Una delle opere più influenti dei primi anni 2000, Donnie Darko, torna al cinema in versione restaurata e riporta alla luce alcune delle più grandi speculazioni nella storia del cinema. Per interi decenni, l’opera di Richard Kelly è stata oggetto di studio, analisi e divagazioni fantasiose da parte di pubblico e critica. Un film che ancora oggi è difficile classificare, o addirittura costringere all’interno di un solo genere. Donnie Darko non è una pellicola che lascia a bocca aperta per la sua fattura: è un prodotto grezzo, a tratti brutale nella messa in scena. Può essere davvero molte cose, ma in fin dei conti sa per certo solo quello che non è. Eppure, sono i suoi contenuti che lo hanno reso una delle opere più astratte e interpretate della settima arte.
Le ragioni sono diverse, e non esiste una sola risposta: lo stesso Kelly, così come gli interpreti del film, ci tengono a ricordare che il fascino di Donnie Darko sta proprio nel lasciare che sia lo spettatore a navigare in un abisso di domande e risposte. Quello del regista può esser visto come un delirio creativo in piena regola, che però preserva una sua logica anche di fronte alle teorie più derivative. Uno di quei rarissimi casi in cui le risposte non sono certe, ma le domande sono tante – e tutte giuste. Nonostante gli anni, questo film senza genere e senza corpo continua a vivere della sua anima, ebbra di fantasie filosofiche e desideri intrippanti. Per comprendere davvero perché si parli ancora di un cult assoluto, si può soltanto partire dal reale, trascendere il contenuto e ascendere verso il regno delle idee.
Una scelta consapevole: slegarsi gradualmente dal vero fino a immergersi nella tana del (Frank) coniglio.
Un patto segreto con la storia
La risposta più facile al successo di Donnie Darko può essere trovata analizzando a fondo il contesto storico e sociale al tempo della sua uscita. Richard Kelly presentò il suo film al Sundance Film Festival del 2001, ricevendo risposte abbastanza tiepide nonostante la presenza di diversi elementi di spicco come Drew Barrymore, all’epoca in un momento caldo della sua carriera. La Flower Films decise di finanziare il film nonostante i dubbi iniziali, convinta che la presenza dell’attrice avrebbe in qualche modo spinto la gente verso le sale. L’uscita della pellicola fu però ostacolata da una lunga serie di sfortunate coincidenze – divenute poi il vero motore del suo successo.
Dopo il Sundance, Kelly riuscì a trovare un distributore soltanto grazie alla buona parola di due fan d’eccezione: Christopher Nolan, reduce dal successo di Memento, e sua moglie, la produttrice Emma Thomas. Ciononostante, l’uscita di Donnie Darko nei cinema americani fu programmata per il mese di ottobre, a soli 45 giorni dall’11 settembre. Un flop annunciato, considerando che uno degli elementi cruciali del film è un disastro aereo. La pellicola incassò poco più di 500 mila dollari senza destare particolari clamori. Nel frattempo, però, cominciò a spargersi la voce fra i giovani che avevano visto il film e desideravano parlarne. Poco dopo, la produzione arrivò in Europa e incassò oltre 7 milioni di dollari, diventando oggetto di culto per molti gruppi di ragazzi e curiosi.
Non ci volle molto prima che Donnie Darko, tra la sua storia travagliata e la sua particolare struttura, trovasse il proprio pubblico diventando uno dei prodotti più curiosi del panorama mondiale.
Predestinato e iconico
Andando oltre la superficie per analizzare i contenuti dell’opera, Donnie Darko ha ottenuto il proprio successo semplicemente perché aveva tutte le carte in regola per lasciare il segno nella cultura pop. La presenza di un Jake Gyllenhaal in totale ascesa, protagonista soprattutto di una performance importante, ha reso Donnie un personaggio memorabile per un’intera generazione di spettatori. La sua schizofrenia paranoide offriva una nuova prospettiva, per alcuni anche più “vera” del solito, a molte difficoltà degli adolescenti delusi da una società in cui non trovavano spazio per emergere. Lo spirito ribelle di Donnie, sempre più anticonformista e refrattario alle ipocrisie degli adulti, lo ha reso il simbolo di una lotta giovanile in costante ricerca di riferimenti a cui ispirarsi.
Non solo: il regista ha trovato il modo di raccontare in maniera estrema i tormenti e le paure del suo protagonista, dandogli forma e respiro attraverso la figura di Frank. L’idea di un coniglio deforme e antropomorfo, di chiara ispirazione distopica, a cui affidare il ruolo di guida/proiezione inaffidabile è stata forse la scelta più azzeccata di tutte. Frank, con la sua estetica particolare, non è soltanto diventato il simbolo del film, ma anche un enigma da risolvere per comprendere i significati dell’opera attraverso la sua essenza. Un po’ Virgilio, un po’ villain terrificante, Frank è uno degli elementi più iconici del cinema perché incarna lo spirito dell’intero film: mistero, brivido, riflessioni esistenziali, ribellione.
Oltre l’analisi
La critica si è spesso arrovellata su questa forzatura, ma l’approccio più completo per analizzare Donnie Darko va oltre il semplice consenso. Non esistono pareri unanimi su quasi nessun aspetto dell’opera, che si tratti della sua qualità o del suo significato. Kelly ha creato qualcosa che stimoli il pensiero e faccia discutere – non per il semplice piacere di farlo, ma per rafforzare l’idea che ogni progetto possa essere visto da diverse prospettive e offrire diversi livelli di lettura. Per quanto lo si possa considerare superfluo, esagerato o pretenzioso, questo tipo di approccio è forse l’unico possibile se si intende osservare l’opera in tutte le sue sfaccettature. Nessuno sa davvero di cosa parli Donnie Darko, ma tutti possono intuire almeno uno dei suoi temi portanti.
La verità è che una risposta esiste, ma non è una risposta semplice. E questo è il cuore dell’intero film: occorre osservare con attenzione, considerare tutte le prospettive possibili, ponderare ipotesi e speculazioni tra gli elementi presentati di scena in scena. Un equilibrio difficile da trovare, ma che rende la complessità di Donnie Darko il vero motivo per recuperarlo e guardarlo (possibilmente) più volte. David Lynch sarebbe d’accordo con questa affermazione: quando si guarda un film, si va sempre dall’autore alla ricerca di risposte, ma non c’è niente di più sbagliato. Nel cinema, come nelle varie forme d’arte, è l’opera stessa a dover parlare.
Donnie Darko è più di un semplice cult: è un’opera d’arte che abbraccia l’esistenza umana attraverso i viaggi nel tempo, il determinismo e la satira. La rappresentazione ideale di quel “mondo matto” in cui i sogni migliori che si fanno sono quelli in cui si muore, e dove c’è sempre una lezione da imparare guardando attraverso gli altri.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!