Indiana Jones è in pensione, Jack Sparrow è disperso, e anche Lara Croft non si sente tanto bene. Perché anche quando l’avventura chiama, al cinema non risponde quasi nessuno. Un genere in crisi, che vive solo di vecchi ricordi, incapace di infiammare il pubblico come faceva una volta. Come se il gusto dell’ignoto fosse scomparso poco per volta. Ucciso dalla nostra pretesa di sapere tutto, forse. Ora che anche Indiana Jones ha appeso il cappello al chiodo (o meglio, sullo stendino) è come se il genere avesse alzato bandiera bianca e ammesso il suo stesso fallimento. E non è un caso che l’ultima fatica del nostro amato Indy ci sia sembrata così stanca, spenta, fuori tempo e fuori posto. Se l’avventura non la alimenta nemmeno Indiana Jones, è davvero finita. Ed ecco l’atroce dubbio: il cinema d’avventura è ancora possibile?. Cerchiamo di capirlo scavando tra la polvere di un genere ormai dimenticato.
Un genere disperso
Prima di provare a capire i perché di questa crisi, facciamo il punto sullo stato di salute del cinema d’avventura. Negli ultimi vent’anni le cose non sono andate benissimo. A ben pensarci le ultime due saghe di “pura avventura vecchio stampo” a lasciare un segno indelebile nell’immaginario collettivo sono state I Pirati dei Caraibi guidati da un’icona pop come Jack Sparrow e (anche se in modo meno eclatante) La Mummia con Brendan Fraser. Due saghe che hanno aggiornato il genere con personaggi carismatici, una mitologia convincente e un gusto molto sincero per l’esplorazione. Come outsider inseriamoci pure Il Mistero dei templari, negli anni diventato un piccolo cult con la sua nicchia di appassionati.
Tolte queste eccezioni, dal 2000 in poi il cinema d’avventura ha fallito quasi sempre. Soprattutto nell’imporre un franchise che avesse vita lunga nel cinema mainstream. Ha fallito ben due volte Indiana Jones con un quarto capitolo da molti disconosciuto e un quinto davvero molto, troppo anonimo. Hanno fallito anche tanti blockbuster, grandi produzioni ambiziose, incapaci di alimentare un brand. Qualche esempio? Prince of Persia, John Carter, The Lone Ranger, Jungle Cruise. Senza dimenticare la falsa partenza de La Mummia con Tom Cruise, che ha sancito sul nascere il fallimento del Dark Universe. Piccola eccezione per quella perla assoluta di TinTin, firmata Steven Spielberg, da molti considerato il vero Indiana jones 4. Film d’avventura clamoroso di cui stiamo aspettando il sequel diretto da Peter Jackson da soltanto 12 anni. Fate pure con comodo.
E poi arriviamo ad altri due fallimenti. Due adattamenti di cult videoludici che sulla carta avevano tra le mani personaggi iconici molto pop: il reboot di Tomb Raider e Uncharted. Ovvero altri due film totalmente scialbi e dimenticati in fretta. Quindi torniamo alla domanda iniziale: qual è il problema?
Un mondo più piccolo
Sì, l’esplosione dei cinecomics negli ultimi vent’anni non ha aiutato, spodestando l’avventura con un nuovo tipo di intrattenimento. Però, forse, le ragioni sono altre. E riguardano il progresso e il cambiamento inevitabile dei nostri tempi sempre più veloci e globalizzati. Il cinema d’avventura di una volta, almeno fino agli anni Ottanta, era una specie di grande viaggio collettivo che permetteva al pubblico di scoprire e vedere posti nuovi. Guardare film significava scoprire luoghi altrimenti invisibili, irraggiungibili, in alcuni casi persino impensabili. C’era quindi un gusto per l’esotico, il nuovo e il diverso che il mondo iperconnesso di oggi ha del tutto spento. Adesso che le distanze fisiche e digitali si sono accorciate, ora che ogni luogo meraviglioso del mondo è spiattellato sui social a suon di foto e reel, oggi che tutti viaggiamo molto di più, il cinema d’avventura ha perso quella sua funzione quasi turistica e non riesce più a trasportare dentro magnifici altrove come faceva prima.
Meraviglia spenta
Se è cambiato il mondo, siamo cambiati anche noi. Anzi, sono cambiati i nostri occhi. E qui viene un’altra causa della crisi, molto legata a quella di prima. Sì, perché il cinema d’avventura basava molto del suo fascino e della sua forza sul piacere dell’ignoto e dello sconosciuto, e soprattutto su un profondo senso di meraviglia. Il patto con lo spettatore era: io conosco cose che tu non sai. Un vero e proprio scarto cognitivo appassionante. E così che catturava la nostra attenzione. Oggi le cose sono cambiate.
Oggi tutti noi siamo diventati molto più difficili da stupire e meno inclini alla sorpresa. Più predisposti a essere rassicurati che scossi. Bombardati come siamo di contenuti e immagini, poi, il nostro senso di meraviglia ha bisogno di cose davvero straordinarie per essere scosso e stimolato davvero. Per cui sì, forse doveva andare così e l’avventura è destinata a rimanere qualcosa di legato al passato. Come un antico tesoro che potremo riaprire soltanto vedendo e rivedendo film di tanto tempo fa.
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