È uscito da poco nelle sale il bel Inside Out 2, sequel del primo capitolo uscito nelle sale quasi dieci anni fa, che cerca di fornire una panoramica sul mondo interno di una bambina prima e adolescente poi di nome Riley e quindi di tutti noi. Con i suoi personaggi, Inside Out 2 si propone di affrontare temi importanti, di cambiamento, svolta e perdita seguendo i movimenti delle nostre emozioni più vivide e pure.
Questione di perdite
Sì, questione di perdite. Perché Inside Out, sia nella prima che nella seconda parte, avanza il problema del lutto. Riley è una ragazzina che vive con la famiglia nella propria casa, ha la sua sicurezza interna, nutre passioni, coltiva affetti e nel giro di poco, pochissimo, è costretta a cambiare ambiente, abitudini, volti ed esporsi a nuovi sensi. Deve ricostruire la sua stanza da zero e ripiantare le proprie radici altrove. Riley vive il lutto per la perdita non voluta di una parte di sé, richiesta da genitori che non fanno altro che lodarla per la sua bravura, la sua naturale inclinazione a sorridere sempre e comportarsi come una bambina “perfetta”.
In questo, però, nessuno si accorge che Riley sta facendo i conti con tumulti importanti e che la consolle delle emozioni sta cambiando. Passa il tempo e dopo anni ci troviamo a seguire nuovamente le vicende di Riley, oggi in piena pubertà. E allora scatta ancora l’allarme lutto, legato a questo giro a una perdita di sé nel senso identitario. Riley non è più una bambina, sta costruendo la sua personalità, lascia il ruolo e il corpo dell’età infantile per trasformarsi in un corpo, in un’identità e in un ruolo più evoluti e maturi. E questo lutto, al contempo, lo vivono anche i genitori, i quali devono entrare in contatto con una nuova identità di madre e padre.
L’importanza di integrare
Comprendere i lutti che vive la piccola Riley – e quindi la trasformazione che si cela dietro questo movimento – diventa forse importante per entrare meglio nel senso di Inside Out.
Il primo capitolo prova a dare corpo ad alcune di quelle che Ekman definì emozioni primarie, quindi Rabbia, Gioia, Tristezza, Disgusto e Paura. Queste gestiscono, controllano, coordinano e guidano il comportamento della protagonista. Gioia allora sembra la chiave, leader del Quartier Generale. Si è occupata a tutto tondo dell’arrivo di Riley nel mondo, ha dominato i primi momenti di vita tentando di collezionare ricordi positivi, incontaminati da esperienze soggettive negative. Vive nell’illusione di poter condurre Riley verso la strada della felicità senza confini, splendente, allontanando i nemici come Tristezza. Ma Gioia, perseguendo la causa, è cieca rispetto alla funzione imprescindibile della sua compagna azzurra.
La Tristezza è movimento, ha un valore inestimabile, tiene insieme parti di noi e non può essere soffocata, ma integrata con le altre emozioni, mentalizzata e dunque pensata per essere riconosciuta e vissuta. Il caro prezzo che rischiamo di pagare è quello che la consolle, poi, vada in pezzi, non funzioni più e il collante venga meno. Riley cresce e, come abbiamo detto, cambiano i luoghi di appartenenza, subentra una funzione legata a un maggior bisogno di affiliazione e con sé il desiderio di accettazione, che sembra sovrapporsi a quello di perfezione. Qui entrano in scena personaggi più legati all’autocoscienza, come Ansia, Invidia, Imbarazzo ed Ennui. Gioia allora deve fare i conti con la perdita della sua costruzione illusoria, di quel sé tenuto come un Santo Graal, incontaminato, ma che non può essere unico e intoccabile.
E il prodotto di tutta questa perfezione è proprio Ansia, la quale spunta e cerca di immaginare scenari sempre diversi per tentare di proteggere Riley dal fallimento e farle raggiungere obiettivi che le diano soddisfazione e status. Allora, la nostra giovane protagonista, deve avvicinarsi e stringere amicizia con il gruppo più forte, quello invidiato da molti e per farlo può dimenticarsi dei veri affetti, delle amiche da cui si è generata una frustrazione iniziale e che non rappresentano più il riconoscimento di cui necessita. Ma tutta questa ricerca non fa altro che generare sé svalutanti, idee interne, echi di immagini di una persona che non vale.
L’Inside perfetto
Il mondo interiore e la mente di Riley sembrano macchine perfette, costruite sapientemente. Tutto è collegato, tutto è in ordine. Ci sono spazi di amministrazione, come la consolle, ci sono spazi di memoria, isole di sicurezza, fili generativi che danno vita a sé. Ci sono anche spazi più nascosti, ai piani bassi, in cui vengono custodite parti meno conosciute, chiuse, buie, ma anche creative e salvifiche in taluni casi. Il panorama interno di Inside Out conserva la memoria di Riley, non solo in termini cognitivi, ma anche e soprattutto di vissuti soggettivi, portando l’esplorazione anche in aree meno accessibili.
Il tentativo di rappresentare zone di immaginazione, produzioni di sogni, elementi astratti che rischiano di perdere il controllo e ricordi infantili di personaggi di un passato. Ci sono però anche ombre non spiegate, grandi macchie nere non definibili che forse, per complessità d’animo, non possono trovare una collocazione precisa all’interno di uno scenario così meccanicamente perfetto e che potranno emergere solo quando le emozioni saranno davvero vive e non saranno solo funzioni schematizzate.
Ascoltare il vuoto
In tutto questo caos che si palesa, esiste un’emozione che sembra assumere un ruolo meno rilevante, la Noia. Personaggio creato ad hoc, senza forma, molleggiante, un po’ snob, ironica. Ennui però è anche molto altro ed è soprattutto un appello. In un mondo di frenesia, di facilità delle opzioni, in cui tutto è a portata di mano, sperimentare la Noia, il tempo che trascorre senza essere necessariamente impiegato in qualcosa diventa un’operazione complessa, ma doverosa. Fermarsi, staccare, non fare, ma semplicemente ascoltare anche il vuoto che possiamo contenere in noi. La noia ha un potenziale infinito e dovrebbe essere insegnata, come il saper aspettare e non soccombere davanti alla voracità dell’ansia di agire.
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