Signore e signori, edizione straordinaria. Abbiamo un annuncio sconvolgente da fare. Incredibile ma vero: finalmente hanno capito come si adattano i videogiochi. Dopo anni e anni di schifezze, delusioni e insuccessi, finalmente ecco spuntare qualche gioia. Sulla scia contagiosa di Sonic, Arcane, Super Mario e The Last of Us ecco spuntare un’altra bellissima creatura: la serie tv di Fallout. Piena di chicche per gli amanti dei videogiochi. Affascinante per i neofiti. Insomma, un esperimento che sembra aver messo quasi tutti d’accordo. Critica e pubblico che applaudono insieme. Cosa sempre più rara in tempi ostili come i nostri. Ma come mai? Perché la serie tv di Fallout ha capito tre cose importanti. Quali? Indossate la vostra maschera anti-gas di fiducia e partiamo, così vi raccontiamo tutto.
1. Il mondo più forte dei personaggi
Bene, partiamo dal primo grande merito della serie targata Prime Video. Avere avuto il coraggio di mettere il suo affascinante immaginario post-atomico al centro del racconto. Con l’ambientazione che è quasi più forte dei personaggi stessi. Perché, sì, pensiamoci: ci sono videogiochi che hanno personaggi forti dentro ambientazioni forti, come The Last of Us, The Witcher, God of War o Red Dead Redemption. Solo per citare quattro titoli molto famosi. E invece altri videogame che hanno personaggi forti dentro ambientazioni molto neutre: come Tomb Raider o Uncharted dove le figure di Lara Croft e Nathan Drake fagocitano l’attenzione del pubblico. In Fallout, invece, l’immaginario post-apocalittico è sempre stato il cuore del racconto. I suoi pericoli, le sue regole rigide e la sua mentalità malsana dominata da una crudele sopravvivenza dominano il personaggio creato dal giocatore, costretto a muoversi tra i detriti del sogno americano. Un’America ucronica in cui l’ottimismo retro-futuristico è collassato su se stesso, vittima delle sue stesse menzogne.
Ecco tutto questo si percepisce subito anche nella serie tv, che non a caso si affida a tre protagonisti inediti proprio per dare respiro all’ambientazione. Attraverso le loro tre avventure personali scopriamo l’universo di Fallout da prospettive diverse, ma il racconto del mondo resta sempre cuore marcio di Fallout. Un grande disegno corale aiutato dal formato seriale, che permette di dare più tempo e respiro alla narrazione. Perché alla fine diciamolo: il più grande passo avanti in fatto di adattamento videoludici è stato questo. Aver capito che alcuni titoli hanno bisogno di stare belli comodi in una serie tv, senza stare stretti in un film. Fallout (proprio come The Last of Us) è solo l’ennesima conferma.
2. Personaggi (non) giocanti
E veniamo ai tre protagonisti della serie tv. Lucy, Maximus e l’inquietante ghoul-pistolero che sembra uscito da un film di Sergio Leone. Attraverso le loro motivazioni la serie tv di Fallout riesce a fare una cosa semplice ma fondamentale, ovvero ricreare sul piccolo schermo le dinamiche videoludiche della saga. Ogni personaggio ha la sua quest personale, la sua missione principale. Proprio come accade nei giochi. Prendiamo l’esempio di Lucy, costretta a uscire per la prima volta da vault per mettersi sulle tracce di suo padre. Proprio come accade al protagonista di Fallout 3. Ma lungo il loro cammino tutti i protagonisti vengono distratti da quest secondarie, incontri casuali con delle comparse che li mettono spesso davanti a una scelta. Dare o non dare l’acqua a quel tizio? Parlare o no con quella stramba signora?
Altra meccanica che richiama i videogiochi, visto che nella saga di Fallout i bivi, le risposte multiple e le scelte morali sono spesso molto importanti. Insomma, la sensazione è quella di vivere davvero un open world in cui assistiamo anche alla crescita dei personaggi più acerbi come Lucy e Maximus, che lungo l’avventura acquisiscono esperienza imparando a conoscere la brutalità del loro mondo. Progresso dei personaggi, missioni da portare a termine e generi che si mescolano, passando dall’avventura esplorativa al dramma, senza dimenticare fasi da puro sparatutto. Si serie tv, si legge videogame. Un altro grande merito di Fallout.
3. Trapianto di spirito
Ed eccoci al merito più importante. Perché la cosa più difficile da fare in una trasposizione è capire anzi carpire lo spirito di un prodotto. E la serie tv di fallout ha abbracciato alla perfezione lo spirito dissacrante e disincantato della saga Bethesda. Una saga che non a caso ha nel sorridente vault boy la sua mascotte più iconica ed emblematica. È lui il simbolo di un’America patinata, ipocrita, che spaccia stili di vita come modelli di perfezione. Fallout è sempre stata una feroce denuncia della presunzione americana, della loro mercificazione perenne, del loro consumismo sfrenato capace di trasformare anche la fine del mondo in un prodotto. Ed è così che anche la serie è attraversata dallo stesso cinismo costante, che spesso sfocia in un’ironia molto amara e corrosiva.
Fallout è sempre stata una cartolina spedita dall’apocalisse. Una fotografia impietosa di una società che ingannato se stessa, che prima ha puntato verso le stelle e poi si è ritrovata a vivere tra le stalle di una civiltà balorda, regredendo allo stato brado di una specie di far west 2.0. Un profondo senso di fallimento, che Fallout ha sempre mitigato con un sarcasmo pungente. E la serie punge proprio come i videogiochi. Punge e fa male dove serve.
Come fanno solo i prodotti più intelligenti. Quelli che si fidano del pubblico stimolando lo spirito critico e il sempre prezioso valore dell’ironia.
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