Una nota di pianoforte, sospesa, a mantenere l’attesa.
Un’attesa covata per 13 anni, un periodo di tempo così lungo da risultare quasi invisibile. Senza quell’hype dominante che siamo abituati a provare per i grandi eventi al cinema. Senza quel prurito nervoso di eccitazione, ma allo stesso tempo quasi accomodante.
Un’altra nota sospesa, essenziale, memoria di un tema musicale che tutti noi abbiamo ascoltato a suo tempo e che ci eravamo scordati. Eppure stava lì, dentro la nostra memoria, riconoscibile in pochi secondi. Sta accadendo davvero?
Le prime immagini di Avatar: La via dell’acqua sono accompagnate da un tappeto sonoro arioso, si mostrano in una leggera dissolvenza, come le tende di un sipario che si allontanano tra loro. Come una finestra riaperta. Pandora è ancora lì. Sono passati tredici anni e non è passato un minuto.
Prima il paesaggio, vero e proprio punto di forza di un film che spesso viene ricordato più per le immagini che per la storia, poi gli occhi di un Na’vi, la popolazione indigena di colore blu del pianeta.
Un gioco di sguardi che riporta alla mente la celebre battuta del film: “Io ti vedo“.
E poi una serie di immagini evocative, senza rumori ingombranti, senza quella necessità di premere sull’azione, senza rispettare la formula contemporanea del marketing che deve mostrare i muscoli.
Il teaser trailer di Avatar: La via dell’acqua non colpisce con la forza della violenza, ma con quella dell’amore.
Riportando sugli schermi un cinema che, non lo sapevamo ancora, ci era mancato.
È straniante? Ammettiamolo: un po’ sì. Ma a giudicare da questo primo biglietto da visita, non possiamo che provare con piacere quest’innaturale spaesamento. In un momento storico in cui ogni film viene presentato come essenziale e imprescindibile, dove vige la legge del (rumore) più forte, questa dolcezza sancisce il vero evento di un’opera diversa da tutte le altre. E a cui, proprio per questo, non possiamo che credere ciecamente.
Una nuova storia su Pandora
In questi tredici anni se ne sono sentite di ogni. Che il primo film fosse un’opera sopravvalutata, un successo temporaneo ma senza essere entrato nella cultura pop, che fosse un esercizio vuoto di un effetto, il 3D, ormai morto, che la storia raccontata fosse dimenticabile e senza qualità. L’arrivo di Avatar 2 ha il sapore di un toccasana, perché potremo finalmente capire se in James Cameron è rimasto quell’innato talento di costruire sequel non solo migliori dell’originale, ma capaci anche di donarne nuovi significati di riflesso.
Avatar: La via dell’acqua sarà l’occasione di sfruttare un mondo esteticamente affascinante come quello di Pandora e ampliarne la mitologia, mostrandone ambientazioni rinnovate, oltre che raccontare una nuova storia, al momento ancora misteriosa, con diverse tribù da quella già conosciuta. Sappiamo che stavolta lasceremo la foresta e ci tufferemo in acque cristalline, sicuramente con altri riti folcloristici e altre creature intrise di quella connessione che lega gli esseri viventi di Pandora. D’altronde, la storia stessa di Avatar, più che quella di Jake e Neytiri, sembra essere quella dello spettatore stesso, costretto e invitato a prendere parte a un mondo che non può trovare da nessun’altra parte, se non indossando un paio di occhialini e sedendosi in una poltrona della sala.
È per questo motivo che il teaser trailer, poco più di un minuto e mezzo di immagini slegate tra loro, oltre che per sua stessa natura di essere una prima anticipazione, sembra sacrificare la trama per concentrarsi su un sentimento speciale. Quella nostalgia di un luogo in cui non siamo mai stati, e che paradossalmente sentiamo così vicino a casa.
Il cinema come sogno
Forse la grandiosità di un film come Avatar è nell’essere un perfetto esempio di ciò che cerchiamo sullo schermo cinematografico, tela bianca su cui proiettare emozioni, desideri, pulsioni, sogni. Soprattutto sogni. Il primo Avatar era un inno alla forza del cinema stesso. Una realtà triste, meccanica e desaturata da cui fuggire, in favore di un mondo colorato, naturale e libero. Entrare nel corpo di un avatar significava poter vivere davvero, in un altro corpo, come proiettato, qualcosa di irreale, speciale.
Un sogno.
Quando Jake entra nella capsula con cui si connette al suo involucro Na’vi altri non è che lo spettatore che attende lo spegnimento delle luci per immedesimarsi nei personaggi di un bellissimo film. Guardando Avatar si vive questo corto circuito continuamente (anche l’accento posto sull’azione dello svegliarsi equivale all’interruzione della sospensione dell’incredulità), dove realtà e cinema si confondono continuamente. Alla fine anche nello spettatore comune permane quel desiderio che Jake riesce a soddisfare: diventare parte di quel mondo tanto affascinante.
Sentirsi appartenere a un mondo. Immergersi completamente in un universo narrativo totalmente originale, con il semplice gusto di scoprire qualcosa che finora non si era mai visto. La magia di James Cameron è tutta qui. Creare una saga cinematografica fantasy dal nulla, se non dalla fantasia di un cineasta canadese, intrisa di un mito antico come il fuoco, ma capace di infiammare un pubblico sempre più pigro e incapace di immaginare. Per questo motivo, ancora una volta, il teaser di Avatar: La via dell’acqua preferisce invitare, aprendo le porte, invece che entrare prepotentemente. Tanto da farci dubitare se vogliamo tornare a sognare o se fino ad ora, in realtà, siamo rimasti addormentati.
Uniti come una famiglia
Infine, l’ultimo motivo per cui crediamo nella follia produttiva di James Cameron e non vediamo l’ora che arrivi dicembre è per festeggiare un Natale cinefilo che sa di battesimo. Le brevi immagini del teaser invocano un senso di meraviglia che non può lasciare indifferenti. Nel modo in cui si pone lo sguardo della macchina da presa, nel modo in cui l’animazione digitale sembra provenire dal futuro, nel modo in cui la luce si riflette sulla pelle finta e, allo stesso tempo, mai così reale dei Na’vi. L’unica battuta del trailer, pronunciata da Jake, conferma quel sentimento di connessione e legame che il cinema può regalare.
Ormai abbiamo anche fatto l’abitudine a ritrovarci in una sala cinematografica gremita da spettatori esaltati, pronti all’applauso e completamente partecipi verso quello che stanno osservando. Inutile nascondersi dietro a un dito: le visioni migliori degli ultimi mesi sono avvenute proprio in un clima frizzante di entusiasmo percepibile, con sale popolate da persone sconosciute e diverse tra loro, che si ritrovano sedute una di fianco all’altra, pronte a lasciarsi andare emotivamente, insieme.
Ecco, proprio in quest’ultima parola sta tutto l’entusiasmo della novità di Avatar 2, che è anche un dolce ritorno. Un ritorno verso un mondo che ci ricordiamo e che non sapevamo ci fosse mancato. Un ritorno verso quella meraviglia dell’ignoto che ci lascia smarriti e coinvolti. Un ritorno per James Cameron stesso nel luogo che più gli compete. Senza ironia, ci era mancato.
E, soprattutto, un ritorno lì, dove nasce tutto. In quella fortezza che racchiude i sogni chiamata cinema. Dove torneremo, come una famiglia.