Il Festival del Cinema di Venezia pullula di storie sempre diverse, ma quest’anno sono soprattutto gli adattamenti a dominare la scena. Pedro Almodóvar arriva in Concorso con il suo primo film girato interamente in lingua inglese, frutto di una folgorazione avuta in seguito alla lettura del romanzo “Attraverso la Vita” di Sigrid Nunez. A detta sua, un’opera “praticamente inadattabile”, di quelle a cui è possibile avvicinarsi soltanto attraverso un approccio ampio e personale. The Room next Door è esattamente il risultato di un’analisi del genere: un film di donne che racconta l’amore, quello purissimo, attraverso una storia di amicizia che si fa ode all’indipendenza.
Sorretto dal talento di due giganti come Tilda Swinton e Julianne Moore, Almodóvar costruisce un dramma atipico, asciutto quasi oltre ogni misura, che si distacca dal melò e diventa ricettacolo di speranze, ambizioni, riflessioni e soprattutto critiche alle sfumature più oscure del mondo in cui viviamo. Nonostante un interesse personale ed extra-diegetico forse troppo ingombrante rispetto alla narrazione scelta per il film, The Room next Door incuriosisce in più momenti e riesce ad affascinare con lo stile inconfondibile del suo regista.
Genere: Drammatico
Durata: 107 minuti
Uscita: 5 dicembre (Cinema)
Cast: Tilda Swinton, Julianne Moore, John Turturro, Alessandro Nivola
La sineddoche dei legami
Anche se ispirata da un romanzo già esistente, la trama del film si sofferma soprattutto (per non dire quasi esclusivamente) sul rapporto tra le due figure protagoniste. L’impianto narrativo, di conseguenza, è abbastanza semplice e immediato – quasi ai limiti del pretesto. Due amiche di vecchia data si ritrovano dopo tempo: una delle due è malata e chiede all’altra di aiutarla nelle ultime fasi della sua vita. Il racconto di Martha e Ingrid procede in maniera estremamente lineare, ma è nello sviluppo del loro legame e in particolari incroci che il film spicca con le sue riflessioni sui temi più disparati. In The Room next Door è la percezione a fare da filo conduttore: la percezione della vita, a fianco a quella della morte, che attraverso l’esperienza diventa una grande celebrazione.
Una celebrazione dei legami, della vita, dell’indipendenza che smuove il libero arbitrio, ma anche una celebrazione della fine che accarezza l’idea della speranza e gioca con il concetto di eredità – citando, non a caso, James Joyce e le sue epifanie. Una storia semplice inserita all’interno di uno script tutt’altro che folgorante, ma intrisa di una passione che emerge nella sottrazione e brilla nelle sottigliezze attraverso le donne, che qui diventano emblematiche come parte di dialoghi ben più profondi. Almodóvar, alla soglia dei 75 anni, si conferma affascinato dalla morte e sempre più accorato riguardo al futuro del mondo, alternando messaggi più sottili e altri potenti sul destino del pianeta e della società civile.
Uno sguardo intimo agli orrori del mondo
Attraverso i suoi personaggi (con John Turturro come unica eccezione al di fuori delle due protagoniste) il regista spagnolo abbatte le barriere e parla direttamente allo spettatore, accusando l’uomo di totale ingenuità tanto nel cedere alla guerra, quanto nel sottovalutare il cambiamento climatico o ignorare il valore dell’eutanasia. Venezia è vetrina di grandi produzioni, ma anche di importanti proclami: The Room next Door non brillerà certo per originalità, ma nella sua meraviglia intima torna a essere un cinema che guarda il mondo – e che al mondo vuole tornare.
Quale metafora migliore per farlo, se non la maternità? Nel legame spezzato tra una madre e una figlia si cela un universo di spaccature, di contrasti ancora da risolvere e di altri che non si risolveranno mai. In questo senso, la prospettiva più esterna (ma comunque partecipata) della scrittrice Ingrid si unisce a quella di chi osserva, tentando di coinvolgere nel profondo anche l’osservatore meno attento. Un risultato forse più soddisfacente in quegli istanti di realtà “diretta” e più distante dal racconto, ma che anche senza particolari clamori offre grandi spunti con le sue sottigliezze.
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La recensione in breve
Il primo film inglese di Pedro Almodovar non racconta una grande storia, ma riesce a rivelarsi una grande riflessione sulla società moderna. Questa esperienza tutta al femminile esplora il senso della vita, la dignità della morte, ma soprattutto i legami tra donne in un contesto tutt'altro che banale che si mescola all'intimità tipica del regista spagnolo. All'ombra di un futuro tutt'altro che roseo c'è un cambiamento che merita attenzione e che non vede l'ora di emergere oltre la superficie
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Voto Screenworld