Potrà sembrare incredibile, ma sono già passati 30 anni dall’uscita nelle sale cinematografiche del film d’animazione Aladdin, il trentunesimo Classico Disney che ci racconta di terre lontane e misteriose. Un compleanno che non può passare inosservato.
Era il 25 novembre del 1992 ed Aladdin nacque con la camicia, fratello di due capolavori come La Sirenetta e La Bella e la Bestia, generati in quel periodo florido per l’animazione che ormai è conosciuto come Rinascimento Disney. Ma non possiamo attribuire il trionfo di Aladdin esclusivamente alla scia di successo dei suoi fratelli maggiori, perchè questo film è stato concepito da vere divinità del panorama cinematografico ed ha imparato a camminare da solo, ottenendo grande successo sia per la critica che al botteghino, diventando non solo il film con più incassi del suo anno d’uscita, ma il film d’animazione dal guadagno più alto fino a quel momento, superato solo anni dopo dal trionfo de Il Re Leone. Ancora oggi, Aladdin non smettere di farci battere il cuore, ma quali sono i suoi segreti?
Le Notti d’Oriente
Senza dubbio, uno tra questi è l’ambientazione.
L’idea di realizzare un film d’animazione ispirato alle Mille e una Notte venne ad Howard Ashman, talentuoso paroliere che lavorò già per Disney con La Sirenetta e La Bella e la Bestia, insieme al suo partner in crime Alan Menken, compositore che nel corso degli anni ha scritto la storia delle colonne sonore Disney. Purtroppo Ashman venne a mancare prima della realizzazione del film, cosa che spinse la produzione ad abbracciare il progetto, proprio per ricordare il collega scomparso. Così Aladino e la Lampada Misteriosa, racconto persiano tra i più celebri ed amati della raccolta di racconti orientali Le Mille e una Notte, iniziò il suo lungo cammino verso il firmamento dei capolavori del cinema d’animazione Disney.
Per non snaturare l’animo orientale della storia, gli animatori si lasciarono ispirare dalle opere di Al Hirschfeld, poiché il suo singolare tratto aveva molte cose in comune con lo stile delle miniature persiane e della calligrafia islamica. Tutti i personaggi sono stati animati sui lavori di Hirschfeld, tranne uno, Jafar.
L’antagonista di questa storia doveva risultare estraneo e sinistro, fuori posto, fastidioso. Una missione decisamente compiuta, perchè Jafar ai nostri occhi risulterà viscido, avido e manipolatore, un villain con davvero pochissime sfumature di grigio, dall’animo nero come la pece.
Cosa temi mia signora? La gabbia.
Gli autori di Aladdin si innamorarono del soggetto, misterioso ed esotico, ma non erano molto entusiasti del messaggio che Aladino e la Lampada Misteriosa riportava al lettore. Un messaggio decisamente obsoleto e superato.
Così la priorità a casa Disney diventò trovare ad Aladdin uno scopo. Cosa voleva raccontare la sua storia?
Dopo intense riunioni fatte di fogli strappati ed idee cestinate, si comprese che era volontà di tutti parlare della sensazione di disagio che si prova quando ci si sente costretti nei ruoli che la società impone.
In qualche modo, ogni personaggio di Aladdin è ingabbiato, che sia all’interno di un costrutto sociale, che sia dentro una minuscola lampada.
Jasmine è forse la principessa Disney che, per quanto riguarda lignaggio e status, incarna più di qualsiasi altra lo stereotipo della principessa. Non le manca nulla, se non quello di cui avrebbe più bisogno: la libertà di poter scegliere.
Ed è così anche per il protagonista, Aladdin, incastrato in una situazione di povertà economica che contrasta enormemente con la sua personalità interiore, così ricca di intelligenza. arguzia e sensibilità.
Anche il sultano è incatenato ai suoi doveri, con il volto di un padre che se potesse farebbe di tutto per rendere felice la figlia ma che non può, perchè guidato dall’etica del suo regnare. Vediamo Jafar incatenato a sua volta al volere del sultano, unico scomodo scalino che gli impedisce di arrivare al potere, unica sua priorità ed aspirazione.
Infine, abbiamo la metafora perfetta della prigionia, un archetipo che ritroviamo in tantissime culture del mondo, non solo nelle Mille e una Notte: il Genio della Lampada.
Fenomenali poteri cosmici in un minuscolo spazio vitale. La prigionia eterna, nonostante il potere illimitato. Jeffrey Katzemberg, all’epoca a capo dei Walt Disney Animation Studios, volle fortemente che questo fosse il tema centrale. Il pubblico, uscendo dalle sale cinematografiche, avrebbe dovuto sentirsi in grado di spezzare le proprie catene e di cambiare il proprio futuro.
Un amico come Robin Williams
Non un doppiatore che si adatta al personaggio, ma un personaggio che si adatta al doppiatore. O meglio, un intero film che si adatta ad un doppiatore. E sappiamo perfettamente che chiamarlo così è indiscutibilmente un eufemismo. Perchè quello che Robin Williams rappresentò per Aladdin ha tantissimi nomi, primo tra tutti: ispirazione.
Fu da subito chiaro che, se Williams avesse davvero accettato di prestare voce, corpo e anima al personaggio del Genio della Lampada, il film avrebbe fatto un salto di qualità davvero troppo necessario. L’attore, da parte sua, accettò solo alla condizione di non risultare troppo al centro dell’attenzione. Doveva essere pagato il minimo indispensabile e non avrebbe dovuto in nessun caso finire al centro della copertina. Non voleva sentirsi il motore principale del film. Ovviamente, con una divinità come lui Disney non poteva resistere, infatti non rispettò nessuna delle due richieste facendo infuriare Williams tanto dal rifiutare per anni di tornare nei panni del Genio ed il seguitodi Aladdin, “Il Ritorno di Jafar” venne doppiato da un altro attore. Jeffrey Katzemberg fu licenziato dalla Disney che per farsi perdonare, oltre alle scuse pubbliche, dovette regalare a Robin Williams un Picasso originale.
Ah, queste star.
Perché celebrarlo
Con 30 anni di onorato servizio alle spalle, Aladdin non solo ha una storia da raccontare sul grande schermo, anche la sua genesi ha le note avventurose e incantate delle fiabe.
Note, profumi e colori che in una danza meta cinematografica sono stati restituiti al cinema, con un Classico Disney che per sempre farà scuola alle future generazioni. Anche se ormai, passeggiando per le vie di Agrabah o per il Palazzo Reale ci sentiamo quasi a casa, Aladdin continua a farci venire le vertigini in sella al suo Tappeto Volante, ad incantarci con quel perfetto connubio di musica, animazione e ricerca culturale, connubio che a casa Disney a quanto pare non va più di moda ma che noi abbiamo imparato ad amare tanto profondamente da sentirne la grande mancanza, soprattutto negli ultimi anni in cui il segno a mano è scomparso, lasciando posto ad un’animazione digitale che appiattisce troppo lo spirito dei nuovi Classici.
Al di là del successo monetario, Aladdin è un film dal grande cuore pulsante, che ha trovato la sua strada per non essere oscurato ne da meno ai suoi predecessori, La Sirenetta e la Bella e la Bestia, spianando la strada per quel filone narrativo che abbandona le fiabe europee, per esplorare mondi lontani e sconosciuti ad un’animazione che era rimasta ancorata all’occidente per troppo tempo.