Uscito in Italia nel novembre precedente, il 20 maggio 1994 Caro Diario di Nanni Moretti approda sulla Croisette, guadagnandosi il premio per la Miglior regia. Trent’anni (o trentuno) dopo, il capolavoro del regista romano rappresenta ancora un esempio unico in Italia di cinema intimista e personale che affonda le radici nel documentario autobiografico e nello sperimentalismo.
Nella mente di Nanni
Una calligrafia minuta ma decisa riempie un foglio di carta a righe aprendo la narrazione in prima persona. Il titolo del film riprende il suo stesso incipit, in una dichiarazione di intenti pura fin dall’inizio. Nanni Moretti con Caro Diario dà vita a uno spazio autobiografico nel reame della finzione, dividendo il suo lungometraggio in tre capitoli come fosse un romanzo, quello della sua vita, in un ideale squarcio d’esistenza.
Si parte infatti dalle passioni più personali, le passeggiate in vespa nell’estate romana, il cinema, il ballo e le case degli altri, passando per le riflessioni più politiche sulla turistificazione di massa e sulla televisione nel più finzionale secondo capitolo, fino ad arrivare invece al cuore più autobiografico del film, quello dedicato alla malattia dove i footage reali della chemioterapia del regista sono seguiti da una rimessa in scena del percorso diagnostico e terapeutico di Moretti.
Il mondo interiore dell’autore è quindi ripartito in brevi scorci, dalla filosofia di vita, alle riflessioni sui mass media in chiave satirica e sulla cultura e società italiana, fino alla personale autonarrazione della malattia e il calvario del malessere fisico. La voice-over accompagna questi tre segmenti, caricando di autobiografismo l’opera e allo stesso tempo inserendola in un terreno a metà tra realtà documentaristica e finzione, in un’autofiction ante litteram.
Il passaggio alla maturità
Il cinema di Nanni Moretti, si sa, è sempre stato un cinema molto personale: la creazione dell’alter-ego egocentrico Michele Apicella è, in cinque dei sei film che precedono Caro Diario, un binario utile per sviluppare una narrazione che parte dall’analisi del soggetto. Egoista, a volte nevrotico, spesso detestabile ma anche irrimediabilmente umano, Michele è un personaggio vero, un “moralista ideologico”, l’ex sessantottino disilluso e decisamente sprezzante di tutto ciò che è al di fuori del suo modo di guardare alle cose, fungendo quindi da lente che permette all’autore di esprimere dei sentimenti comuni a un’intera generazione in un’epoca di crisi culturale e politica.
I toni critici e sprezzanti di Michele Apicella rappresentano dunque, fin a questo momento, un tipo di uomo che non accetta il cambiare dei tempi e delle epoche, abbarbicato in una nostalgia autodistruttiva, idealista fino alla malattia. Con Caro Diario Apicella però si defila, per non apparire più. Nanni abbandona qui ogni alter-ego, per navigare in prima persona le sue paure e le sue personali riflessioni sulla vita, coerentemente con il suo stile registico, mettendosi a nudo e creando così un’opera che costituisce una spaccatura nella sua filmografia.
L’abbandono di questa verve polemica più violenta e cinica costituisce dunque una deviazione dai suoi film precedenti, cambiamento già individuabile in Palombella Rossa, un passaggio all’età matura che è una presa di consapevolezza dello scorrere del tempo. In tutto ciò Caro Diario, a ben vedere, parla della vita, ma anche della morte in un racconto-confessione strettamente legato ai temi dell’onirico e del subconscio, fatto di sogni, fantasmi, ricordi e memorie cari a tutta l’opera di Moretti.
Autofiction tra letteratura e cinema nostrano
Oggi, a un’occhiata più approfondita, si potrebbe accostare il cinema di Moretti – più precisamente Caro Diario e anche il successivo Aprile – al concetto di “autofiction”, una narrazione dove il protagonista delle vicende coincide con lo stesso autore.
Il termine viene coniato nel 1977 dall’autore francese Serge Doubrovsky a proposito del suo romanzo Fils, ma molti ritengono Proust e il suo Alla ricerca del tempo perduto come veri apripista del genere. Se nella letteratura straniera più contemporanea si hanno celebri esempi come Emmanuel Carrère o Philip Roth, non mancano esempi in quella italiana come Walter Siti o Emanuele Trevi. Negli ultimi anni c’è stata una tendenza decisamente in aumento nelle nuove generazioni di scrittori, con opere dove il limite tra finzione e autobiografia si assottiglia decisamente.
Il personale nel cinema invece, si può storicamente rilevare come derivante delle forme sperimentali, basti pensare a Chris Marker, Agnès Varda, Chantal Akerman, Jonas Mekas, i quali si avvicinano all’arte ancora prima che il termine venisse coniato. A livello di meta-narrazione personale e finzionale non è una novità che Moretti si ispiri fortemente inoltre al mondo arabo, dagli iraniani Abbas Kiarostami o Jafar Panahi passando per il palestinese Elia Suleiman, i quali rientrano in un’idea di cinema autoriflessivo che accosta il personale, il politico e lo psicanalitico.
Ad oggi sono pochi i registi delle nuove generazioni che portano avanti questo tipo di narrazioni e che si calano tanto nella regia che nella scrittura che nell’interpretazione, ma tra i pochi esempi emergono Pietro Castellitto e Filippo Barbagallo, quest’ultimo peraltro figlio del co-fondatore della Sacher Film Angelo, i quali però non si cimentano in opere esplicitamente autobiografiche.
È infatti più nella serialità specialmente britannica con serie come I May Destroy You (2020) o la recentissima Baby Reindeer che possiamo rilevare la ri-messa in scena delle vicende personali traumatiche degli autori-attori Michaela Coel e Richard Gadd, in un lavoro psicoanalitico e catartico che solleva non pochi interrogativi sul senso dell’arte.
Cosa rimane oggi di Caro Diario?
Caro Diario, dunque, costituisce un unicum nel cinema italiano come esempio di autofiction e di narrazione intima ma ispirata, fortemente politica e sociale ma strettamente personale. Il dramma del singolo, affrontato comunque con la leggerezza spensierata e la tipica ironia morettiana, diventa una riflessione sulla vita e sulla morte, sul passare del tempo e sulla ricerca della bellezza nelle piccole cose della vita. Nanni Moretti ci invita a pensare al passato e sul presente, ai sogni riposti nel cassetto e sai momenti che ci rendono felici di stare al mondo e così facendo dà vita ad un’arte che mette a nudo le fragilità umane senza idealismi, portandoci ad accettare le debolezze e le peculiarità che ci rendono umani.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!