazione particolare del suo palato gli garantiva una cassa di risonanza insolita. Quindi, poco importava se le persone trovavano curioso il suo aspetto. Per lui veniva prima la performance e, proprio per questo motivo, non ha mai accettato d’intervenire.
La prima volta con gli Smile
Uno degli errori più evidenti, che ha causato immediatamente un sollevamento di sopracciglio di massa in tutti i fan più accaniti, è la rappresentazione del primo incontro con quelli che sarebbero diventati i compagni di un trionfale viaggio professionale. Nel film, infatti, ci si crogiola molto sulla casualità, grazie alla quale Freddy sarebbe riuscito a salire sul palco e suonare con loro. Ma andiamo con ordine.
All’inizio di tutto, i futuri membri dei Queen suonavano in una band chiamata Smile. E fino a questo punto nulla da eccepire. Altrettanto vero è il fatto che Mercury si sia trovato spesso ad assistere alle prove del gruppo, desiderando di poter esibirsi con loro. Del tutto inesatto, però, è che questa occasione si sia presentata in modo del tutto favolistica dopo l’improvvisa defezione del cantante Tim Staffell, con altrettanta presentazione di Freddy durante una serata altrimenti rovinata. La realtà, infatti, è molto diversa e meno scenica. Freddie, infatti, viveva già in un appartamento condiviso proprio con Brian May e Roger Taylor.
Questo vuol dire che non solo li conosceva alla perfezione, ma aveva tentato più volte di entrare nel gruppo come secondo cantante senza riuscirci. Quando, però, Staffell decide di lasciare gli Smile a causa di un singolo fallimentare, si fa trovare pronto e propone a Brian e Roger di formare insieme una nuova band. Ed è così, effettivamente, che nascono i Queen. Il nome, nemmeno a dirlo, è stato proposto proprio da Freddie che, nel rispetto della sua natura teatrale, ha pensato che fosse “forte, molto universale e immediato“.
L’amore eterno per Mary Austin
Quando si parla di Freddie Mercury è impossibile evitare di tratteggiare la figura e il ruolo di Mary Austin. Di fatto, la donna può essere considerata come il grande amore della sua vita. Un affetto ed un legame che, nel corso degli anni, è riuscito a cambiare forma senza, per questo, scemare d’intensità. A conti fatti, dunque, Mary è, senza alcun dubbio, la persona che più di ogni altra ha conosciuto la profondità e l’intimità di Mercury, nelle ombre come nelle luci.
Ed è riuscita ad amarlo in ogni suo aspetto. Considerato tutto questo, dunque, possiamo dire che giustamente Bryan Singer inserisce questa figura essenziale, soprattutto nella prima parte della narrazione. Nonostante ciò, però, sono stati fatti degli errori formali e sostanziali. Iniziamo con il chiarire che Freddie e Mary non si conoscono per la prima volta durante il concerto degli Smile in cui, secondo finzione scenica, il cantante sale sul palco per salvare le sorti di un’esibizione. I due, infatti, intrecciano le loro strade solo in un periodo successivo e dopo che Freddie si è assicurato della fine della sua relazione con Brian May.
Da quel momento diventano inseparabili e il rapporto che li unisce è assolutamente vero. In questo senso, dunque, è fondamentale fugare ogni dubbio o ipotesi che Mercury l’abbia utilizzata come scudo per nascondere la sua omosessualità. In realtà aveva una visione dell’amore personale che, con il tempo, è diventata sempre più libera e fuori degli schemi prestabiliti. La scoperta della bisessualità, ovviamente, ha precluso il matrimonio con Mary ma i due non hanno mai vissuto un momento di crisi affettiva. Il legame, come già evidenziato, è rimasto forte e costante. Tanto che anche nel film, negli ultimi anni di vita di Mercury, Mary torna ad essere fisicamente e moralmente presente, facendolo diventare il padrino di suo figlio. Nella vita reale, invece, non è mai sparita ma ha rappresentato sempre un punto fermo cui tornare.
Bohemian Rhapsody e Ray Foster
E qui arriviamo ad uno degli snodi narrativi che, a quanto pare, i fan dei Queen non hanno proprio compreso. Si tratta della presenza di un personaggio insolito, ossia un tale Ray Foster, presentato come produttore della casa discografica EMI. Ebbene, in realtà non è mai esistito e non ha, quindi, incrociato la sua strada con quella dei Queen. Perché, dunque, inserirlo? A livello narrativo ha una funzione meramente rappresentativa di tutti i probabili produttori che non hanno compreso o, comunque, osteggiato il precorso della band.
Nonostante questa discrepanza, comunque, si presuppone che la sua presenza serva ad evidenziare gli appunti che sono stati rivolti a Freddie Mercury nel momento in cui realizza Bohemian Rhapsody. In molti, infatti, trovarono la struttura operistica e, soprattutto, la lunghezza del brano eccessivi per ottenere passaggi radiofonici. Com’è stata risolta la questione, dunque? Sicuramente non con una rottura netta con la casa discografica, come mostrato nel film.
Piuttosto si è pensato ad una strategia particolare partita proprio dalla band. I ragazzi, infatti, chiedono la complicità di una radio che, per due giorni, manda il brano più volte a distanze temporali quasi cadenzate. In questo modo, si vuole testare l’effettivo potenziale della canzone. Ovviamente il risultato è stato incredibile, visto che Bohemian Rhapsody è rimasta in cima alla classifica dei singoli britannici per ben nove settimane. È il 1971 e da quel momento è riuscita a vendere ben oltre un milione di copie.
La divisione dai Queen e il Live Aid
Altra nota dolente è il modo in cui è stato deciso di gestire la parte inerente i rapporti professionali tra i membri della band e il successivo Live AID, utilizzato come simbolo di pace e riunificazione. Come sempre la verità sta nel mezzo. Questo vuol dire che una personalità istrionica e bisognosa di attenzione, come quella di Mercury, inevitabilmente deve aver creato delle tensioni all’interno del gruppo. Però senza portare ad alcuna frattura. Più di una volta, in questi anni, i membri dei Queen sono stati chiamati a ricostruire la memoria storica del loro incredibile successo professionale. Ricordi cui si sommano, inevitabilmente, anche quelli personali. E l’immagine che ne fuoriesce è sempre quella di personalità giustamente diverse, ma che sono riuscite a trovare un accordo interno, proprio come in una melodia.
In questa struttura, dunque, Mercury rappresentava le note alte ma di certo non quelle distruttive. Per questo motivo è bene specificare che il gruppo, arrivato alla consolidazione del successo negli anni Ottanta, decide in accordo di dedicarsi a dei progetti individuali. I primi a produrne sono proprio Taylor e May. I loro album, infatti, escono rispettivamente nel 1981 e 1984. Quello di Freddie, invece, risale al 1985. Da questo, dunque, si può capire che il suo desiderio di emergere da solo, sottinteso all’interno della narrazione cinematografica, non sia stata la causa di alcuna frattura.
A confermarlo, poi, è anche la successiva registrazione di The Works e il tour internazionale che li porta in Giappone. Il tutto ben due mesi prima della loro apparizione al Live AID. Questo vuol dire, in sostanza, che l’evento in sé è stato caricato di un significato che, in effetti, non aveva assolutamente. In realtà si è trattato, come detto, di un’incredibile performance in cui la band è riuscita a dare tutta sé stessa. E questo non perché erano venuti a conoscenza della malattia di Freddie.
La malattia
Purtroppo è impossibile raccontare l’incredibile parabola dei Queen e di Freddie Mercury senza arrivare al capitolo più doloroso, ossia la scoperta di aver contratto l’HIV. In questo caso, però, il film vuole porre un netto accento enfatico su questo aspetto, utilizzandolo per produrre il perfetto finale roboante e cinematografico. Dalle immagini di Singer, dunque, si evince che Freddie ottiene i risultati delle analisi poco prima della sua apparizione sul palco del Live AID, per poi rivelarlo ai suoi compagni in un abbraccio collettivo.
Immediatamente dopo, la band viene ripresa nella forza e nella vitalità della performance quasi a dimostrazione che la musica abbia il potere di sconfiggere ogni paura. In quel momento, su quel palco, Freddie è invincibile e intoccabile. Venti minuti in cui riassumere la passione di una vita intera ed un talento destinato a lasciare una traccia profonda del suo passaggio. Allo stesso tempo, però, è costruita come una sorta di canto del cigno. L’ultimo momento di gloria assoluta prima che la malattia prenda il sopravvento.
Nella realtà nulla di questo è vero. Freddie, infatti, non aveva ancora la benché minima idea di aver contratto la malattia nel momento della sua esibizione a Wembley. La diagnosi negativa, infatti, arriva solo due anni dopo e, di fatto, Mercury non ne darà mai effettiva notizia a livello pubblico. Gli unici a conservare questo amaro segreto sono, ovviamente, i membri dei Queen che cercheranno di proteggerlo fino all’ultimo da eventuali curiosità della stampa. Inutile dire che la malattia, come le speculazioni su un orientamento sessuale che lui, giustamente, non ha mai sentito di dover chiarire, non sono elementi destinati a definirlo come uomo e, soprattutto, come artista. Piuttosto raccontano molto della società e del mondo che ha assistito al suo passaggio. Da parte sua Mercury ed i Queen rimangono immortali, fotografati nell’incredibile frammento della loro esistenza artistica capace, ancora oggi, di raccontare una storia incredibile. Nonostante gli errori.